La lotta vittoriosa contro il «Tignoso d’inferno» di s. Veronica Giuliani (1660-1727)

di don Renzo Lavatori [1]

 

Tra i vari santi perseguitati dal demonio Santa Veronica è forse detentrice di un primato. I demoni si sono resi presenti nella sua vita con vessazioni fastidiose, manifestazioni in vari modi e forme, maltrattamenti fisici spesso dolorosi, tentazioni e continue minacce, dispetti e combattimenti. Dio ha permesso l’aggressione di Satana contro di lei al fine di perfezionare le virtù e in particolare quella dell’umiltà. In mezzo a numerose e svariate sofferenze Veronica ha vissuto la grande consolazione che le veniva dalla consapevolezza di collaborare con Gesù per la salvezza delle anime. Ella, registrando nel Diario tutto quello che le accadeva, ha descritto anche gli innumerevoli assalti subiti da parte del demonio e le modalità con cui si è contrapposta alle sue insidie.[2]

1. Gli attacchi satanici e le reazioni di Veronica
L’azione del maligno si dispiega su tre campi in cui si cimenta l’ascesa spirituale di Veronica: uno è dato dalla stessa composizione dell’andamento claustrale e della convivenza in comunità; il secondo concerne il tempo della preghiera e del raccoglimento nell’intimità con Dio; il terzo consiste in uno stato interiore di noia e di insofferenza brutale.

a. Durante la vita monastica dovette sopportare parecchie contrarietà, che superò accettando le croci e le pene. Il demonio approfittava di queste situazioni di fastidio per riuscire meglio nei suoi intenti: “il tignoso d’inferno”, come la Santa denomina il demonio, non lasciava intentato nessun mezzo per abbatterla; prima agiva con la menzogna, e poi, visti inutili le sue mire, sfogava il suo livore con violenze brutali. Veronica dovette sostenere frequenti fastidi, tentazioni, ripugnanze e assalti del maligno, che la insultava e la percuoteva. Le tensioni più difficoltose furono quelle contro la fede e la vocazione monastica, sollecitando anche gli scrupoli sulle confessioni fatte. Ella lo annota con realismo e umile consapevolezza:

“L’andare all’orazione mi pareva fosse tormento e non trovavo altro che tenebre. Oh, quanto mi scottava di non poter ritrovare il mio Sommo Bene! Stavo tra tenebre, tra timori, senza sussidio nessuno. Già vedevo tutto perduto, né potevo aiutarmi con preghiere, perché per me non vi era né Dio né Santi. Stando io fra l’oscurità, se mi venivano per il pensiero i lumi e le aspirazioni avute per il passato, tutto serviva per più patire; perché tutto parevami fosse stato illusione diabolica e cose di propria immaginazione. Mi vennero tali tentazioni e con tale offuscazione di mente, che tosto divenne ogni cosa tenebre. Tutto questo giorno, con la notte e il giorno veniente, lo passai così senza sentimento nessuno. Altro non restava nella mia mente, che tutto il mio operare fosse operazione di satanasso e che il voler imitare le sante, era vera superbia; ché tanto per me non vi è più rimedio”(D. II, 601.604)

Le manovre sataniche si muovevano su tre fronti principali: il primo, il più evidente e tormentoso, è quello di travolgere la Santa dall’oscurità spirituale a causa dell’oscurarsi della fede. Per lei non esisteva altro che nebbia densa o, peggio ancora, la tenebra interiore, nella quale non si poteva vedere alcuna realtà, perché tutto era sovrastato dal buio denso. Lo stesso Bene sommo, che costituiva il suo riferimento basilare, era come scomparso. Anche la preghiera, di cui si alimentava il suo animo, appariva inutile e insignificante, priva di luci che potessero farle intravedere il senso e il valore dell’orazione.

            Il secondo fronte dell’attacco demoniaco è posto nella mente, per suscitare pensieri non solo di offuscamento ma anche di demolizione attorno a quelle realtà spirituali che Veronica aveva ricevuto dalla divina Bontà come fossero pure costruzioni umane e non già frutto della grazia. In un attimo erano vanificate e perse nel nulla quale illusione menzognera del demonio. Questa seconda tentazione cerca di distruggere il cammino fatto, causando scoraggiamento e depressione.

            La prova più grande e faticosa avviene sul terzo fronte, quando la Santa non solo si vede derubata delle fatiche e dei doni dello Spirito Santo, ma addirittura le sue esperienze mistiche le apparivano come opera satanica per provocare in lei l’orgoglio spirituale di voler imitare le Sante e perciò essere destinata alla condanna eterna. La superbia costituisce l’elemento più rilevante per l’allontanamento da Dio e la perdita del Bene sommo. Quest’ultima tentazione genera in lei una vera tortura e la prostra in una profonda afflizione. Probabilmente si tratta dell’aspetto più amaro e angosciante.

            Le tre situazioni tornano in un crescendo di potenze negative che si abbattono su Veronica: la notte interiore, che la avvolge totalmente e la copre di tenebra, determina la combinazione generica e desolante; la perdita del patrimonio spirituale la fa cadere nella totale nullità e le insinua il dubbio dell’inganno e dell’illusione; infine si fa pungente la malignità di essere mossa dalla propria vanagloria nel ricercare la sequela di Cristo, proiettandola nello spavento del fallimento finale. Sotto tale ossessione si forgia tuttavia il suo animo, mentre la fede e l’amore si irrobustiscono nella purificazione da ogni possibile infiltrazione malvagia e peccaminosa.

b. Veronica inoltre veniva ostacolata nell’orazione. Il demonio, puntando sulla debolezza della sua umanità, non perdeva occasione nel tentarla ad abbandonare il sacrificio della preghiera.

La aizzava perché tralasciasse le pratiche di pietà e con parole suadenti la invitava a concedersi riposo:

“In questo mentre, mi è parso di sentire una voce, ivi vicina a me, che così mi diceva: O pazza che tu sei! Non vedi che ti eleggi un inferno, in questa vita? Ti basti quello che avrai, nell’altra, che, ti assicuro, sarà grande. Va un poco a riposare; non ti prendere tanta pena, perché già l’avrai, nell’altra vita. Questa voce che sentivo, mi faceva tutta travagliare e mettere sossopra; ma mi sono accorta che era il nemico infernale. Non si faceva vedere con vista, ma bensì lo sentivo bene; e mi attizzava molto che io tralasciassi l’orazione” (D. I, 548).

            L’insinuazione satanica appare allettante e per certi aspetti anche prudente: perché cercare tante tribolazioni su questa terra, quando ce ne saranno molte di più e più pesanti nell’aldilà? Un po’ di riposo e di quiete fa bene al corpo e all’anima senza doversi agitare per inventare penitenze eccessivamente gravose che potrebbero provocare malanni fisici. In fondo il buon senso deve moderare le esagerazioni ascetiche. Il consiglio dunque poteva essere ben accetto. Veronica però non si lascia ingannare e istintivamente opera un discernimento riconoscendo essere una tattica demoniaca per allontanarla dalla preghiera. Questa invece deve avere il primo posto nella vita monastica e nella crescita spirituale. La tentazione viene allontanata, con una lucida dichiarazione scaturita dall’animo di Veronica:

“Di nuovo, ho preso un poco di animo e gli ho detto: O bestia infernale, per te non ho cominciato la mia orazione e per te non la voglio lasciare. Viva il mio Dio! Esso è il trionfatore di tutte le vittorie. In lui confido, di me diffido. E poi, rivolta verso il Signore, così gli andavo dicendo: Mio Gesù, aiutatemi. Vostra sono; Voi solo voglio amare. Questo cuore altro non brama che di unirsi a Voi. Trattatemi come volete; sono contenta di darvi gusto. Questa notte, altro riposo non voglio, che di perseverare e fare la vostra volontà adesso e sempre” (D. I, 548).

            La reazione di Veronica non si fa attendere, ma con prontezza e lucidità getta davanti a Satana un ragionamento così logico da non fare una piega e non ammettere appigli. Ella ripropone decisamente il primato da dare a Dio, perché è Lui che deve adorare, servire e pregare; a Lui ha rivolto la sua orazione e da Lui non può distaccarsi per assecondare le insulse richieste del tentatore. Poi fa un esplicito atto di affidamento al suo Signore, da cui soltanto attende protezione e grazia riproponendo con forza l’appartenenza totale a Lui. Solo Gesù ella deve amare con tutte le energie e per amor suo è pronta ad affrontare ogni pena. Ribadisce con convinzione la teoria che l’amare non può dissociarsi dal patire. In tal modo Veronica mostra non solo la coerenza interiore ma si fa autentica maestra di fedeltà assoluta alla divina volontà. Questa sua certezza diventa un ostacolo insuperabile dalle insidie del maligno che se ne va sconfitto e smascherato nella propria viltà menzognera.

“Mentre così dicevo, mi è venuta quella agonia di morte e parevami che il Signore fosse molto più nascosto. Le tenebre crescevano, le tentazioni rincalzavano, l’umanità si abbatteva e più non potevo respirare. Sono stata, buon tempo, così col puro atto di fede, e con gran patire. Sia tutto per amore di Dio! Il tutto è poco!” (D. I, 548).

            Alla fine sopraggiunge impietosa la prostrazione dell’anima che la imprigiona nuovamente nelle tenebre e nella solitudine angosciosa fino a mancarle il respiro. Eppure resiste eroicamente, aggrappandosi unicamente alla pura e cruda fede e alla dedizione amorosa a Dio. Veronica rivela una grande forza interiore, restando ancorata saldamente alla solidarietà del patire con l’amare. Si resta sorpresi e ammirati. Grazie alla sua obbedienza di scrivere le esperienze mistiche, ella ha lasciato una testimonianza impareggiabile di fermezza e di coerenza.

 

c. Spesso Veronica si sentiva invasa da una noia inesplicabile, da un senso di vuoto, di tristezza, di nausea; provava astio verso il monastero, dichiarando di non riuscire a sopportare neanche se stessa; il vedersi con l’abito addosso le dà tormento, lo scrive con sincerità:

“Questa notte, sono stata travagliata, di molto, con tutte le sorte tentazioni. Non potevo aiutarmi con niente; mi sentivo un’afflizione di morte. Fra le altre pene che avevo, il tentatore mi metteva un aborrimento e tedio a tutte le cose della Religione. Il vedermi quest’abito addosso, mi dava tormento. O Dio! Che pena, che dolore mi apportava! Non avrei voluto avere tali cose, per non offendere Iddio. Così dicevo: Mio Signore, se volete che tali cose servano per più patire, e sia la vostra volontà che io le senta, ma non consenta, eccomi pronta a patire questo e tutto quello che Voi volete. Purché, di volontà, non vi offenda mai e poi mai, questo mi basta. E poi, rivolta a me stessa, dicevo: O Veronica, che badi Che fai? Che non ti dài, del tutto, in tutto, ad amare il Sommo Bene? Ora è tempo. Fra tenebre, fra il patire si trova il vero amore. Ora io baciavo il santo abito, ora le mura …” (D. I, 304).

            In questo brano possono rilevarsi tre pennellate interessanti che offrono ulteriormente un quadro suggestivo della spiritualità veronichiana. Anzitutto ella fa vedere come il diavolo le mette addosso una specie di fastidio, che poi si tramuta in rifiuto e riluttanza verso le cose sacre proprie della vita monastica e in particolare verso l’abito religioso, che pur ella indossava con profonda venerazione e rispetto. Strano sovvertimento! Esso le causa una dolorosa angoscia, che tuttavia riconosce provenire dal tentatore. Allora si rianima rivolgendosi confidenzialmente al Signore.

            In questa invocazione appare un secondo tratto della sua anima, la quale distingue le sensazioni provate contro la vita religiosa dal consenso a tali sentimenti. Ella lo indica quando dice di sentire ma non di approvare o acconsentire. Non avrebbe voluto neanche percepire simili malvagie impressioni, che le arrecano tanta pena, ma tutto offre alla divina volontà. Trasforma il patimento in offerta di amore. L’importante è che la sua libera adesione resti sottomessa a Dio.

            Giunge infine al terzo tocco di elevata spiritualità, in cui si sprofonda nell’amore al sommo Bene. Adesso si affida totalmente a Lui e lì trova la pace suprema, perché nel patire si trova il vero amore. Grande animo quello di Veronica! E’ vero che ha sofferto tremendamente, ma è anche vero che ha assaporato la tenerezza e la beatitudine della Bontà infinita.

