S. MARTINO DI TOURS, VESCOVO ESORCISTA

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A.I.E. Supplemento Lettera Circolare nº 60/2014

Nell’antica tradizione contadina l’11 novembre aveva il fascino dei momenti di passaggio: era il giorno dei contratti, delle consegne, dei traslochi, ma anche se la liturgia ha fissato la memoria del santo all’anniversario della sua inumazione[1], in realtà Martino morì l’8 novembre 397. Il trapasso avvenne a Candes[2], dov’egli si era faticosamente trascinato per appianare la discordia che divideva i chierici locali. La consummatio di tutti i miracoli da lui operati fu riportare la pace nella chiesa, vincendo il male seminato dal divisore per antonomasia, quel dia-ballon che Martino incrociò continuamente sulla sua strada. Nell’opera suprema il santo Vescovo compiva così la beatitudine evangelica: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

Gli ultimi giorni sono raccontati con solennità da Sulpicio Severo, biografo del vescovo Martino:

«…poiché i chierici di quella chiesa erano in dissidio tra di loro, egli desiderava riportare la pace; anche se si rendeva conto della fine dei suoi giorni, non rifiutò di partire per una causa di tale portata; pensava che questo poteva essere il buon compimento dei suoi miracoli, se cioè avesse restituito la pace alla Chiesa. Si mette in cammino […] e sul fiume osserva gli smerghi[3] mentre cacciano i pesci e come la rapace ingordigia dei primi li tormenti con frequenti catture. Disse: «Questa è un’immagine dei demoni: insidiano gli incauti, catturano quelli che non se ne rendono conto, divorano quelli che sono catturati e mai riescono a saziarsi di quelli che divorano[4]». Quindi con voce potente ordina che abbandonino quel fiume su cui si riversano e si ritirino in luoghi aridi e deserti: e su quegli uccelli fece appunto uso del comando con cui era solito cacciare i demoni»[5].

Poiché gli smerghi erano diventati una parabola dell’azione di Satana, Martino esercita su di essi il comando che impone ai demoni.

A Candes Martino, che aveva 81 anni, venne definitivamente bloccato nel letto dalla malattia, fino alla morte. I suoi discepoli lo accompagnarono nell’ultima ora, supplicandolo: «Perché, padre, ci abbandoni e a chi ci lasci nella desolazione? Lupi rapaci invaderanno il tuo gregge[6]; chi ci difenderà dai loro morsi dopo che il pastore sarà stato percosso?[7]». Martino si affidò alla volontà di Dio: «Signore, se sono ancora necessario per il tuo popolo, non rifiuto la fatica: sia fatta la tua volontà». Ma proprio nel momento dell’affidamento finale a Dio, Martino vide il diavolo stargli accanto: «Perché sei qui, bestia sanguinaria? Contro di me, o funesto, non troverai nulla». Così le ultime parole del grande esorcista vengono rivolte al nemico che tenta di distrarre l’anima da Dio nel momento della morte. Martino lo chiama «bestia cruenta», richiamando il leone ruggente che divora le anime (1 Pt 5,8). Fu l’ultimo combattimento di una guerra che -ben evidenziata nei testi martiniani[8]– perdurava da decenni, fin dai primi passi della vicenda cristiana del Santo, quando il demonio affrontò il giovane Martino e gli disse: «Dovunque andrai e qualunque cosa tenterai, il diavolo ti si opporrà»[9].

All’età di quindici anni, Martino venne arruolato, sicuramente per le pressioni del padre, che lo aveva chiamato così ricordando il dio della guerra; del resto le leggi imperiali obbligavano i figli a seguire le orme dei padri militari[10]. Martino venne assegnato al corpo di guardia imperiale (le scholæ) e lì rimase fino al 363, sotto Giuliano l’Apostata. Per Sulpicio pure questo periodo si tinge dei toni eroici, tanto che i critici hanno coniato per Martino l’efficace definizione di “martire militare[11]”. Durante una ronda avvenne l’episodio che gli cambiò la vita (e che ancora oggi è quello più ricordato e più usato dall’iconografia). Martino incontrò un mendicante seminudo. Vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello militare. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che egli, già catecumeno venne battezzato la Pasqua seguente e divenne cristiano. Martino rimase ufficiale dell’esercito per una ventina d’anni raggiungendo il grado di ufficiale nelle alæ scolares (un corpo scelto).