Il demonio interveniva con insistenza, per accrescere le difficoltà. Giova ascoltare ancora alcune considerazioni nelle quali appare la maestria di Veronica nel superare le insidie del nemico e che possono dare luce a tante anime, le quali si trovano a dover attraversare il medesimo cunicolo:

“Questa notte, vi sono stati di molti travagli; in specie, fra tre volte, ho sentito una voce spaventevole che così mi andava dicendo: O pazza che tu sei! Non vedi che tutte le grazie e doni che hai ricevuto, sono cose diaboliche? Se fosse Iddio, saresti santa perché sono cose grandi. In questo punto mi metteva una fine tentazione di vanagloria. Con atti interni di umiltà e con ricorrere alla B. Vergine, ho vinto. Ogni volta, mi rincalzava più. Alla fine mi ha messa una grande tentazione di disperazione. Questa ancora l’ho vinta con atti di speranza fede in Dio. Quando sentivo quella voce, vedevo anche un fantasma di orribile aspetto che mi dava urtoni, e diceva: Non occorre che tu cerchi altro; non vi è rimedio per te; sei nostra” (D. II, 738).

            Questa volta il diavolo mette alla prova Veronica sotto tre funeste menzogne: la prima cerca di confondere il bene con il male, suggerendo l’idea che le grazie e i doni in lei sono stati originati dai demoni e non da Dio, altrimenti sarebbe una santa. Da qui nasce la menzogna della vanagloria per far credere a Veronica di aver raggiunto un alto grado di perfezione e di potersi considerare una donna colma di santità. Infine la terza menzogna, la più grave e impertinente, vuole ispirare nell’animo di Veronica la convinzione di essere posseduta da Satana, di appartenere al suo dominio ed essere sua schiava. Ciò provoca in lei un senso di demoralizzazione fino a pensare di essere dannata. Povera Veronica! Quanta amarezza ha dovuto provare. D’altronde si sa che il diavolo è menzognero e padre della menzogna, come lo definisce Gesù stesso. Da lui certamente non può uscire alcunché di vero e di buono.

“Dopo il Mattutino, mentre volevo fare un atto di obbedienza di scrivere per un quarto d’ora, ebbi all’improvviso un gran pugno in un occhio e sentii una voce che disse: Maledetti scritti! Con furia, voleva levarmi la tavoletta e il calamaro; ma li ritenni. Mi fece ridere; ma sentivo tanto il gran dolore nell’occhio; e mi lagrimava tanto. Pensavo fosse crepato. Non potei farci altro. Offerivo a Dio la pena che sentivo. (I demoni) fecero gran rumore in cella; e lasciarono un puzzore così grande, che mi faceva venir meno. Sia tutto per amore di Dio!” (D. II, 738)

            Altra circostanza sconvolgente e dolorosa è quella in cui le si avvicina il diavolo in persona per impedirle di scrivere il Diario, definito “i maledetti scritti”, e distoglierla dall’impegno assunto. Lei reagisce con prontezza ed energia. Tuttavia rimane con l’occhio offeso per il pugno ricevuto dal demonio, pensando che fosse accecata. La vittoria tuttavia è dovuta a Veronica che in ultimo, come di consueto, sa congiungere la grande sofferenza con altrettanto immenso amore verso Dio. L’amore dunque vince e trasforma il dolore. Qui va posto il suo successo contro gli attacchi del tignoso d’inferno.

2. La malignità diabolica e la visione dell’inferno

Sono significativi due episodi che mostrano la perfidia del maligno nella lotta con la Santa.

Il primo fatto è veramente curioso. Assumendo le sembianze di Veronica, il demonio entrò un giorno nella camera di una compagna, con la quale iniziò un discorso dicendo tutto il male possibile della Madre maestra. Sorpresa e scandalizzata, in preda a grande agitazione, la suora si recò subito dalla Madre per metterla al corrente del fatto. La maestra ne rimase addolorata e per quattro giorni non degnò di una parola Veronica. La cosa venne poi in chiaro: si poté conoscere che proprio nella stessa ora del colloquio, Veronica si trovava nella camera della stessa maestra a parlarle di cose spirituali: “e così si conobbe ch’era stato il demonio” (D. I, 418-419).

Il secondo caso appare ancora più subdolo. Il demonio nuovamente prende le sembianze della Madre maestra per consigliare alla Santa di non aprirsi al confessore. Un giorno ella sentì bussare alla porta della cella e dal modo di bussare le sembrò che fosse la maestra. Appena entrata, Veronica provò una ribellione istintiva, mentre un senso di ribrezzo le serpeggiava nel cuore. La finta maestra iniziò il discorso prendendo le cose molto alla lontana: prometteva e domandava il più rigoroso silenzio, sotto la scusa che si trattava di delicata questione; ostentava vivo interesse per il bene della suddita, mostrando il più sentito rammarico per ciò che avrebbe detto; e venne al nocciolo:

“Mi è arrivato alle orecchie un certo discorso sopra di voi e del vostro confessore; si dice che tra voi e il confessore vi sia amicizia così intrinseca, che coi medesimi discorsi spirituali venite ad avere il vostro intento di peccare. Io vi ho difeso col dire che non è vero niente, ma pensate: la cosa è tanto avanti che domani (e questo era vero) verrà l’avviso e sarà dato lo sfratto al Padre. Tutta la comunità è scandalizzata, e il disonore cadrà su tutta la comunità se non vi mettete rimedio. Vi impongo dunque in virtù di santa ubbidienza che non andiate più a confessarvi, se non nel caso di colpa gravissima, e che non parliate più con nessuno delle cose del vostro interno, né col confessore ordinario, né con lo straordinario e nemmeno con me” (D. I. 409).

            Il discorso demoniaco si presenta in modo untuoso e falsamente veritiero, come se si trattasse di argomento alquanto scabroso e imbarazzante, che richiede attenzione e molta prudenza. Di fatto tocca un punto malizioso e vergognoso, quello della sensualità e del peccato contro il voto di castità. La cosa singolare sta nel modo di parlare che imita bene le raccomandazioni fatte dai responsabili nei confronti dei sudditi con un tono sommesso, pacato e in parte misterioso ma che pur dev’essere svelato con conseguente scandalo pubblico. L’insieme dell’esortazione suscita sospensione di respiro e l’attesa trepidante di quello che potrebbe scatenarsi da simili premesse non certamente benevole.

            Lo scopo che il diavolo intende raggiungere è quello di imporre a Veronica di tacere sulle sue esperienze mistiche per evitare il bene che potrebbero suscitare e diffondere nelle anime. Quei maledetti scritti sono odiati dal demonio e, se fosse possibile, sarebbero da mettere al bando ed essere bruciati. La malignità consiste nel far passare per sani consigli ciò che invece è una depravata distrazione dalla volontà di Dio. Veronica è in conflitto tra due sentimenti. L’uno le causa la riprovazione di ciò che le viene suggerito sia perché contrario a quanto le è stato chiesto per obbedienza sia perché ella subodora l’inganno del nemico; l’altro sentimento la invita alla sottomissione in quanto ritiene l’obbedienza una virtù fondamentale della vita cristiana. Che fare?

Vincendo l’inquietudine che le gravava l’animo, Veronica rispose:

“Non parlerò con nessuno, solo manderò per Monsignor Vescovo. A lui dirò tutto quello di cui ho parlato col confessore; lui sarà il giudice! “lo vi dico e di nuovo vi ridico che non parliate con nessuno-riprese con tono autoritario la falsa maestra -né con il Vescovo, Dio ne guardi se ciò andasse alle sue orecchie! Fate quanto vi ho detto io e vivete posata”.

(D. I, 415).

Ciò detto, il demonio camuffato andò via. Veronica rimase sbalordita e passò la notte in profonda agitazione. Al mattino poté chiarire la cosa: la Madre non era andata in cella sua, né ombra di verità esisteva in tutto il racconto; il diavolo veniva così smascherato. Lo scopo del nemico era manifesto: impedire la direzione spirituale della Santa e metterla in cattiva luce nel monastero, suscitando avversione anche contro la Madre maestra. Di fatto ella ne rimase intimamente ferita e fece fatica a superare le ombre che il maligno aveva addensato nella sua mente:

“Il tentatore mi mise una avversità così grande verso la madre maestra e con il confessore, che non mi fidavo né dell’una né dell’altro: nemmeno con nessuna sorella; benché tanto non potevo parlare, stantecché l’anno del noviziato non si parla con alcuna. L’istesso avevo con la superiora; ma però conoscevo che era tentazione. Così cercavo di vincermi quando potevo, e delle volte dicevo qualche cosa” (D. V, 719).

Il Diario è pieno delle sue lotte con i demoni e delle sue visite e descrizioni dell’inferno, che viene dipinto come “una regione bassa, nera, fetida e piena di urla animalesche e di lampi sinistri”. Accompagnata dai suoi angeli custodi e dalla Madonna, quasi tutti i giorni vede l’inferno in cui si trova una montagna piena di aspidi e basilischi che incatenavano le persone. Ai fianchi della montagna c’era una moltitudine di anime e di demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni tormentavano le anime dei dannati e nel fondo dell’abisso c’era un trono mostruoso. Al centro una sedia formata dai diavoli capi dell’abisso. Satana vi stava seduto sopra in tutto il suo indescrivibile orrore. La visione di Satana costituisce il grande tormento dell’inferno come la visione di Dio causa la delizia del paradiso.

L’inferno è il risultato disastroso di chi rifiuta l’amore di Dio e la purificazione dai peccati e sceglie volutamente di rimanere nello stato di durezza di cuore. Veronica comprende che il peccato conduce alla dannazione, mentre la sofferenza espia le colpe e l’amore unisce a Gesù e porta alla beatitudine eterna. Ella offre un grande contributo al “trionfo dell’amore”. Proprio dalla visione dell’inferno ebbe la percezione esatta e drammatica in cosa consista la perversità del peccato e a quale tremenda condanna esso conduca le creature umane. Da qui ebbe l’impulso di patire per riparare tante cattiverie e poter evitare agli uomini l’inferno, cooperando all’opera redentrice di Cristo. I suoi tormenti dunque vanno incastonati dentro la cornice tragica del peccato e insieme vanno sopportati e ravvivati con l’amore per Gesù e per l’umanità. In questo contesto Veronica accoglie con apertura di cuore le numerose pene disseminate sul suo cammino con l’entusiasmo di chi si rende conto di compiere un prezioso servizio per il bene di tutti.

Il 22 febbraio 1696 ella annota sul Diario:

“La scorsa notte l’ho passata con più sorta di tentazioni, in particolare sopra la fede: di non credere che vi sia altra vita che questa; e mi battevo sopra il non credere nel Santissimo Sacramento; e anche mi tentavano che io non credessi che noi creature avessimo l’anima: e che questa, morto che sia il corpo, abbia da andare in luogo alcuno; e che, per questo poco tempo che mi resta, mi dessi bel tempo e che delle volte mi pigliassi qualche sollievo. Da queste tentazioni cominciarono anche a venire fantasmi visibili. Mi feci animo e dissi loro: O pazzi che siete! Che pretendete da me?.Se venite per aiutarmi a patire, eccomi pronta a tutto. Voi fate quanto vi è permesso da Dio: e io non voglio che la sua santa volontà! E poi, rivolta al mio Signore, così gli dissi:-Mio sommo bene, Gesù mio caro: vostra sono!..Altro non voglio che Voi: in Voi credo, in Voi confido, di me diffido! Mentre così dicevo io al Signore, quegli spiriti infernali fecero così gran strepito, in cella nostra, che mi pareva che ci fosse tutto l’inferno!” (D. I, 531).

            Nelle varie descrizioni Veronica sperimenta ciò che succedeva nell’antichità ai Padri nel deserto, in perfetta consonanza con le loro accanite lotte verso il nemico infernale. Ciò comprova che ella si pone sulle orme della tradizione spirituale della Chiesa e nella fedeltà alla dottrina demonologica sostenuta e professata dall’autorità magisteriale dei concili e dei papi.

            In particolare nel presente racconto, dopo aver delineato le tentazioni circa la fede, che toccano gli aspetti essenziali del credo ecclesiale, ella afferma anche di vedere fantasmi e figure mostruose. Di fronte a tali aggressori si fa animo e scaglia contro di loro le verità professate dalla e nella Chiesa, affinché tornino in se stessi e non pretendano di fare più di quanto è concesso loro dalla volontà divina. Dimostra così di riconoscerli creature inferiori a Dio e anch’esse sottoposte alla sua signoria. Non possiedono un potere assoluto e sono ben delimitati nella sfera delle loro azioni. Giustamente ella non li teme, anzi li accetta se sono strumenti provvidenziali per farle esercitare la volontà e rafforzare la fede. Altrimenti li apostrofa ordinando di allontanarsi; si prende beffa di loro e li schernisce ridendo. In fondo sono esseri meschini, buffoni e deboli, pur volendo apparire altezzosi e impetuosi:

“Alla fine, mi ha incominciato a travagliare con fantasmi di più sorte, in particolare di mia figura; e mi persuadeva, che, per la mia gentilezza (delicatezza), non avrei potuto durare col rigore di vita intrapreso. Qui anche mi ha fatto ridere di questi pensieri che piglia verso di me. Io gli ho detto, che, in quanto a questo, conosco da me quello che posso fare, e sono sicura che io, come io, non potrei muovere un dito, ma che, tutta posta nelle mani di Dio, Esso opera tutto in me, e di Lui mi fido, e tutto si ha da fare per sua gloria, e per adempire la sua santa volontà. Qui voglio stare, e questa sarà sempre la prima in pigliare tutte le mie operazioni; perché tutte hanno ad esser fatte colla volontà di Dio, e col gusto suo. E poi, rivolta al tentatore, gli ho detto: Vattene pure, o tizzone d’inferno. Non li do retta a niente. Sei bugiardo, e porti teco tutti i mali. Però con essi ritorna alle tue stanze d’abisso. P. Confessore, mi creda che, detto che ebbi questo, mi parve di vedere il demonio tutto infuriato; e, se avesse potuto, mi avrebbe tolto la vita. Ma mi fece di nuovo ridere, perché tosto fuggì. Dopo mi quietai un poco, e potei applicare un po’ all’orazione” (D. I, 245).

L’aggressività di Satana si è scatenata contro di lei fino a tentare di ucciderla facendola precipitare per le scale. Una volta fu oggetto di una scarica di sassi, che si conservano ancora nel monastero e sono chiamati i mattoni del diavolo. Il demonio voleva strozzarla, la tentava di fuggire dal convento, di fingersi pazza e, siccome resisteva, la scaraventava per terra causandole molto dolore; la faceva mordere da vari animali feroci, le poneva sporcizia nelle vivande. Insomma una continua persecuzione. Il Signore permetteva tutto ciò perché il tentatore ne avesse scorno peggiore, per dare a lei meriti maggiori, e perché la sua virtù fosse meglio conosciuta ed apprezzata. Lei stessa ne riceveva un vantaggio spirituale per ravvivare la fede, mantenere l’umiltà e accettare le sofferenze per amore del suo Sposo.

3. L’amare e il patire per Gesù quale fonte di gioia

La guerra spietata mossa dal demonio a Veronica ebbe come risultato un amore sempre più profondo per Gesù e per la croce, impastata mirabilmente di amore, obbedienza e unione con Dio.

”Questa notte, dalle cinque ore sino alle 10 ore, ho avuto varie pene e molti contrasti. Il demonio volevami inquietare sopra la mia vita passata; e poi, mi tentava che io facessi un atto risoluto di non volere accettare più patimenti. Ma io ho fatto tutto l’opposto; ho rinnovato le mie proteste, ed ho dato un nuovo consentimento, ché si adempia in me la divina volontà, con esibirmi alle pene, alle croci ed ai tormenti, per puro amore di Dio e per fare la sua volontà ss.ma. L’anima mia si è posta tutta nelle mani di Dio, con aver fatto la rinunzia di tutte le cose transitorie di questa vita” (D. IV, 32).

            Veronica mette in luce il singolare duello che deve esplicare contro l’accanito avversario. Sono posti uno di contro all’altro i due contendenti. Dapprima ella espone le mosse sferrate dal demonio in due attacchi successivi: il primo si avventa direttamente sulla persona antagonista, cercando di colpirla nel modo più vasto, percorrendo perfidamente le tappe più umilianti della sua storia; il secondo assalto più feroce tenta di sgretolare e demolire le armi con cui la nemica si difende e che per il demonio sono spaventosamente impenetrabili e rocciose, cioè le sofferenze.

            Di rimpetto Veronica usa un metodo del tutto inverso: anziché avventarsi contro l’odioso nemico, si trincera dentro le proprie sicurezze e in tal modo lo indispettisce e lo irrita; rinnova la sua totale adesione e obbedienza a Dio; acconsente di accogliere penitenze e sacrifici, insaporendo ogni cosa con l’amore. Ella si pone serenamente e fiduciosamente nelle braccia del Signore. Tale comportamento non solo la difende dagli assalti malvagi, ma la rende così salda e invulnerabile che scatena la stizza dell’avversario, il quale si vede fallito nell’impresa bellica e miseramente sconfitto. Ella ne esce vittoriosa non per la propria validità, ma unicamente per la potenza di Colui a cui si è affidata.

Ne risulta che ella in tutte queste situazioni di lotta infernale permesse da Dio, in cui il demonio si scagliava con tutta la sua rabbia contro di lei, la malediceva e la minacciava di mali e trattamenti peggiori, proseguiva tranquilla nella sua strada. Sapeva che al principe della superbia non vi è miglior modo di rispondere che col disprezzo. Alle volte però, come si è visto, arrivava ad aizzarlo contro di sé per mostrargli che non ne aveva alcun timore, ora ridendosi delle sue maledizioni e schernendolo con i titoli più obbrobriosi.

Nel Diario alla data del 15 Marzo 1696 scrive:

“In questa notte, l’ho passata con più travagli e sono stata, di continuo, in tenebre e sempre con tentazioni: in particolare, sopra il terzo voto e contro la fede. Vi sono stati i fantasmi, ma non visibili. Solo hanno fatto gran rumore, ché mi pareva volessero gettare a terra la nostra cella. A tutto mi sono fatta animo, ed andavo dicendo: Mio Signore, siate benedetto! Eccomi a tutto pronta. Si faccia la vostra volontà! Questa bramo, questa vi chiedo” (D. I, 547).

Sperimenta uno stato di sofferenza estrema che chiama la nuda croce e il puro patire, in corrispondenza a quello che i mistici definiscono “la notte dello spirito” cioè la privazione assoluta di ogni conforto spirituale. Sperimenta anche il sentimento doloroso di essere lontana da Dio e il sentimento acuto dell’abbandono divino. Dall’altro canto prova un desiderio ardente di immergersi in Dio e di stare unita a Lui, mentre avverte l’angoscia di essere sola senza di Lui; sente il bisogno di un possesso definitivo dell’amore e nello stesso tempo Dio si nasconde; viene attratta potentemente verso Dio ed è spinta a cercarlo, ma quando si slancia verso di Lui non trova che vuoto e silenzio, si dibatte nella notte più profonda dello spirito soffrendo il silenzio del cuore. Tuttavia non le mancano momenti di indescrivibile gioia e serenità dell’animo, che l’appagano di tutte le contrarietà. Anzi le fanno capire che ogni altra allegrezza è nulla rispetto alla sua pace interiore:

“In questo mentre mi misi a considerare la pretiosità del patire; andavo, colla mia mente, per il mondo tutto, per vedere se trovavo gioie simili a questa. Ma indarno mi affatigavo; perché non vi è corona, né di papa, né di imperatore, né di re, né di monarca nissuno, a gioie così pregiate, che si possa paragonare alla gioia pretiosa del puro patire” (D. V, 40).

            Le espressioni di Veronica assumono un sapore di straordinaria profondità e di inaudita sorpresa. Non solo le gioie succedono alle pene, come due momenti distinti e distaccati uno dall’altro. Ella arriva ad affermare che il patire stesso si fa portatore di gioia. Una novità assoluta e incredibile. Anzi il patire si identifica con la gioia, che dona al patire una eccellente preziosità. Ha l’ardire di fare un paragone con tutte le felicità vissute nel mondo dalle persone più eccelse e ricche. Eppure ella dichiara che non ne ha trovata alcuna simile alla beatitudine della sofferenza. Ci si chiede quale sia la ragione di una affermazione umanamente così assurda e insieme così decisa e indiscutibile. Come può Veronica azzardare una asserzione di tale portata inverosimile e di esserne così convinta da non ammettere obiezioni di sorta, ma restare tranquilla e imperterrita? Non esiste al mondo una delizia tanto grande come il soffrire.

            Lo sostiene lei ma ne dà anche la spiegazione illuminante:

“In questo mentre, parvemi che il Signore mi desse a conoscere la bellezza di questa gioia. Ma io non la posso paragonare a niente di questa vita, perché tutte le più pregiate gioie che si possono mai trovare, poste con questa, divengono nulla. È tale la sua bellezza, che, godendo; l’anima di avere tal gioia, le pare di godere un paradiso qui in terra; tanto è bella e desiderabile! Basta dire che l’ha formata, l’ha abbellita lo stesso Amore. Anzi è comprata ad un prezzo infinito, e vale più questa che tutti i tesori del mondo tutto. Divengono essi come niente o, per dir meglio, sono come fango. La sua bellezza supera tutte le bellezze dell’universo; la sua grandezza fa divenire ogni cosa un nulla; la sua chiarezza e splendore ci fa vedere che tutti i gusti e contenti di questa vita sono tenebre ed oscurità ben grandi” (D. V, 41).

            Si tratta dell’inno alla gioia del patire nell’amare. Con una incantevole lirica Veronica canta l’elogio della sofferenza contemplandola nello splendore della sua bellezza. Una bellezza che sorpassa qualsiasi altra bellezza creata. E ciò è dovuto alla causa da cui ha origine un tale fulgore: l’Amore l’ha formata e l’ha abbellita. In tali parole Veronica esplode nell’ammirazione estatica di fronte a tanta leggiadria. Non resta altro che fissare lo sguardo su di essa per cogliere gli aspetti più attraenti. L’Amore costituisce la fonte suprema e ineffabile che ha reso il patire così amabile e piacevole. Quell’Amore di Cristo ha trasformato con il sacrificio della croce il soffrire in salvezza. La crocifissione di Gesù rivela l’evento redentore molto prezioso e costoso, che ha avuto il potere e il merito di far risplendere la sofferenza nella luminosità dell’amore.

            Veronica esprime con lirismo il fulcro del mistero salvifico, assommando insieme il dolore con l’amore da cui emana il fascino di una bellezza incomparabile. Teologia, fede, contemplazione e poesia si amalgamano mirabilmente per inneggiare all’Amore di Cristo immolato. Ella ne è totalmente coinvolta e si lascia irradiare per esplodere nell’esclamazione finale di gioia:

“O gioia preziosa! io ti vo’ tenere appresso di me. E nissuno mi stia a nominare più patire; ma si dica e si nomini sempre gioia. E, se per sorte venisse persona alcuna tribolata da V. R., le dia questa nova, che non vi è più il nome di patire, ma che le tribolationi e i travagli si hanno da chiamare gusti e contenti, e si hanno da tenere cari, come gioie pretiosissime. Così sia” (D. V, 41).

            Si giunge così alla conclusione sublime che identifica totalmente il patire con il gioire. Ambedue formano una identità piena, tanto che non si può pensare alla sofferenza senza affermare contemporaneamente l’allegrezza: le tribolazioni e i travagli si devono chiamare gusti e contenti. A questo punto si può dire che l’esperienza veronichiana diventa teoria comprovata e vissuta del patire e dell’amare.

Ammaestramenti questi che fanno comprendere come il patire per amore è uno stato di natura spirituale di altissimo valore, perché rivela il cuore e la vitalità del cristianesimo:

“II patire è un tesoro che in sé serra tutti gli altri tesori; è un mare dal quale si fanno molti fiumi e rivi, per innaffiare tutti gli orti e i giardini di ciascun’anima. Questo patire è un fonte, ma fonte sigillato con l’amore. Che più? E’ un convito nel quale vi sono tutte le sorte di vivande, e tutte acconcie e condite col puro amore. Dunque, il patire si può chiamare banchetto e convito di amore” (D. V, 87).

            Ancora delle pennellate significative e brillanti sulla configurazione del patire. Veronica usa alcune immagini e similitudini che esprimono bene la concezione che ella possiede attorno alla sofferenza, per darne una delucidazione inequivocabile, la quale non ha niente a che fare con forme di masochismo e o di isterismo emotivo. Ella rivela una viva lucidità mentale e insieme una vivace espressività verbale con rilevanti tocchi di acutezza. Il patire è indicato come il tesoro che raccoglie in sé tutti gli altri desideri, in modo da doverlo valorizzare come si conviene e non lasciarsi ingannare dai pregiudizi che esso porta con sé; è come un mare da cui nascono fiumi e ruscelli per portare l’acqua refrigerante ad ogni anima, in quanto dal patire sorgono effetti benefici per la maturazione della propria personalità e sensibilità.

             Tuttavia Veronica precisa, coerentemente il suo modo di vedere, che la sorgente del soffrire non ha una propria validità se non viene irrorata e purificata dall’amore. Proprio l’amare dona al patire il sapore appetitoso che invita alla mensa della vita e della bontà, dove tutti possono rallegrarsi e godere di cibi succulenti, conditi saporosamente dall’amore. Veronica conclude con una frase riassuntiva: il patire è il banchetto e il convito di amore. Sta qui il succo fragrante della sua esperienza mistica e del suo solido pensiero. Lì si concentrano la sua vita e la sua santità.