Il servizio militare di Martino fu conforme alla prassi. Giunto all’età di circa quarant’anni, decise di lasciare l’esercito. Iniziò la seconda parte della sua vita. E così la tenacia del combattente divenne lo stile del soldato diventato monaco e poi “costretto” a diventare vescovo. Sul fronte opposto, però, Martino non trovò più eserciti, ma un altro nemico, il diavolo, che affrontò in ogni battaglia che -prima di analizzare- possiamo così sintetizzare:

  1. La lotta contro l’idolatria.
  2. La resistenza alla crudeltà del potere.
  3. Il diavolo nel monastero.
  4. La presenza demoniaca negli animali.

  1. La lotta contro l’idolatria

Di Martino è stato fatto questo ritratto: «Uomo straordinario, perfino paradossale: non realizzò mai ciò che desiderava… Voleva essere eremita, fuggire il mondo e praticare l’ascesi, invece fu costantemente circondato dalla gente, durante la sua vita e dopo la morte… Lo si ricorda come un soldato, quale fu effettivamente, ma suo malgrado. Aveva rifiutato di essere prete, non reputandosi degno, e fu vescovo. Aveva fuggito il secolo e cercato l’oscurità, e la sua biografia fu composta quand’era ancora vivo»[12].

Il 4 luglio 371, Martino venne eletto vescovo di Tours, per volontà popolare e nonostante l’opposizione di altri vescovi, che non lo gradivano sia per il suo portamento così dimesso, sia perché era incolto sia per il suo passato di militare. Il popolo però lo aveva strappato dal monastero di Ligugé e lo aveva condotto a Tours per farlo vescovo: e tale Martino divenne, per servire la Chiesa per 26 anni.

Vescovo suo malgrado, rimase monaco nel cuore. Dopo aver inutilmente tentato di continuare la vita monastica in un locale a ridosso della cattedrale, nel 375 si stabilì a circa due miglia dalla città, dove fondò il Maius monasterium (Marmoutier). Qui sperimentò un ascetismo a metà tra l’eremo e il cenobio, come nelle laure orientali: una novità per l’Occidente. Vescovo e monaco allo stesso tempo, Martino divideva la sua giornata tra la cella di Marmoutier e l’impegno missionario nelle vicinanze di Tours, tanto che venne chiamato «apostolo delle campagne».

Il primo atto episcopale fu un “discernimento degli spiriti”: di fronte a una tomba che era erroneamente venerata come quella di un martire, dopo aver pregato chiedendo a Dio di rivelare chi vi fosse sepolto, ecco che un antico brigante, giustiziato per i propri delitti, svelò a Martino la propria identità[13].

Poi Martino si impegnò soprattutto nella lotta contro l’idolatria, ancora imperante nelle campagne galliche, distruggendo i santuari pagani delle campagne di sua mano o invocando l’intervento prodigioso di Dio[14]. Fin dal II secolo, i cristiani ritenevano che le statue e gli altri vestigi della mitologia fossero sedi di presenza demoniaca e gli dèi pagani venivano considerati davvero esistenti, ma caricature del vero Dio, false divinità, angeli decaduti che giungevano così a farsi adorare usurpando per se stessi gli onori dovuti al solo vero Dio. L’apostolo delle genti, Paolo, non mancava di sottolineare che gli idoli sono nulla, tuttavia aggiungeva che dietro di essi si nascondevano potenze demoniache, alle quali l’uomo si sottometteva accettando le norme del loro culto (Rm 1,18-23; 1 Cor 10,19-21; cfr anche Ap 9,20).