[1] Laureato in teologia dogmatica al Laterano, Dottore in filosofia ad Urbino. Membro della Pontificia Accademia Teologica.

[2] I brani riportati si riferiscono ai volumi pubblicati e sono citati con la sigla D., il volume I–VII, il numero delle pagine: Fioruccio (a cura di), “Un tesoro nascosto” ossia il Diario di S. Veronica Giuliani, Nuova edizione I-IV, Monastero delle Cappuccine, Città di Castello 1969-1974; Iriarte L.-De Felice A. (a cura di), Diario di S. Veronica Giuliani, V, Monastero delle Cappuccine, Città di Castello 1987; Cittadini Fulvi M.–Iriarte L. (a cura di), Diario di S. Veronica Giuliani, VI, Ed. critica Porziuncola, S. Maria degli Angeli, Assisi 1989; Iriarte L. (a cura di), Diario di S. Veronica Giuliani, VII, Ed. Porziuncola, S. Maria degli Angeli, Assisi 1991. Chi volesse una visione più ampia rimando al mio volume: Il patire e l’amare, Ed. Monastero San Silvestro Abate, Fabriano 2013.

L’esorcismo nella pastorale ordinaria della Chiesa del Card. Salvatore De Giorgi

L’ESORCISMO NELLA PASTORALE ORDINARIA DELLA CHIESA
del Card. Salvatore De Giorgi

Arcivescovo emerito di Palermo

1 – Un cordiale e fraterno saluto a tutti nel Signore Gesù.

Ho accolto ben volentieri l’invito a partecipare a questo Convegno nazionale degli esorcisti italiani sia per l’interesse pastorale che ho sempre avuto per il ministero degli esorcismi sia per la gioia di stare con voi e condividere le vostre esperienze e le vostre attese.

Ho accolto volentieri anche il tema affidatomi, “L’esorcismo nella pastorale ordinaria della Chiesa”, perché pone il dito su una piaga ancora viva della nostra pastorale ordinaria: non conoscere sufficientemente, non accogliere doverosamente, non valorizzare adeguatamente il dono che Gesù ha dato alla sua Chiesa per il bene dei suoi figli col ministero dell’esorcismo.

 Non riconoscere, non accogliere, non valorizzare i doni di Dio, soprattutto quando sono garantiti dal Magistero della Chiesa, è una grave colpa di orgoglio e di presunzione, a danno della stessa pastorale ordinaria. Se questa consiste nel prolungamento-attualizzazione dell’unica e universale missione di liberazione e di salvezza integrale e totale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, operata da Gesù e affidata alla sua Chiesa, la liberazione dal Maligno, nemico della salvezza dell’uomo, è la prima e più necessaria liberazione, come Gesù ci fa invocare il Padre nella sua preghiera: ”Liberaci dal Maligno”.

Il ministero degli esorcisti oggi è necessario e urgente come non mai, se nella Presentazione del nuovo Rito degli Esorcismi la Conferenza Episcopale Italiana (CEI), afferma di essere ”consapevole di offrire ai pastori d’anime e in particolare agli esorcisti un libro liturgico che nell’attuale situazione del nostro Paese risponde a un’avvertita esigenza” (CEI n.1).

2 – L’affermazione dei nostri vescovi suggerisce alcune considerazioni preliminari al nostro tema.

La pastorale ordinaria fa sempre riferimento alla situazione socio religiosa del tempo in un determinato Paese, e ogni libro liturgico è garanzia e norma di un’azione liturgica approvata dalla Chiesa. Ogni azione liturgica, a sua volta, è parte integrante della missione della Chiesa e quindi della pastorale ordinaria nel suo triplice e indissociabile aspetto di evangelizzazione, santificazione e carità, anche se con riferimento a una sua particolare dimensione, com’è la pastorale della liberazione, della consolazione e degli esorcismi.

 Per questo il nuovo Rito è offerto a tutti indistintamente i pastori d’anime, ossia vescovi e ai presbiteri, anche se in particolare agli esorcisti, il cui ministero straordinario è parte integrante della pastorale ordinaria.

E proprio la pastorale ordinaria, infatti, è interpellata dalla situazione socio religiosa del nostro Paese, come risulta dalla sintetica ma lucida analisi delle ragioni che motivano l’esigenza avvertita dai vescovi. È bene richiamarle, perché col passare degli anni non si sono attenuate ma aggravate.

Sono ragioni anzitutto di ordine religioso ed etico, come “la carenza in molte persone di un’incisiva esperienza di fede e di solide convinzioni religiose, la perdita di alcuni importanti valori cristiani e l’oscurarsi del senso profondo della vita”, che “concorrono a creare un clima di incertezza e di precarietà, il quale a sua volta favorisce il ricorso a forme di divinazione, a pratiche religiose venate di superstizione, a espressioni rituali di magia e talora perfino a riti estremamente aberranti, come quelli del culto a Satana”(n.2), che in Italia si sta diffondendo anche in forma associativa con oltre 500 gruppi secondo il CESNUR.

 Sono ragioni di ordine culturale e sociale, come il fatto che «in alcuni ambienti, la superstizione e la magia convivono con il progresso scientifico e tecnologico, incapace di dare risposte ai problemi ultimi dell’esistenza, non essendo competenti sui fini, ma solo sui mezzi. Anzi non è escluso che l’efficienza scientifica e tecnica, stimolando la bramosia di successo, possa in certi casi predisporre l’animo alla ricerca dell’efficienza magica, conferire alle pratiche superstiziose una patina di scientificità e di rispettabilità, suggerendo collegamenti con la medicina, la psicologia, la psichiatria, l’informatica; offrire infine alla magia il supporto per uno sviluppo imprenditoriale di vaste dimensioni, con un movimento di cospicui capitali» (n.3). Si pensi al ricorso sempre più frequente, numeroso e dispendioso a maghi, astrologi, cartomanti, falsi veggenti.

Le conseguenze sono da una parte “un diffuso e malsano interesse per la sfera del demoniaco al quale i mezzi di comunicazione sociale contribuiscono a dare risonanza e supporto”, e dall’altra, «in ampi settori della cultura contemporanea viene spesso sottovalutata o negata la presenza e l’azione di Satana nella storia e nella vita personale. Spesso si prende pretesto dal linguaggio, immaginoso e mitico, di cui a volte si servono la Scrittura, la Tradizione e la predicazione popolare, per rifiutare, senza il necessario discernimento, insieme all’involucro verbale anche il reale contenuto della Rivelazione e della dottrina della Chiesa» (n.4).

Indubbiamente se si nega la presenza reale e personale del demonio, la sua malefica azione ordinaria e straordinaria, si negano o si trascurano di conseguenza tutti i mezzi spirituali che il Signore ha dato alla sua Chiesa per combatterlo e vincerlo.

Purtroppo anche oggi fra cristiani e perfino tra sacerdoti, non voglio pensare tra vescovi, non mancano coloro che negano o mettono in dubbio l’esistenza personale del Demonio, considerandolo solo come un simbolo del male nel mondo, e perciò sono indifferenti o contrari ad ogni forma di esorcismo.

Eppure l’esistenza personale del Diavolo e dei demoni è una verità della nostra fede, che pervade tutta la Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse, costantemente insegnata senza ambiguità dal Magistero della Chiesa, e più recentemente nei Documenti del Concilio Vaticano II (in Lumen Gentium, Gaudium et Spes, Sacrosanctum Concilium, Ad Gentes), nel Catechismo della Chiesa Cattolica e soprattutto nella Premessa dottrinale del Nuovo Rito degli Esorcismi, particolarmente sottolineata da Padri, Dottori e Santi della Chiesa in ogni tempo, anche e direi soprattutto nel nostro tempo.

3 – Basti pensare agli interventi forti e chiari degli ultimi Pontefici.

Si tratta di un magistero costante, progressivo e tanto più insistente, quanto costante, progressiva e più insistente oggi è l’azione distruttrice di Satana.

Il Beato Paolo VI nella catechesi del 17 novembre 1972, sull’ultima invocazione del Padre nostro “Liberaci dal male”, dichiarava che «uno dei bisogni maggiori della Chiesa di oggi è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore».

Affermava con decisione, ed è importante sottolinearlo, che «esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerlo come persona realmente esistente; o lo spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni».

Avvertiva lucidamente che «quello sul Demonio e sull’influsso, ch’egli può esercitare sulle singole persone, come su comunità, su intere società, o su avvenimenti», è «un capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare», sottolineo “da ristudiare”. E con amarezza concludeva: «Ma oggi lo è poco». Sono passati 45 anni e non possiamo dire che oggi “lo è molto”, nonostante gli innegabili progressi, dovuti anche e soprattutto a voi, carissimi esorcisti.

San Giovanni Paolo II, che secondo P. Amorth è stato il primo papa esorcista, non solo ha sottolineato che «una tipica attività (di Gesù) è proprio quella dell’ esorcista», ma in cinque catechesi ha denunciato l’azione nefasta di Satana confutando quanti non ci credono o lo sottovalutano, e lamentando particolarmente «l’estendersi dell’ ammirazione per Satana, che sta conquistando vecchi e giovani in molte città dell’ Occidente» (Catechesi del 3,6,1998).

A lui siete certamente grati voi esorcisti per aver approvato il Rito rinnovato degli Esorcismi il 1 ottobre 1998.

Non meno deciso è stato Papa Benedetto XVI, che nel corso del suo pontificato ha parlato più volte di Satana soprattutto nelle catechesi sul Padre nostro e nei commenti sulle tentazioni di Gesù, confutando quanti negano la sua esistenza personale come già da cardinale aveva fatto nei riguardi di Herbert Haag.

 E anche a lui voi esorcisti siete grati perché in una udienza del mercoledi vi ha incoraggiati a proseguire nel vostro ministero sostenuti dalla vigile attenzione dei vostri vescovi e dalla incessante preghiera della comunità cristiana.

Papa Francesco è il Papa che più frequentemente, fin dalla prima omelia rivolta a noi Cardinali nella Cappella Sistina all’indomani della sua elezione, sottolinea la presenza e l’azione nefasta del Demonio nella Chiesa e nel mondo e la necessità dell’esorcismo.

Sono innumerevoli le citazioni in diverse catechesi e omelie .Mi limito a due significative confutazioni: a chi ritiene anacronistico parlare oggi del demonio, ha precisato con forza: «Il Demonio c’è anche nel secolo XXI» (Catechesi dell’11.4.2014); ad “alcuni preti” che considerano le liberazioni degli ossessi da parte di Gesù narrate nel Vangelo come semplici guarigioni da malattie psichiche, ha affermato con altrettanta forza: « E’ facile dire :tutti questi non erano indemoniati; erano malati psichici’. No!…Il Vangelo di oggi incomincia col Demonio scacciato e finisce col Demonio che torna. E queste non sono bugie. È la Parola del Signore» (Omelia dell’11 febbraio 2014).

 E sulla necessità degli esorcismi ha fatto chiaro e significativo riferimento nel discorso tenuto a conclusione del Corso annuale sul foro interno della Penitenzieria Apostolica di quest’anno: «Laddove il confessore si rendesse conto della presenza di veri e propri disturbi spirituali – che possono essere in larga parte psichici e ciò deve essere verificato attraverso una sana collaborazione con le scienze umane – non dovrà esitare a fare riferimento a coloro che,nella diocesi, sono incaricati di questo necessario (sottolineo necessario) e delicato ministero,vale a dire agli esorcisti. Ma questi devono essere scelti con molta cura e molta prudenza».

4 – Si comprende bene così l’importanza della lotta contro il Maligno nella pastorale ordinaria della Chiesa, con tutti i mezzi a sua disposizione, inclusi gli esorcismi. E si comprende anche come in ogni diocesi il vescovo, per amore dei suoi fedeli, dovrebbe assicurare la presenza dell’esorcista, tanto più che le richieste diventanto più frequenti e insistenti.

Indubbiamente l’azione ordinaria di Satana è la tentazione al male.

E’ questo, come precisano i vescovi italiani nella Presentazione, «il pericolo più grave e dannoso in quanto si oppone direttamente al disegno salvifico di Dio e all’edificazione del Regno. Satana riesce a impadronirsi davvero dell’uomo in ciò che ha di più intimo e prezioso quando questi, con atto libero e personale, si mette in suo potere con il peccato. Invece i fenomeni diabolici straordinari della possessione, dell’ossessione, della vessazione e dell’infestazione sono possibili, ma di fatto, a parere degli esperti, sono rari. Provocano certo grandi sofferenze, ma di per sé non allontanano da Dio e non hanno la gravità del peccato» (CEI,n.7).

Precisata questa chiara distinzione, giustamente traggono una saggia raccomandazione: «Sarebbe quindi da stolti prestare tanta attenzione all’eventuale presenza del Maligno in alcuni fenomeni insoliti e non preoccuparsi affatto della realtà quotidiana della tentazione e del peccato, in cui Satana, ‘omicida fin dal principio e ‘padre della menzogna’ (Gv 8,44), è sicuramente all’opera» (CEI, ib.).