Tra i molti episodi prodigiosi si racconta quello avvenuto a Levroux (a 80 km da Tours, poco lontano da Châtillon) dove sorgeva un santuario pagano. Una folla di pagani gli si oppose a tal punto che egli ne fu cacciato via con violenza. Martino pregò intensamente per tre giorni, finché protetto da «due angeli armati di lancia e scudo, a guisa di esercito celeste, poté procedere alla demolizione del santuario. E così ottenne pure la conversione dei pagani»[15]. In altro episodio, Martino rimprovera il presbitero di Amboise per non aver ancora abbattuto un edificio sacro agli idoli. Dopo aver pregato, una violenta tempesta distrusse tale edificio. La stessa cosa avvenne per una colonna sacra agli dèi[16].

La lotta di Martino contro l’idolatria è implacabile e sempre c’è di mezzo il demonio. Sulpicio così scrive la sua testimonianza:

«Il monastero del Santo era lontano due miglia dalla città, ma ogni volta che lui metteva il piede fuori dalla soglia della sua cella per andare in chiesa, potevi vedere per tutta la chiesa gli energumeni che ruggivano e le schiere dannate tremare come se stesse arrivando il giudice; cosicché il gemito dei demoni annunciava l’arrivo del vescovo ai chierici, che non sapevano che stesse sopraggiungendo. Io ho visto uno che, mentre si avvicinava Martino, si levò in aria con le braccia distese e rimase sospeso in alto, senza neppure toccare terra con i piedi[17]. Quando però Martino si accingeva a fare esorcismi contro i demoni, non toccava nessuno con le mani, non sgridava nessuno con parole, come il più delle volte tra i chierici si fa con un turbinio di frasi[18]; invece avvicinava a sé gli indemoniati, ordinava agli altri di uscire, chiuse le porte, pregava nel mezzo della chiesa, ricoperto di un cilicio, cosparso di cenere, prostrato a terra. Allora avresti potuto vedere quegli infelici agitarsi in diversi modi: levati in aria con i piedi in su, pendere come da una nube senza che le vesti cadessero sulla faccia, in modo che la nudità dei corpi non provocasse vergogna; altrove avresti visto i vessati che confessavano le loro colpe senza esserne richiesti. Senza che alcuno li interrogasse, rivelavano anche i loro nomi: l’uno diceva di essere Giove, l’altro di essere Mercurio[19]. Infine avresti visto tutti i ministri del diavolo tormentarsi assieme al loro capo, di modo che ormai dichiariamo compiuto in Martino ciò che è stato scritto: cioè “che i santi giudicheranno gli angeli”»[20].

  1. La lotta contro la crudeltà del potere

Nei dialoghi è interessante il rapporto che Martino intesse con Aviziano, un crudele comes del suo tempo, un funzionario imperiale plenipotenziario[21]. Incontriamo innanzitutto un serrato confronto tra il santo e Aviziano, per convincerlo a un gesto di clemenza nei confronti di un gruppo di prigionieri condannati alla tortura e a morte. Poche pagine dopo, Sulpicio scrive:

«… ricordo che un giorno Martino andò da lui; non appena entrò nel suo ufficio, vide che dietro le spalle di Aviziano stava seduto un demone di grandi dimensioni[22]. Quando Martino -per usare, com’è necessario, un’espressione poco latina- scacciò lontano il demonio con un soffio[23], Aviziano pensò di essere scacciato lui con il soffio e disse: “Perché mi tratti così, sant’uomo?”. Allora Martino disse: “Non te, ma quell’infame che sta alle tue spalle”. Il demonio se ne andò e lasciò lo scranno che gli era divenuto familiare. Risulta da più parti che dopo quel giorno Aviziano sia stato più mite o perché capì di aver sempre agito seguendo la volontà del diavolo che gli stava accanto, o perché lo spirito immondo, fu privato del potere di infierire, dato che lo schiavo si vergognava del padrone e il padrone non pressava più lo schiavo».

Ma la statura di Martino si avverte in modo particolare in un episodio poco noto, eppure di grande modernità. Negli ultimi anni di vita, si trovò nell’occhio del ciclone per la sua opposizione alla pena di morte decretata per eresia contro Priscilliano e i suoi seguaci[24]. Il cronista annota momenti di forte tensione con la corte imperiale e con altri vescovi compiacenti con i quali Martino non volle mai scendere a compromessi. Il suo intervento fu inutile e -come se non bastasse la sconfitta morale- a Martino vennero pure addebitati sospetti di fiancheggiamento dell’eresia[25]. Sono pagine cui il biografo (che era anche avvocato) scrive con accuratezza, riportando tanti particolari e con forza drammatica. Il caso è molto complesso e non è possibile darne relazione esaustiva. Resta un episodio che fa brillare la grandezza di questo Santo dell’antichità, capace di proclamare quanto fosse inaudito e nefasto che un affare ecclesiastico fosse giudicato da un giudice secolare. Fu questo il primo caso di condanna a morte per eresia. Le ultime righe dei dialoghi ritraggono un Martino amareggiato, umile vittima di circostanze che lo fecero navigare come tra Scilla e Cariddi. Gli apparve un angelo a consolarlo: «Giustamente, Martino, ti addolori, ma non avresti potuto uscirne in altra maniera»[26]; anche il Cielo interveniva così a giustificare il suo comportamento. Curiosa la nota biografica per cui, da quel giorno, il Santo sentì affievolirsi la sua forza di esorcista[27].

Dopo questi fatti l’episcopato gallico fu diviso per dodici anni, fino al 398, nonostante i molti tentativi di conciliazione: da una parte si schieravano i vescovi antipriscillianisti, uniti attorno a Felice di Treviri[28], dall’altra alcuni vescovi che condannavano le scelte compiute. Martino, da parte sua, «dopo quel fatto: non partecipò a nessun sinodo e si astenne da tutte le riunioni dei vescovi».

  1. Il diavolo nel monastero

Spesso Martino si trovò a combattere il demonio, che si insinuava nella vita della Chiesa (abbiamo già accennato all’episodio di Candes) e fin nelle celle del monastero. È il caso di Anatolio, giovane monaco che pretendeva di essere considerato un profeta e quasi il messia; annunciava che avrebbe ricevuto dal Cielo una veste sfolgorante e così avvenne, ma la veste scomparve, quando il presuntuoso monaco venne trascinato a forza davanti a Martino, ancora una volta riconosciuto capace di discernere gli spiriti[29].

In altri casi è lo stesso Martino ad affrontare direttamente il diavolo. L’ultima pagina della Vita Martini racconta che «spesso il diavolo, nel tentativo di prendersi gioco di quell’uomo santo con mille scellerate astuzie, si presentava nelle figure più disparate»[30], ad esempio sotto le apparenze delle divinità olimpiche. Martino rispondeva signo crucis et auxilio orationis (con il segno della croce e l’aiuto della preghiera); e allora il diavolo lo insultava e lo accusava e soprattutto lo accusava di aver accolto nel monastero, in seguito alla loro conversione, alcuni fratelli che un tempo avevano sciupato il battesimo in diversi traviamenti. Davvero Satana è il grande accusatore, che espone «le colpe di ciascuno» e tenta di inchiodare i cristiani nella disperazione della colpa (Ap 12, 10).

Un giorno il demonio tentò il Santo, apparendogli nelle vesti del Cristo trionfatore: «Riconosci o Martino colui che vedi! Io sono il Cristo. In procinto di scendere sulla terra, prima ho voluto manifestarmi a te!». Martino lo smascherò riconoscendo come non avesse i segni della Passione, crucis stigmata[31].