Alla lotta ordinaria contro Satana siamo impegnati tutti noi sacerdoti. A quella straordinaria solo i sacerdoti esorcisti legittimamente autorizzati dal proprio vescovo. Tutti, comunque, abbiamo il dovere di conoscere e valorizzare le risorse spirituali che il Signore mette a disposizione della sua Chiesa in modo che, sia nel ministero ordinario sia in quello straordinario della lotta al Maligno, due aspetti inscindibili e complementari della pastorale ordinaria affidata a ogni sacerdote, possiamo essere per i nostri fedeli la presenza, la voce, le mani, il cuore di Gesù, che guarisce, libera, salva, consola e santifica con la forza del suo Amore, che è lo Spirito Santo, e con l’onnipotenza della sua Misericordia, che non ha limiti.

5 – Il ministero della liberazione, della consolazione e degli esorcismi risponde a una delle principali facoltà proprie del carisma sacerdotale, e quindi a una delle esigenze fondamentali della carità pastorale.

Con l’imposizione delle mani e la preghiera del vescovo, lo Spirito Santo ci ha configurati ontologicamente a Cristo unico sommo ed eterno Sacerdote della nuova Alleanza, capo, servo, sposo e pastore della Chiesa, facendo di noi le icone sacramentali della sua presenza di Buon Pastore e gli strumenti vivi della sua incessante missione di liberazione e di salvezza, della sua opera che “il Vangelo descrive come una lotta contro Satana” secondo l’efficace precisazione dei nostri vescovi (CEI, n.5), come liberazione dal Maligno sul quale ha riportato totale e definitiva vittoria (ib.,n.6), anche se da parte nostra non deve mai venir meno l’impegno della preghiera e della vigilanza (ib., n.7).

La carità pastorale è derivazione, partecipazione e manifestazione dell’amore di Cristo buon Pastore, che. durante la sua vita terrena, non solo nel deserto ha vinto le tentazioni di Satana (cf. Mt 4, 1-11; Mc 1, 12-13; Lc 4, 1-13), e nel Getsemani il suo assalto finale (cf Lc 22), anticipando la vittoria definitiva con la sua risurrezione; non solo con la sua autorità ha scacciato Satana e gli altri demoni imponendo loro la sua volontà come segno della sua messianicità (cf Mt 12, 27-29; Lc 11, 19-20); ma ha dato agli Apostoli e agli altri discepoli il potere di scacciare gli spiriti immondi (cf Mt l0, 1. 8; Mc 3, 14-15; 6, 7.13; Lc 9,1; l0, 17. 18-20), come uno, anzi il primo, dei segni che avrebbero accompagnato quanti credono in lui: “Nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove”. (cf Mc 16,17).

6 – Il ministero degli esorcismi, pertanto, è un aspetto non secondario della missione sacerdotale e quindi della pastorale ordinaria. Nel passato addirittura prima dell’Ordinazione Presbiterale si riceveva l’Ordine minore (cosi si chiamava allora) dell’Esorcistato, (l’ho ricevuto anch’io nel 1951), ma non lo si doveva esercitare. Era comunque un segno dell’interesse della Chiesa per questo ministero nella missione della pastorale ordinaria affidata ai presbiteri.

In che cosa consiste tale missione e come realizzarla fruttuosamente, lo ha precisato San Marco, che così racconta la chiamata e la scelta degli Apostoli: “In quel tempo, Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che chiamò apostoli, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni”(Mc 3,13-15).

 Marco pone come prima ragione della vocazione apostolica: ”Perché stessero con lui”, ossia la preminenza della vita interiore, della contemplazione, e il primato della grazia.

Connessa, e in modo inscindibile, con questa esigenza fondamentale, pone la seconda, anch’essa essenziale e ineludibile: “per mandarli a predicare”, ossia per esercitare la missione evangelizzatrice a tutto campo, considerata nel senso amplissimo inteso dal B. Paolo VI nella Esortazione “Evangelii Nuntiandi, comprensivo cioè di tutte le dimensioni dell’opera della salvezza e di conseguenza della pastorale ordinaria che l’attualizza.

Di queste dimensioni Marco rimarca particolarmente una: “con il potere di scacciare i demoni”. E questo va sottolineato perché, se gli apostoli dovranno prolungare nel tempo la presenza e l’azione sempre viva di Gesù,- e in questo consiste la pastorale ordinaria – dovranno prolungare anche questa dimensione non secondaria ma addirittura prioritaria della sua missione di salvezza: scacciare i demoni.

 E se è proprio della missione dei vescovi come successori degli Apostoli il potere di scacciare i demoni, questo potere non può non caratterizzare anche quella dei presbiteri, “necessari collaboratori” dell’Ordine Episcopale (Praesbiterorum Ordinis, n.7): solo i sacerdoti, infatti, possono essere esorcisti.

E’ una prospettiva vocazionale, questa, che va tenuta presente nella formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale sia dei futuri presbiteri nei seminari sia in quella permanente dopo l’Ordinazione, in modo che il vescovo non abbia eccessive difficoltà a trovare nella sua diocesi sacerdoti ai quali affidare il ministero di esorcista, com’è suo dovere.

 Non so in quanti seminari d’Italia si faccia questo: ho l’impressione in pochi. Sono rimasto deluso nel sentire da seminaristi di alcuni seminari e facoltà teologiche che non è stato presentato loro neppure il nuovo Rito degli Esorcismi. Eppure esso fa riferimento a diverse discipline, Sacra Scrittura, Teologia Dommatica, Morale, Diritto, Pastorale e soprattutto Liturgia, e offre un innegabile contributo anche alla formazione spirituale dei futuri sacerdoti, che dovranno combattere contro Satana.

In realtà tutti i sacerdoti vanno considerati potenziali esorcisti, perché questo ministero è connesso con la grazia e i poteri sacramentali dell’Ordinazione.

Le qualità richieste negli esorcisti, “provata pietà, scienza, prudenza e integrità di vita” (Rito n.18), sono quelle che devono caratterizzare la vita di ogni sacerdote, anche se per esercitare gli esorcismi devono essere di più alto profilo.

E se occorre essere “specificamente preparati a questo ufficio”(ib.), si comprende come occorra non solo programmare iniziative di formazione e di aggiornamento, come questa, a livello diocesano o regionale o nazionale, ma anche che esse siano seguite e partecipate con interesse da tutti i sacerdoti, come momenti non secondari della doverosa formazione permanente.

 In questo senso va letta anche la raccomandazione dei vescovi italiani nei riguardi degli esorcisti: ”E’ conveniente che gli esorcisti della stessa diocesi si incontrino qualche volta tra loro e con il vescovo, per condividere le loro esperienze e riflettere insieme. Sembra opportuno che incontri analoghi si svolgano anche a livello interdiocesano e nazionale” (CEI, n.14).

Genericamente, pertanto, devono essere preparati tutti i sacerdoti perché, come precisa sempre il Nuovo Rito, – e questo è un tratto fondamentale della pastorale ordinaria – “l’aiuto spirituale non si deve negare neppure ai fedeli che, pur non toccati dal Maligno (cf 1 Gv 5, 18), soffrono tuttavia per le sue tentazioni, decisi a restare fedeli al Signore Gesù e al Vangelo. Ciò può essere fatto anche da un sacerdote non esorcista, o anche da un diacono, utilizzando preghiere e suppliche appropriate” (ib. n.15).

Queste sono contenute nel nuovo Rituale, il quale, anche per tale ragione, deve essere conosciuto da tutti i sacerdoti, dai diaconi e persino dai fedeli, specialmente se hanno ricevuto un ministero istituito, per cui l’esorcista può convenientemente utilizzarlo.

7 – Luogo privilegiato della pastorale ordinaria è la parrocchia.

Definita da San Giovanni Paolo II “ultima localizzazione della Chiesa e in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie” (Christi Fideles Laici, n.26), è in essa che in concreto si realizza la pastorale ordinaria della quale fa parte integrante quella degli esorcismi, la quale perciò non può essere né ignorata né sottovalutata.

L’esorcismo, infatti, come sacramentale, è sempre un’azione liturgica, ossia azione di Cristo e della Chiesa; quindi non un fatto privato, solamente personale o familiare, ma un evento di grazia che riguarda tutta la Chiesa e investe in particolare l’ attenzione, l’interesse e la responsabilità di ogni comunità parrocchiale, come comunità di fede, di speranza e di carità.

8 – Nella parrocchia comunità di fede, i sacerdoti nella predicazione, nella catechesi, nelle omelie, nei corsi di formazione dei gruppi, dei movimenti, delle associazioni, hanno il dovere di annunciare il Vangelo senza cesure arbitrarie e in totale sintonia col Magistero della Chiesa, per cui i fedeli vanno illuminati anche sull’esistenza personale, la natura spirituale, e l’azione sia ordinaria sia straordinaria del Maligno.

Mi pare di grande utilità al riguardo richiamare quanto i Vescovi italiani hanno raccomandato sotto la voce di “attenzioni pastorali: ”L’attuale diffusione delle manifestazioni superstiziose, della magia e del satanismo richiede una certa sollecitudine pastorale, a tener desta la quale può contribuire la pubblicazione e l’uso adeguato del Rito stesso. A questo riguardo è necessario da parte dei pastori d’anime:

– richiamare, con sapienza e prudenza, i fedeli a non ricercare il sensazionale e a evitare sia la stolta credulità che vede interventi diabolici in ogni anomalia e difficoltà, sia il razionalismo preconcetto che esclude a priori qualsiasi forma di intervento del Maligno nel mondo;

 – mettere in guardia i fedeli nei confronti di libri, programmi televisivi, informazioni dei mezzi di comunicazione che a scopo di lucro sfruttano il diffuso interesse per fenomeni insoliti o malsani;

– esortare i fedeli a non ricorrere mai a coloro che praticano la magia o si professano detentori di poteri occulti o medianici o presumono di aver ricevuto poteri particolari. Nel dubbio circa la presenza di un influsso diabolico è necessario rivolgersi prima di tutto al discernimento dei sacerdoti esorcisti e ai sostegni di grazia offerti dalla Chiesa soprattutto nei Sacramenti;

– presentare il significato autentico del linguaggio usato dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione e far maturare nei cristiani un atteggiamento corretto riguardo alla presenza e all’azione di Satana nel mondo;

– ricordare nella catechesi e nella predicazione che la superstizione, la magia e, a maggior ragione, il satanismo sono contrari alla dignità e razionalità dell’uomo e alla fede in Dio Padre onnipotente e in Gesù Cristo nostro Salvatore” (CEI,n.8).

Va esposta comunque e illustrata tutta la ricca riflessione dottrinale contenuta nel Proemio e nelle Premesse Generali del nuovo Rito.

I fedeli hanno il diritto di conoscere il significato e il valore di sacramentali e la varietà degli esorcismi, come anche che ne sono ministri solo i sacerdoti, sia per superare equivoci o errate interpretazioni oggi ricorrenti come non mai attraverso i mass-media. sia per farvi ricorso con fede, quando è necessario, come forza di Dio che supera immensamente e vince sempre quella, comunque sottomessa, di Satana.

9 – La parrocchia, come comunità di speranza, dell’unica Speranza che non delude, Gesù Cristo morto e risorto, vincitore del peccato e della morte, del demonio e delle sue seduzioni, deve esprimere la premura della Chiesa, che “nella lotta contro Satana – come ci ricordano i nostri Vescovi – accompagna i suoi fedeli con la preghiera e l’invocazione della presenza efficace di Cristo.(CEI n.10). E’ importante notare che i nostri Vescovi affermino che “è questa del resto la tradizione pastorale ordinaria della Chiesa”(ib.)

Come ha promesso Gesù è sempre presente nella sua Chiesa in molti segni, ma soprattutto attraverso i sacramenti.

 Se questi hanno il loro vertice nell’Eucaristia, massima presenza personale di Gesù Risorto e vivo e massima forza debellatrice del Demonio, particolare disponibilità da parte dei sacerdoti va riservata ai due sacramenti della guarigione, la Penitenza e l’Unzione dei malati, anche per il loro particolare riferimento diretto o indiretto alla terapia soprannaturale richiesta nell’esercizio specifico della liberazione e della consolazione, come sono gli esorcismi.

A tal riguardo i parrocchiani non devono ignorare, come è precisato dalla Congregazione del Culto nella Introduzione del nuovo Rito, che l’esorcismo, soprattutto quello solenne, detto anche “grande esorcismo”, è “una celebrazione liturgica, che mira a scacciare i demoni o a liberare dall’ influenza diabolica mediante l’autorità spirituale che Gesù Cristo ha affidato alla sua Chiesa”; è “una preghiera del genere dei sacramentali, ossia segno sacro per mezzo del quale sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali” (n. 11).