A un altro episodio è dedicata la seconda Epistula: un incendio sorprende nottetempo il Santo nella cella; Martino viene salvato miracolosamente, ma la sua tentazione era stata quella di scappare senza ricorrere alla preghiera[32].

Ma non è solo Martino ad essere vittima dell’avversario. Sullo sfondo dei dialoghi appare la figura un vescovo che -pur uscito dalla comunità martiniana- ne era divenuto l’oppressore. Si ritiene che si tratti del suo successore Brizio, che era stato allevato da Martino come un figlio, ma si dimostrava sempre più un figlio degenere con comportamenti non consoni alla disciplina monastica. Proprio sul finire dei Dialoghi (in cauda venenum!), Sulpicio racconta questo episodio:

«Un giorno Martino vide due demoni starsene sull’alta rupe che sovrasta il monastero e di lì, sguaiatamente allegri, lanciare un urlo di esortazione di questo tipo: “Forza Brizio! Forza Brizio!”. Vedevano da lontano -credo- il misero uomo che si avvicinava, ben consci di quanta rabbia avessero acceso in lui. Senza alcun indugio, Brizio entra furibondo: come in preda alla pazzia, vomitò addosso a Martino mille insulti. […]  …istigato dalla potenza di quei demoni, aggredì Martino al punto che per poco non lo picchiava; il Santo con il volto sereno e l’animo tranquillo, frenava la “pazzia” di quell’infelice con parole pacate. Ma lo spirito maligno dilagava in lui al punto che non era più padrone della propria mente, sebbene del tutto svuotata: con le labbra tremanti e con espressione mutevole, sbiancato per l’ira, scagliava parole malvage… [diceva che] Martino all’inizio si era imbrattato in azioni militari e ora era invecchiato tra vane superstizioni e ridicoli fantasmi delle sue visioni, perso nei deliri»[33].

La preghiera di Martino ottenne la liberazione di Brizio e questi si chinò umilmente a chiedere perdono. Ma gli episodi dovettero essere frequenti, visto che Martino commentava spesso: «Se Cristo sopportò Giuda, perché io non dovrei sopportare Brizio?»[34].

  1. San Martino e gli animali

Sono diversi i miracoli che il Santo operò in favore degli animali, anche qualche esorcismo.  Una volta salvò una lepre braccata dai cacciatori[35], un’altra volta liberò una vacca tormentata dal demonio:

«…non appena si fece più vicina a noi, infuriata e torva negli occhi, Martino le alzò contro la mano e ordinò alla bestia di fermarsi: quella subito, al suo ordine, cominciò a stare immobile, mentre intanto Martino vide il demonio che stava seduto sul suo dorso. Gli disse con tono minaccioso: “Vattene dalla bestia, maligno, e smettila di tormentare un innocuo animale”. Lo spirito malvagio obbedì e se ne andò. La vacca mostrò di capire di essere stata liberata: recuperata la tranquillità, si prostrò ai piedi del Santo e quindi su ordine di Martino, raggiunse la propria mandria e si unì, più tranquilla di una pecora, al gruppo delle altre»[36].

Curioso quanto narrato nelle pagine successive, dove un discepolo mette a tacere un cane rabbioso, ingiungendogli: «In nome di Martino, ti ordino di zittirti».

Conclusione

Per i contemporanei Martino costituì un segno di contraddi-zione. La sua fama fu grande: il suo stile monastico, le sue peregrinazioni nelle campagne, il suo portamento gli conferivano una dignità riconosciuta dal popolo e dagli aristocratici, che lo invitavano alla mensa e a lui ricorrevano nel bisogno. I suoi interventi e le sue scomode prese di posizione arrivavano a scuotere la corte imperiale. Però Martino ebbe molti detrattori, anche tra i suoi monaci. Le sue visioni «sembravano incredibili anche a parecchie persone che abitavano nel medesimo monastero, ragione per cui penso che non saranno creduti da tutti coloro che li ascolteranno»[37], la condotta ascetica, gli esorcismi, non piacevano a tutti. Il suo stile dimesso, la sua paradossale condizione di vescovo che faceva l’eremita a qualche miglio dalla città non era gradito agli altri vescovi.

Severo Sulpicio ci ha consegnato una preziosa testimonianza dell’esperienza religiosa vissuta da Martino, del suo impegno ascetico, del suo ideale monastico, dei suoi miracoli, dei suoi esorcismi e dell’ambiente religioso e culturale del tempo.

Cento anni dopo, il re merovingio Clodoveo, convertitosi al cattolicesimo, scelse Martino come patrono della sua casata e del suo regno: da allora il vescovo di Tours sarebbe divenuto il «referente ideologico e letterario di tutta l’agiografia merovingia»[38]. A completare l’opera, infine, sarebbe poi intervenuto Gregorio, successore di Martino a Tours: è significativo che il primo dei dieci libri della sua Historia Francorum[39] comprenda la storia della creazione del mondo fino alla morte di Martino. Il successo si sarebbe infine indelebilmente fissato nella storia della Chiesa, come attestano la tradizione liturgica, la toponomastica (quanti paesi ne portano il nome!), le tradizioni popolari.

 

 

[1] La data è attestata dal primo Concilio di Tours del 461: sub die XVIII kalendas decembris cum ad sacratissimam festivitatem qua domni nostri Martini receptio celebratur (Concilia Galliæ 314-506, ed. C. Minuier, CCL 148, Turnholti 1963, p. 143)

[2] Questo villaggio va localizzato a circa 50 km da Tours, sulla confluenza della Loira e della Vienne, non lontano dall’attuale Fontevraud. Gregorio di Tours ci informa che Martino fondò le nuove “parrocchie” di Amboise, Langeais, Saunay, Ciran, Tournon e appunto Candes.

[3] Sono una specie di uccelli che popolano le sponde della Loira, potrebbe trattarsi anche di colimbi o di gabbiani o di svassi, che risalgono il fiume dal mare verso l’interno cercando cibo.

[4] Queste brevi sentenze, assimilabili agli apoftegmi, devono essere state tipiche della predicazione di Martino. Anche in Dialoghi II 10, 1-6, cit., pp.191-192, il biografo attribuisce al Santo due «parole confidenziali, spiritualmente argute» che, come questo, prendono spunto dall’osservazione degli animali: da una pecora tosata, che ha eseguito il comando evangelico di donare una delle due tuniche (Lc 3, 11), da un prato calpestato da bestie, che diventa immagine dei vari stati di vita.

[5] Epistula III 6-16. Cfr Sulpicio Severo, Lettere e Dialoghi, CTP 196, ed. D. Fiocco, Roma, 2007 (J. Fontaine ha pubblicato i Dialoghi sotto il titolo di Gallus, in SCh 511, Parigi, 2006).

[6] Da questa lettera sono state ricavate le cinque antifone della memoria liturgica, onorate poi dalla musica gregoriana. Cfr Liber usualis, Romæ-Tornaci, 1923, p. 1506.

[7] Il riferimento biblico con il quale velatamente si paragona la morte di Martino a quella di Cristo, va innanzitutto al versetto di Zaccaria che Gesù evoca all’inizio del racconto della Passione (Mt 26, 31, citando Zaccaria 13, 7: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge»). Pur senza corrispondenza lessicale, è possibile un riferimento anche al saluto di Paolo sulla spiaggia di Mileto: «Dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge» (At 20,29).