Tra le azioni liturgiche non va sottovalutata l’importanza del Rinnovamento delle rinunce e promesse battesimali. Previsto nella Veglia Pasquale e nella celebrazione di alcuni Sacramenti, sarebbe opportuno estenderlo ad altri momenti significativi della vita dei fedeli e delle famiglie, spiegandone il significato e richiamandone gli impegni concreti.

10 – Come comunità di amore, la parrocchia manifesta la sua attenzione verso i poveri, i prediletti del Signore. Non può dimenticare, anzi “deve amare con amore preferenziale” chi in essa “è in potere del Maligno” e che per questo “è il più povero dei poveri, bisognoso di aiuto, di comprensione e di consolazione” (CEI,n.16).

Attraverso la preparazione e la disponibilità anzitutto dei sacerdoti preposti, ma anche dei laici che la compongono, la Parrocchia dovrebbe essere in grado di conoscere, individuare, accogliere per il necessario discernimento quanti sono tormentati o si ritengono tormentati dal Demonio, in modo che si possano eventualmente indirizzare o, meglio, presentare all’esorcista diocesano per ogni opportuno intervento, e li possa seguire durante il non facile cammino di liberazione, anzitutto con la preghiera e con l’azione.

Con la preghiera anzitutto. Non so in quante parrocchie in Italia si prega per loro e per gli esorcisti che li servono e li curano nel nome, nella persona e per mandato di Gesù, liberatore e salvatore, medico delle anime dei corpi. Eppure proprio la preghiera ha particolarmente raccomandato il Signore per scacciare i demoni. E tra le preghiere è ben non trascurare di ricorrere, come d’altronde si fa durante l’esorcismo, all’intercessione della Vergine Immacolata: e diversi esorcisti hanno testimoniato il terrore che la recita del Santo Rosario esercita sul demonio.

La preghiera, a sua volta, stimola, anima e sostiene l’azione.

 Come vi sono in parrocchia lodevoli operatori della carità verso coloro che soffrono nel corpo e nello spirito, così non può mancare un servizio qualificato di autentica carità verso coloro che soffrono più di altri nello spirito e nel corpo perché tormentati dal Demonio. E non mancheranno, se tale servizio viene presentato come una specifica vocazione e missione di amore, particolarmente gradito a Dio.

Sarà allora anche più facile trovare e formare parrocchiani disposti a collaborare con gli esorcisti, specialmente nella fase di accoglienza, ascolto, discernimento e accompagnamento, soprattutto se competenti nel campo della medicina e delle scienze umane.

Tale collaborazione è richiesta in modo particolare quando l’esorcista deve celebrare l’esorcismo maggiore nella forma imperativa: deve essere allora “moralmente certo che la persona da esorcizzare è veramente posseduta dal demonio (Rito, n.16), e quindi “dopo attento esame e dopo aver consultato per quanto è possibile, persone esperte in questioni di vita spirituale e, se necessario, persone esperte in medicina e psichiatria, competenti anche nelle realtà spirituali”(ib., n.17).

Non meno utile di questo generoso servizio è, dopo la guarigione, l’aiuto della comunità all’ossesso, bisognoso di essere perseverante nell’ascolto della parola di Dio, nella frequenza ai Sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, nella preghiera, nell’impegno della vita cristiana e nelle opere di carità.

Né va trascurata la famiglia dei tormentati dal Maligno, che ne subisce più direttamente le sofferenze e le conseguenze, per cui non va lasciata sola, ma deve sentire la vicinanza, il calore e la condivisione della comunità che apre il cuore e tende le braccia col senso materno della Chiesa.

Papa Francesco nella catechesi del 3 settembre 2016 ha sottolineato l’impegno materno di tutta la Chiesa, che nella sua missione di salvezza, e quindi nella pastorale ordinaria, “ha il coraggio di una madre che sa di dover difendere i propri figli dai pericoli che derivano dalla presenza di Satana nel mondo, per portarli all’incontro con Gesù”.

E segni concreti della maternità della Chiesa sono i Centri di ascolto e i Centri diagnostici psico-spirituali, costituiti da alcuni esorcisti, coinvolgendo le parrocchie più sensibili alle istanze pastorali verso i fratelli e sorelle particolarmente tormentati dal Maligno

11 – Per tutte queste ragioni e perché la pastorale degli esorcismi è parte integrante della pastorale ordinaria della Chiesa nella sua espressione più immediata e concreta, la parrocchia, è necessario ricuperare o costruire un rapporto reale parrocchia- esorcismi.

Molto dipende dal rapporto tra i sacerdoti della parrocchia e gli esorcisti, un rapporto sacramentale fondato sulla comune Ordinazione e Missione, da vivere e consolidare intensamente e reciprocamene con la forza della carità fraterna, nello spirito della comunione presbiterale che è come l’anima della comunione ecclesiale.

Se il Diavolo è colui che divide per antonomasia, noi sacerdoti, tutti impegnati nel combatterlo, dobbiamo essere gli uomini della comunione per antonomasia, amandoci, stimandoci, aiutandoci e collaborando tra di noi, memori che i vincoli soprannaturali della comune Ordinazione, sono più forti e duraturi di quelli della carne e del sangue.

 

12 – Termino con un augurio e una speranza: che il ministero degli esorcismi sia più conosciuto, più valorizzato, più integrato in tutta la pastorale ordinaria delle Diocesi e delle parrocchie, non come un fatto marginale ed elitario riservato a pochi, ma come un grande dono di Dio a tutta la comunità cristiana per la incessante liberazione di ciascuno dei suoi membri dalle insidie incessanti del Maligno, condizione preliminare e ineludibile per crescere in santità di vita e in fecondità apostolica,

 E’ questa la finalità suprema della missione sacerdotale e della pastorale ordinaria. E questo auguro di cuore a voi e a me.

Il sacerdote esorcista e il suo ministero nella pastorale ordinaria della Chiesa

Il sacerdote esorcista e il suo ministero nella pastorale ordinaria della Chiesa

Relatore S. Em.za Rev.ma Signor Cardinale Gualtiero Bassetti

Arcivescovo Metropolita di Perugia-Città della Pieve

Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

[…]

È per me motivo di grande gioia trovarmi qui con voi, Esorcisti ed Ausiliari, che provenite da tante parti del mondo per partecipare al Convegno biennale dell’Associazione Internazionale Esorcisti di cui siete Soci.

Il motivo della mia gioia è che tutti voi siete, nella Chiesa e per il mondo, come i giovani, che Giorgio La Pira equiparava alle rondini, perché annunciano la primavera. Sì, voi, come i giovani, siete tutti annunciatori di primavera, anche quelli che per l’età potrebbero dirsi “nonni” come me.

Esistono nel mondo, in ogni Paese e a tutte le latitudini, delle periferie esistenziali dove è sempre inverno. In quei luoghi spirituali l’aria gelida è impregnata di paura; e la paura, unita al senso di abbandono che spesso tormenta chi vi abita, rende ancor più spietato l’inverno.

Le strade di queste periferie sono tristi e non vengono allietate dal canto della tortora, né dal riso dei bambini, né dalla voce dello sposo e della sposa. Le uniche vetrine che si affacciano sulle strade di queste periferie esibiscono tutte la stessa merce, cioè la superstizione, nelle mille e mille forme con cui può essere proposta, offerta o venduta.

Il boss di queste periferie dove è sempre inverno (e se nella lingua italiana togliamo la lettera “v” e la cambiamo con la “f” abbiamo la parola “inferno”), il boss di queste periferie è il Maligno, che, come ci ricorda Papa Francesco, non è «un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea»,[1] ma «un essere personale che ci tormenta» e riguardo al quale Gesù ci ha insegnato a chiedere ogni giorno di essere liberati «perché il suo potere non ci domini».[2]

Nelle periferie esistenziali di cui stiamo parlando, il Maligno spadroneggia con quella che voi, fratelli Esorcisti, chiamate la sua “azione straordinaria” e che prende ora la forma della “vessazione”, ora quella della “ossessione”, ora quella della “possessione”, ora quella della “infestazione”. Ed è proprio per questo genere di azione da lui esercitato che in quelle periferie è sempre inverno!

Ma voi, cari amici, siete come le rondini, perché in quelle periferie voi ci andate e annunciate la primavera, anzi, in un certo qual modo la portate. Se, come insegna Papa Francesco, tutta «la Chiesa deve sentire l’impulso gioioso di diventare fiore di mandorlo, cioè primavera come Gesù, per tutta l’umanità»,[3] voi questo già lo siete e già lo fate. Il vostro ministero vi porta, infatti, a camminare sulla strada della Chiesa, che è «quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” dell’esistenza»,[4] cosa che voi realizzate con l’occuparvi di quei lontani ai quali, per istinto, nessuno desidera stare vicino, anche i buoni.

Cari amici, dovendovi parlare del sacerdote esorcista e del suo ministero nella pastorale ordinaria della Chiesa, nella consapevolezza dei miei limiti in materia, ho rinunciato ad una relazione rigorosamente scientifica e all’uso di un linguaggio specialistico, per offrirvi dei semplici spunti di riflessione, utili, spero, ad incoraggiarvi e a sostenervi nel vostro non facile e, a volte, incompreso ministero.

L’esorcista è un sacerdote che ama

San Paolo, scrivendo ai Corinzi, rivolge l’invito a desiderare intensamente i carismi più grandi. E subito dopo dà la dritta, mostra – lui dice – la via più sublime.[5] E parla della carità!

Sì, fratelli esorcisti, se c’è un carisma che dovete assolutamente desiderare è proprio questo: la carità.

Siamo tutti fragili, e qualcuno di voi, forse, scontrandosi con le difficoltà del suo ministero, potrebbe essere tentato di desiderare dei doni straordinari di discernimento, che magari gli risparmino la fatica dell’osservare, del riflettere e del pregare. Peggio ancora sarebbe se desiderasse doni che gli creino attorno un’aureola di persona straordinaria, di esorcista potente, di personaggio da ammirare.

No, fratelli! La Chiesa questi doni straordinari non li ha mai richiesti ai suoi esorcisti. Certo essa esige che sappiano fare discernimento sulle persone che si affidano a loro, ma questo attraverso la scienza, la prudenza e la preparazione specifica al loro ministero,[6] non appoggiandosi a chissà quali carismi straordinari, che in qualche caso potrebbero essere anche frutto di illusione o di azione diabolica.

La carità, invece, in un sacerdote, al quale il ministero di esorcista viene affidato in modo stabile o «ad actum», non può e non deve mai mancare, perché il ministero esorcistico è, per l’appunto, un servizio di carità da compiere con fiducia e umiltà, sotto la guida del Vescovo della Diocesi.[7]

Questo lo insinua molto bene il Decreto con cui la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha promulgato il nuovo Rituale degli Esorcismi: «Inoltre nella Chiesa sono stati costituiti gli esorcisti perché, imitando la carità di Cristo, liberassero i fedeli posseduti dal Maligno e intimassero a nome di Dio ai demoni di stare lontani e non nuocere alle creature umane.»

La Conferenza Episcopale Italiana, da parte sua, ha fatto eco a questo modo di intendere il vostro ministero, quando, presentando il nuovo Rito degli Esorcismi, ha espresso l’auspicio «che questo nuovo libro liturgico, strumento prezioso per la preghiera e stimolo per una illuminata azione pastorale, possa alimentare una vicinanza piena di carità accanto a molte persone oppresse dalla sofferenza, in modo che sia resa testimonianza alla presenza di Cristo Salvatore che ha vinto ogni potere nemico della vita.»[8]

La carità vi è dunque necessaria più di ogni altra cosa, perché con la scienza, la prudenza e la preparazione specifica al vostro ministero voi fate discernimento sull’azione straordinaria del maligno, ma è con la carità che voi accogliete gli “sconfitti della vita” che bussano alla vostra porta e li accompagnate in modo efficace verso la liberazione!

Certo, la fede vi è necessaria e più avanti dirò una parola anche su questo, ma non dimentichiamo mai che è la carità che rende grande, operosa ed efficace la fede. Sotto questo aspetto, parafrasando ciò che si legge nella Lettera di Giacomo, si potrebbe affermare che la fede, se non ha la carità, è morta in sé stessa. Uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho la carità; mostrami la tua fede senza la carità, ed io con la mia carità ti mostrerò la mia fede. Tu credi che c’è un Dio solo? Beh, anche i demoni lo credono e tremano![9] Tremano, perché non amano. Tremano, perché non hanno la carità.

Fratelli, se è vero che la carità copre una moltitudine di peccati,[10] è altrettanto certo che la carità scaccia i demoni. È, infatti, la carità che voi vivete nelle relazioni con il vostro Vescovo, con i vostri confratelli, con i vostri pazienti, in una parola, con tutti quelli che incrociate ogni giorno, ciò che vi rende autenticamente forti contro gli spiriti del male quando proferite gli esorcismi.