[8] Di Sulpicio Severo ci sono giunti due libri di Chronica, la Vita Sancti Martini (VM), tre Epistulæ (Epist) e i tre libri dei Dialoghi (Dial). Fatta eccezione per il primo (cfr Sulpice Sèvére, Chroniques, ed. G. de Senneville-Grave, SCh 4412, Parigi, 1999), gli altri documenti sono tutti dedicati a san Martino. Per questo i copisti medievali raggrupparono Vita, Epistulæ e Dialoghi sotto il titolo Martinellus, come se si trattasse di un’opera unitaria.

[9] VM 6,2, cit., pp. 92-93. Della Vita Sancti Martini contiamo tre traduzioni italiane ricche di bibliografia: Sulpicio Severo, Vita Martini, in Vite dei santi: Vita di Martino, Vita di Ilarione, in memoria di Paola, introduzione di ch. Morhrmann, testo critico e commento di A.A.R. Bastiaensen e J.W. Smith, traduzioni di L. Canali e C. Moreschini, Milano 1975. Sulpicio severo, Vita di Martino, introduzione e note di E. Giannarelli, traduzione di M. Spinelli, Milano, 1995. Sulpicio Severo, Vita di Martino, intr., testo, traduzione e commento a cura di Fabio Ruggiero, Bologna 2003. Per i lettori del francese è d’obbligo il riferimento al monumentale lavoro di J. Fontaine, che raccoglie sia la Vita che le tre Epistulæ: Sulpice Sèvére, Vie de saint Martin, ed. J. Fontaine, SCh 133-135, Parigi, 1967-1969 (vol. 133. Testo critico e traduzione francese; vol. 134: commentario fino al par. 19 della VM; vol. 135: commentario dei rimanenti paragrafi e delle tre lettere: pp. 1119-1352).

[10] VM 2,5, cit., 81: «…i sovrani stabilirono che i figli dei veterani fossero coscritti nell’esercito: così Martino…all’età di quindici anni, arrestato e incatenato si trovò stretto nei lacci dei giuramenti militari». Su questo “reclutamento ereditario”, cfr D.-M. Dauzet, Martino di Tours. Il santo contro i potenti, Casale Monferrato, 2000, pp. 82-83 (traduzione italiana di Saint Martin de Tours, Paris, 1996).

[11] Cfr. J. Fontaine, Sulpice Sèvére a-t-il travesti saint saint Martin de Tours en martyr militaire?, «Anacleta Bollandiana», 81 (1963) pp. 31-58. Cfr D.M. Dauzet, Martino di Tours…, pp. 82-83.

[12] R. Pernoud, Martino di Tours, Milano, 1998, p. 9.

[13] VM 11, 1-5, cit., pp. 104-107.

[14] Ch. Morhmann, Introduzione, pp. XXVIII, pone ancora in parallelismo questi interventi con quelli del profeta Elia in 1 Re 18, 39 e con la lotta che i Padri del deserto condussero contro i simulacri pagani, riconosciuti come sede dei demoni. Nel IV secolo, anche dopo la svolta costantiniana, il paganesimo prolungò ancora a lungo la sua esistenza nelle classi senatorie e in quelle extraurbane: cfr. A.H.M. Jones, Lo sfondo sociale della lotta tra paganesimo e cristianesimo, in Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, ed. A. Momigliano, Torino, 1975, pp. 20-43.

[15] In VM 14, 3-7.

[16] Dial III, 8,4-9-2, cit., pp. 220-221.

[17] Anche nella Vita Hilarionis un uomo indemoniato si leva in aria alla preghiera del santo (Girolamo, Vita di Ilarione 13, 6, in Vita dei santi…, pp. 104-105) e così gli indemoniati dell’isola di Cipro avvertono l’arrivo di Ilarione (30,3, ibidem, pp. 136-137).

[18] Alcuni presuli facevano esorcismi assumendo atteggiamenti teatrali e facendo sfoggio di frasi altisonanti. San Martino insegna agli esorcisti di allora e a quelli di ogni tempo, che gli esorcismi sono un momento di preghiera, di penitenza e di umiliazione davanti a Dio, che ancor più umilia il demonio.

[19] Invertiti nella loro identità fisica, essi dichiarano anche l’inversione della propria identità: sono false divinità, «caricature demoniache del vero Dio» (ancora D.-M. Dauzet, Martino di Tours…, p. 202).

[20]  1 Cor 6,2-3. Sulpicio riporta le parole di due versetti in una sola frase.

[21] F.-L. Ganshof, Saint Martin et le comte Avitianus, «Anacleta Bollandiana», 67 (1949), pp. 202-203. Aviziano compare più volte nei Dial (III 4,1-5,1; 8,1-3); è una personalità complessa e tormentata: affezionatissimo a Martino, grida contro tutti, è volubile nel comportamento, ordina la strage e poi libera i condannati.

[22] Martino dotato del dono di discernere gli spiriti, vede quel demonio che altri non vedono.

[23] Exsufflans, che indica “soffiare”: è un gesto di esorcismo, attestato tra i riti liturgici dell’esorcismo. Pure Antonio abate scacciò un demonio soffiandogli contro (exsibilavit): Atanasio, Vita Antonii 40,2, cit., p. 85.

[24] Cfr J. Fontaine, L’affaire Priscilien ou l’ère des nouveaux Catilinas. Observations sur le sallustianisme de Sulpice Sévère, in Culture et Spiritualité en Espagne du IV au VII siècle, Festschrift J.M.F. Marque, ed. P.T. Brannan, London 1975, pp. 355-392. D.-M. Dauzet, Martino di Tours…, pp. 225-239.

[25] Chron II 50.1, SCh 441, 441, pp. 342: Itacio, uno dei vescovi più accaniti nella vicenda, «osò rimproverare pubblicamente al vescovo Martino, uomo in tutto assimilabile agli apostoli, di aderire a quell’infame eresia».

[26] Dial III 13, 4, cit., p. 230.

[27] Dial III, 13, 5, cit., p.230.

[28] Una volta caduto l’imperatore Massimo (388), essi persero l’appoggio politico. Felice venne scomunicato da papa Siricio; per favorire la conciliazione delle Chiese della Gallia, Felice si dimise e si ritirò a una vita di penitenza (Concilum Taurinense, can. 6, in Concilia Galliæ a. 314-a. 506, ed. Munier, CCL 148, Turnholti 1963, p. 57). Sulpicio lo riconosce persona degna, pur notando che venne eletto in una situazione incresciosa, da cui venne travolto (Dial II, 13, 2, cit., p. 229).

[29] VM 23, cit., pp. 137-139.

[30] VM 22,1, cit., pp. 133.

[31] VM 24,4-8, cit., pp. 140-143.

[32] Epist I 14, cit., p. 82.

[33] Gregorio di Tours riporta un episodio analogo: agli occhi di un malato che lo stava cercando, Brizio indica così il santo: «Se cerchi quel delìro, guarda là in fondo; ecco, sta fissando il cielo, al solito, come un ebete (La storia dei Franchi II 1, cit., pp. 86-87). Martino aveva sentito tutto: profetizzò al discepolo la successione sulla cattedra episcopale di Tours, ma anche le sofferenze che l’avrebbero segnato. Martino è inoltre qui descritto nella desolata solitudine, tipica dei grandi santi, come ha evidenziato J. Fontaine, SCh 133, p. 158.

[34] Dial III 15,7, cit., p. 235.

[35] Dial II  9,6, cit. p. 190.

[36] Dial II 9,1-4, cit., pp. 188-190.

[37] Dial II, 13, 7, cit., pp. 198-199.

[38] S. Pricoco, Gli scritti agiografici in prosa di Venanzio Fortunato, in Venanzio fortunato tra Italia e Francia, ed. T. Ragusa-B. Termite, Treviso, 1993, p. 178.

[39] Gregorio di Tours, La storia dei Franchi I, cit., pp. 127.

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