Al riguardo, non è fuori posto ricordare qui l’insegnamento di San Bernardo, che un Vescovo italiano ha non molto tempo fa citato a un Convegno presbiterale della sua Regione ecclesiastica: «Il demonio teme poco coloro che digiunano, coloro che pregano anche di notte, coloro che sono casti, perché sa bene quanti di questi ne ha portato alla rovina. Ma coloro che sono concordi e che vivono nella casa di Dio, con un cuor solo, uniti a Dio e fra loro nell’amore, questi producono al demonio dolore, timore, rabbia. Questa unità della comunità […] tormenta il nemico […]. Il demonio teme l’amore fra gli uomini. […] Questa è la città forte e inespugnabile».[11]

Credo di non sbagliare se affermo che l’insegnamento di San Bernardo è l’insegnamento principale che viene offerto dai Santi che nella vita hanno lottato in modo singolare contro lo spirito del male. Si pensi, ad esempio, a San Martino di Tours, che nella sua lunga vita si è scontrato col demonio e lo ha vinto, sia quando questi infieriva contro di lui con azioni vessatorie di vario genere, sia quando, come Vescovo, doveva praticare degli esorcismi.

Le fonti storiche che ce lo fanno conoscere, insieme a quelle liturgiche che ne celebrano la memoria, pur soffermandosi su vari aspetti della sua personalità e del suo ministero sono concordi nel presentare la carità come elemento costitutivo e fondante del suo essere e del suo agire.

Di lui, ad esempio, il suo principale testimone, Sulpicio Severo, ricordando il tempo in cui militava nell’esercito ed era ancora catecumeno, scrive: «Non ancora rigenerato in Cristo, egli si comportava bensì come un candidato al battesimo per le opere di carità: assistere i tribolati nelle malattie, soccorrere gli sventurati, nutrire i bisognosi, vestire i nudi, nulla riservare a sé della paga della milizia, fuorché quanto servisse al sostentamento quotidiano. Già da allora egli era un ascoltatore non sordo ai precetti del Vangelo, e non si curava del domani.»[12] E più oltre, quasi riepilogando ciò che del monaco e del Vescovo S. Martino colpiva maggiormente quelli che lo incontravano, afferma: «Nessuno l’ha mai visto in collera, nessuno turbato, nessuno afflitto […]; fu sempre uguale a sé stesso: il volto raggiante d’una letizia per così dire celeste, sembrava estraneo alla natura umana. Giammai null’altro era sulle sue labbra se non il Cristo; giammai null’altro nel suo cuore se non l’amore, se non la pace, se non la misericordia.»[13]

Proprio perché era così radicato e fondato nella carità,[14] San Martino poteva permettersi di operare in tutta sicurezza in circostanze nelle quali, se altri avessero agito nello stesso modo, si sarebbero meritati quanto meno il titolo di temerari. Come nell’episodio in cui, esorcizzando lo schiavo d’un tal Tetradio, l’indemoniato minacciava di morderlo con le fauci spalancate e Martino gli infilò le dita nella bocca dicendogli: “Se hai qualche potere, divorale”, col risultato che il demonio, scostati i denti dalle dita del santo come se avesse ricevuto nella bocca un ferro rovente, fu costretto a fuggire dal corpo che possedeva.[15]

Proprio perché era così radicato e fondato nella carità, San Martino poteva apostrofare il demonio nell’atto di spirare, dicendogli: «Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie.»[16]

Perciò, fratelli esorcisti, vi raccomando, non io, ma il Signore di essere, nelle vostre Diocesi e nelle vostre comunità, sacerdoti di vera carità. Questo, soprattutto, farà, di ognuno di voi, esorcisti efficaci nell’accompagnamento dei vostri pazienti verso la liberazione, non poteri straordinari che, lo ripeto, potrebbero risultare essere doni medianici e quindi diabolici.

Sapete meglio di me chi era San Benedetto da Norcia e quanto potere avesse sul demonio, secondo ciò che di lui riferisce il suo primo biografo, il Papa e Dottore San Gregorio Magno. Ma non dimenticate mai il commento che lo stesso San Gregorio fa nei suoi Dialoghi quando riferisce dell’ultimo incontro di San Benedetto con sua sorella Santa Scolastica e del miracolo che quest’ultima ottenne dal Signore, affinché Benedetto non la lasciasse e si intrattenesse con lei quella notte, fuori del monastero, a parlare delle cose di Dio. Scrive San Gregorio Magno: «Non fa meraviglia che Scolastica abbia avuto più potere del fratello. Siccome, secondo la parola di Giovanni, “Dio è amore”, fu molto giusto che potesse di più colei che più amò.»

E siccome la carità ha molti modi di esprimersi e molte maniere per essere offesa, mi permetto di richiamare due cose.

La prima rappresenta un leitmotiv del magistero di Papa Francesco, che fin dal principio del suo servizio vi ha insistito e continua ad insistere. Ve la dico, questa cosa, citando la Beata Madre Speranza, che certamente molti di voi conoscono e stimano.

Si racconta che un giorno la madre era stata in Vaticano e stava tornando a casa. Arrivata a Porta Maggiore, il Signore le fece vedere un’immagine. Porta Maggiore, per chi non lo sa, è una delle porte nelle Mura aureliane di Roma e si trova nel punto in cui convergevano otto degli undici acquedotti che portavano l’acqua alla città.

Ebbene, in ognuno degli archi che ancora oggi si vedono, il Signore le mostrò che c’era un diavolo, con le mani in tasca, appoggiato al muro, come uno che non ha niente da fare. Madre Speranza disse a Gesù: “Signore, ma che mi vuoi dire con questo?” E il Signore le disse: “Vedi, qui il diavolo non ha niente da fare perché gli uomini si stanno tentando l’uno con l’altro”.

Poi, fatti pochi passi, arrivò alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Sul tetto di questa Basilica il Signore le fece vedere tanti diavoli, che erano indaffaratissimi, e le disse: “Guarda; lì i diavoli hanno tanto da fare perché quelli che stanno dentro questa casa si aiutano, si edificano a vicenda, si vogliono bene, ognuno è custode dell’altro; allora lì il diavolo deve intervenire, per dividere e separare!”

Ma poi Gesù aggiunse una frase che Madre Speranza indicò come una delle più impressionanti ricevute dal Signore. Le disse Gesù: “C’è un vizio infame che rende abominevole la persona che lo fa e questo vizio è la mormorazione.”

Come potrebbe, allora, un sacerdote esorcista o un ausiliare che pratica il terrorismo della chiacchiera pretendere di lottare contro il demonio? Francesco ci ricorda che dietro una chiacchiera c’è la gelosia e c’è l’invidia. E le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità. Sono le armi del diavolo[17] non dell’esorcista!

Perciò mi raccomando: obiezione di coscienza di fronte alle parole vane che possono ferire e uccidere.

La seconda cosa, anch’essa pratica, riguarda un aspetto delicato del vostro ministero. Il nuovo Rituale degli Esorcismi, al n. 15, vi invita a distinguere bene tra i casi di reale aggressione diabolica e quelli sono frutto di una falsa opinione per cui qualcuno, anche tra i fedeli, si ritiene oggetto di malefici, sortilegi o maledizioni fatte ricadere da altri su di lui, o sui suoi parenti o sui loro beni.

Io non entro in un argomento che percepisco essere complesso e riguardo al quale riconosco di non avere una preparazione scientifica adeguata, ma come Pastore che vi sta parlando dell’esorcismo in quanto espressione della carità di Cristo, vi devo mettere in guardia dal non offendere la carità, e con essa anche la giustizia, agendo o parlando in modo indebito, sconveniente o contrario al buon senso e ai principi dell’agire morale. Ad esempio, col volere indagare per scoprire chi sono gli autori del presunto maleficio, oppure dando semplicemente corda alle persone che accusano la suocera, la cognata, il vicino di casa, il collega di lavoro, eccetera, di avere loro fatto una fattura.

E questo anche nel caso in cui abbiate tutti gli elementi per giudicare che un maleficio è stato fatto per davvero e Dio abbia permesso che, almeno in parte, fosse efficace. Fate sempre in maniera che i vostri pazienti respingano da sé il pensiero di trovarsi ad essere tribolati perché qualcuno, con l’aiuto del diavolo, ha fatto loro del male. Diversamente verrebbero tentati dal demonio a serbare rancore e forse anche a reagire vendicandosi, e così ai loro malesseri si aggiungerebbero mali più gravi e la loro liberazione ne verrebbe di molto ostacolata.

Ricordatevi che il sapere chi sono gli eventuali autori di malefici non serve alla liberazione, mentre questa conoscenza è usata dal demonio per spingere al male. Voi, invece, come si ricava dal n. 36 del nuovo Rituale degli Esorcismi, dovete accompagnare i vostri pazienti affinché perseverino nella preghiera, attinta soprattutto dalla Sacra Scrittura, frequentino i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia e pratichino una vita cristiana ricca di opere di carità e di amore fraterno.

Concludo questa parte della mia relazione, citando San Paolo. Nella lettera agli Efesini, l’Apostolo scrive: «Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.»[18] In seguito, egli dà delle indicazioni concrete sulle varie componenti di questa armatura.

Nella lettera ai Colossesi, poi, San Paolo usa ancora, significativamente, lo stesso verbo “rivestitevi”, ma sentite come: «Rivestitevi, dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo.»[19]

La carità, dunque, sia per voi ciò che è stata per tanti e tante che in questo mondo sono stati uomini e donne di Dio e che, dopo aver lottato contro lo spirito del male, ora sono in Dio. Questo deve dunque essere l’esorcista: un sacerdote che ama.

L’esorcista è un sacerdote che prega

Tuttavia, come già ebbi a dire in altra occasione, la carità non è un ideale o un sentimento affettuoso, ma è un incontro autentico con Dio. È la strada perfetta che porta a Dio. Occorre, dunque, incontrarsi realmente con Cristo, se si vuole bruciare d’amore con Lui e per Lui. Perciò è impossibile essere uomini di carità se non si è uomini di preghiera.

Proprio perché ama e vuole amare, l’esorcista è un sacerdote che prega. Non uno che prega semplicemente per gli altri o che prega sugli altri, ma un prete che prega per davvero, quindi che vuole in qualche modo sentire, vedere, ascoltare il Signore Gesù, il quale a tutti ripete quello che diceva a Sant’Angela da Foligno: «A chiunque mi voglia sentire nell’anima, io non mi sottraggo. A chiunque mi voglia vedere, con massimo piacere mi mostro. Con grandissimo diletto parlo a chiunque voglia rivolgermi la parola.»

Fratelli esorcisti, lasciate che vi dica una cosa. Quando noi vescovi dobbiamo individuare un sacerdote al quale conferire la licenza di proferire esorcismi, la prima cosa di cui ci preoccupiamo è che sia un uomo equilibrato e prudente e, insieme, di profonda vita spirituale. Perché solo così abbiamo fondata speranza che, ricevendo una specifica formazione al vostro ministero, quel sacerdote potrà col tempo diventare un buon esorcista, capace di discernere la reale azione straordinaria del maligno da ciò che è invece frutto di cause naturali e, congiuntamente, accompagnare i fratelli che ne sono vittima verso l’autentica liberazione.

Adatto perciò a voi, parafrasando, quello che Papa Francesco dice a tutti nella sua Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate.

Il servizio che l’esorcista presta alla Chiesa e all’umanità è fatto di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. L’esorcista è un sacerdote dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. È uno che non sopporta di soffocare nell’immanenza chiusa di questo mondo e, in mezzo ai suoi sforzi e al suo donarsi, sospira per Dio, esce da sé nella lode e allarga i propri confini nella contemplazione del Signore.

Non credo al servizio reso da un esorcista che sia senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi momenti o di sentimenti intensi.

San Giovanni della Croce raccomandava di “procurare di stare sempre alla presenza di Dio, sia essa reale o immaginaria o unitiva, per quanto lo comporti l’attività”. In fondo è il desiderio di Dio che non può fare a meno di manifestarsi in qualche modo attraverso la nostra vita quotidiana. L’esorcista dunque “sia assiduo all’orazione senza tralasciarla neppure in mezzo alle occupazioni esteriori. Sia che mangi o beva, sia che parli o tratti con i secolari o faccia qualche altra cosa, desideri sempre Dio tenendo in Lui l’affetto del cuore”.

Ciò nonostante, perché questo sia possibile, sono necessari anche alcuni momenti dedicati solo a Dio, in solitudine con Lui. Per santa Teresa d’Avila la preghiera è “un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere amati”.

Vorrei insistere sul fatto che questo non è solo per pochi privilegiati, per un padre Candido ad esempio, ma per tutti gli esorcisti, perché abbiamo tutti bisogno di questo silenzio carico di presenza adorata. La preghiera fiduciosa è una risposta del cuore che si apre a Dio a tu per tu, dove si fanno tacere tutte le voci per ascoltare la soave voce del Signore che risuona nel silenzio.[22]

Tra poco, cari fratelli, accennando alla fede dirò anche una parola su alcuni dei suoi contenuti che hanno relazione con la scienza di cui l’esorcista ha bisogno nel suo ministero. Per ora vi ricordo che la vostra scienza non può essere solo il frutto di uno studio libresco, sia pure di cose pertinenti al vostro ministero, ma del vostro incontro con Dio e della vostra apertura al Suo Spirito.

Pregando per davvero, vi disponete infatti a rendere operante in voi il dono – già ricevuto per via sacramentale – della scienza, [23] dono che vi permette di percepire e sentire, attraverso ciò che vi circonda e gli avvenimenti del quotidiano, la presenza ed il linguaggio di Dio. Solo chi vive alla presenza di Dio è in grado di discernere la presenza del Suo avversario. Solo chi intende il linguaggio di Dio è in grado di sbugiardare il linguaggio del menzognero.

Allo stesso tempo il dono della scienza, che, ripeto, diventa operante solo in un cuore che prega per davvero, vi aiuterà a non cadere in alcuni atteggiamenti eccessivi o sbagliati nel vostro ministero. Ne accenno solo a due, ispirandomi a ciò che Papa Francesco disse qualche anno fa parlando, in una Udienza Generale, del dono della scienza.[24]

Il primo è costituito dal rischio di considerarvi padroni del vostro ministero. Il vostro ministero e le persone che si affidano a voi non sono una vostra proprietà, di cui potete spadroneggiare a vostro piacimento. Tutto è un dono, un dono meraviglioso che Dio vi ha dato, perché ne abbiate cura e sempre con grande rispetto e gratitudine.

Il secondo atteggiamento sbagliato è rappresentato dalla tentazione di fermarsi alle creature, come se queste possano offrire la risposta a tutte le nostre attese e alla nostra sete immensa di felicità. La stanchezza, le disillusioni, le contrarietà e tanti altri incidenti di percorso possono acuire questa tentazione, ma perseverando nella preghiera e mediante il dono della scienza, lo Spirito ci aiuta a non cadere in questo sbaglio.

“Perciò – come diceva Sant’Angela da Foligno – se vuoi cominciare a possedere questa luce di Dio, prega;

se sei già impegnato nella salita della perfezione e vuoi che questa luce in te aumenti, prega;

se sei giunto al vertice della perfezione e vuoi ancora luce per poterti in essa mantenere, prega;

se vuoi la fede, prega;

se vuoi la speranza, prega;

se vuoi la carità, prega;

se vuoi la povertà, prega;

se vuoi l’obbedienza, prega;

se vuoi la castità, prega;

se vuoi l’umiltà, prega;

se vuoi la mansuetudine, prega;

se vuoi la fortezza, prega. Qualunque virtù tu desideri, prega.

E prega leggendo nel libro della vita, cioè nella vita del Dio e Uomo Gesù Cristo, che fu tutta povertà, dolore, disprezzo e perfetta obbedienza.

Da quando comincerai a camminare per questa via, che è via di perfezione […] tentazioni da parte dei demoni, del mondo e della carne ti molesteranno in vari modi […]. Ma se vuoi vincere, prega.”[25]

L’esorcista è un sacerdote che crede

Sacerdote che ama e sacerdote che prega, l’esorcista nella pastorale ordinaria della Chiesa si deve porre come uomo di fede, fede che, come spesso ci ricorda Papa Francesco, non si impara sui libri. È un dono che ti dà il Signore.[26] E questo dono implica una risposta personale e non presa a prestito, con un “copia e incolla”.[27]

Tuttavia, cari fratelli, ricordiamoci sempre che se la fede è una risposta personale, ciò non significa che dentro la fede ci mettiamo quello che vogliamo noi, come quando, andando al supermercato, mettiamo nel carrello della spesa quello che ci piace di più scegliendolo tra la merce esposta sui scaffali del centro commerciale. Dio la fede ce la dà attraverso la Chiesa e i contenuti della fede sono quelli ci offre la Chiesa.

Perciò attenzione sempre al marchio di origine, che ci assicura che la fede che abbiamo è quella vera e, di conseguenza, è la fede che salva. Infatti, ha scritto Papa Francesco nella sua prima Enciclica, “la fede, senza verità, non salva, non rende sicuri i nostri passi. Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità, qualcosa che ci accontenta solo nella misura in cui vogliamo illuderci. Oppure si riduce a un bel sentimento, che consola e riscalda, ma resta soggetto al mutarsi del nostro animo, alla variabilità dei tempi, incapace di sorreggere un cammino costante nella vita.”[28]

Su questo aspetto della fede, come Pastore, sento il dovere di insistere. Il nuovo Rituale degli Esorcismi, al n. 19, prescrive che “l’esorcismo si svolga in modo che manifesti la fede della Chiesa e impedisca di essere interpretato come un atto di magia o di superstizione.” Occorre dunque che la fede dell’esorcista, che ha un ruolo non indifferente nella liberazione dall’azione straordinaria del maligno, sia una fede ricca di contenuti veri e non una fede strampalata, perché una fede strampalata non può che generare prassi bizzarre, sconclusionate e anche dannose.

Un’applicazione pratica ce la porge il compianto Cardinal Suenens,[29] che nel Quarto “Documento di Malines”[30] scriveva per mettere in guardia dai pericoli di una “demonologia” di cui rilevava, con molto acume, la “debolezza dottrinale”. Credo di fare cosa utile riproponendo a voi alcuni passaggi di quel suo libro, del quale l’allora Cardinal Ratzinger raccomandava, nella presentazione dell’edizione italiana, “la lettura, anzi lo studio attento.”[31]

All’inizio del capitolo ottavo di questa sua opera, il Cardinal Suenens fa notare come alcuni ambienti cattolici abbiano subito, campo della demonologia, il contagio d’una letteratura lussureggiante, estranea al cattolicesimo e troppo sicura di sé. Ciò, egli afferma, è dovuto al fatto che nella Chiesa cattolica tale campo è rimasto in gran parte incolto e la nostra pastorale specifica non ha fornito direttive adatte ai nostri tempi.[32]

Proseguendo, egli propone anzitutto qualche citazione estremista, tratta dalla letteratura estranea al cattolicesimo, soprattutto di autori che attribuiscono molte malattie fisiche o psicologiche, se non tutte, a influenze demoniache. Scrive il Cardinale:

«Uno dei “maestri in demonologia” enumera tranquillamente le seguenti malattie, la cui origine, secondo lui, è a volte demoniaca: l’epilessia, l’insonnia, le crisi isteriche, i crampi, l’emicrania, l’asma, la sinusite, i tumori, le ulcere, gli infarti, l’artrite, la paralisi, la sordità, il mutismo, la cecità.

E spinge la precisione fino a dire:

– che il diavolo della paura esce normalmente con una specie di singhiozzo isterico;

– il diavolo della menzogna e dell’odio con un ruggito fragoroso;

– il diavolo della nicotina con un colpo di tosse o con un singhiozzo.

[…] In un’opera dello stesso genere, si trova un elenco di 323 tipi di diavoli, senza pretendere che tale elenco sia esauriente. Vi si legge anche che la schizofrenia è una risultante dovuta a un complesso di 15 diavoli (o più), accompagnati da diavoli di rango inferiore. Vi si dedica un capitolo al raggruppamento dei diavoli, catalogati in una tavola riassuntiva di tre pagine, divisa in 53 colonne.

In un manuale pastorale, molto letto e utilizzato nella pratica, si legge che:

[…] Occorre impegnarsi nel combattimento e non accontentarsi di pregare, perché “Dio ha già risposto alla nostra preghiera dandoci autorità e potere sul Maligno”. È nostro compito, si dice, esercitare tale potere: “Smettiamola di supplicare il cielo per ottenere ciò che abbiamo già ottenuto e cominciamo a servirci dei poteri (di liberazione) che ci sono stati concessi”.»

Il Cardinale Suenens passa poi a considerare la letteratura di origine cattolica, dalla quale rileva, a titolo di esempio, delle affermazioni che, dice, “lasciano perplessi”. Scrive il Cardinale:

«Si dice che i diavoli si agglomerano in gruppi e che tra loro i diavoli dominatori possono utilizzare la voce d’un essere umano, ciò che si verificherebbe in un caso su otto o dieci.

Si dice che se due spiriti dominatori si sono insediati nella stessa persona, i diavoli si battono tra di loro per ottenere il controllo esclusivo e che la lotta è di natura tale da provocare disordini mentali. Se si sentono delle voci, è segno che la lotta è in corso.

Si cita con rispetto, e come degno di particolare attenzione, un autore secondo il quale “gli spiriti operano in gruppi di otto…”.

Si dice che a volte gli spiriti maligni sono raggruppati e incatenati insieme. Il rifiuto del perdono, ad esempio, provocherebbe spesso tale fenomeno.

Gli spiriti più forti cercherebbero d’imprigionare ì più deboli. Quando si scopre, ad esempio, un diavolo “della vendetta”, imprigionato da un altro spirito, lo si può aggirare, se non si riesce a combatterlo frontalmente.

Si dice che occorre diagnosticare bene la natura degli spiriti e scoprire tra loro gli spiriti dominatori.

Gli spiriti inferiori si sacrificheranno sotto il controllo degli spiriti dominanti per nascondere gli altri.

Si dice che in passato i diavoli uscivano tossendo, ma che ora lo facciano più spesso sbadigliando. Se sbadiglia anche l’esorcista, ne è facilitata l’uscita.

Si tratta di specchi e soprammobili orientali che si prestano agli influssi occulti e che occorre eliminare da casa.

Si dice che gli esorcisti rischiano il contagio, a causa del contatto fisico, quando mettono la mano sulla persona da liberare.

Bisogna pregare subito per liberare l’esorcista invasato, appena i suoi assistenti se ne rendono conto.

Ed ecco altri esempi:

– Un predicatore famoso incoraggia a vomitare per aiutare l’espulsione dei diavoli.

– Qualcuno raccomanda di riservare un momento particolare di ogni giornata all’espulsione dei demoni, come parte integrante della vita spirituale complessiva.

Un ecclesiastico, i cui scritti circolano fotocopiati e tradotti in varie lingue, gettando confusione dappertutto, afferma: Per assicurarsi la vittoria, è importante valutare la forza degli spiriti maligni. Questo vuol dire che occorre sapere:

– chi sono,

– con quale frequenza si manifestano;

– poi esaminare la loro forza, se sono vigorosi e pesanti;

– prendere in considerazione anche la loro altezza.

Ho impiegato due anni a liberare una ragazza di 16 anni e alla fine ho scacciato da lei 25 diavoli.

Nel ministero di liberazione, si consiglia di identificare il nemico per nome. Può provocare le convulsioni alla persona, metterla in trance e torturarla in tanti modi; ma finché non è stato identificato, [il demonio] crede che le preghiere non siano dirette contro di lui.

È opportuno anche fare le seguenti domande:

1) Chi siete?

2) Quanti siete?

3) Da quanto tempo vi trovate in questa persona?

4) Dove siete insediati in lei?

5) Che malattia le avete provocato?

Occorre utilizzare con perseveranza l’autorità del Nome di Gesù: “Vi ordino, in Nome di Gesù, di parlare e di dire il vostro nome”.

In certi momenti, faranno solo muovere la lingua e mormorare qualche parola: occorre continuare a insistere finché il diavolo parli chiaramente.

È consigliato guardare per tre volte negli occhi la persona da liberare, chiedendole a sua volta di guardare nei vostri occhi; e alla terza volta dirle di chiudere gli occhi, ordinandole di dormire; parlare poi alla sua anima, dopo averla segnata con il segno della croce.»

Cari amici, all’inizio del mio intervento vi ho detto che dovendovi parlare del sacerdote esorcista e del suo ministero nella pastorale ordinaria della Chiesa, nella consapevolezza dei miei limiti in materia, avrei rinunciato ad una relazione rigorosamente scientifica e all’uso di un linguaggio specialistico, per offrirvi dei semplici spunti di riflessione, utili, spero, ad incoraggiarvi e a sostenervi nel vostro non facile e, a volte, incompreso ministero.

Se perciò quello che ho appena esposto, citando alla lettera il libro del Cardinale Suenens, stimola in voi delle domande, vi chiedo il favore di non porle a me e di approfondire queste questioni tra di voi, che avete una preparazione specifica su questa materia.

Io sono qui a parlarvi non da tecnico, ma da Pastore, e se ho scelto citare alcuni passaggi del libro del Cardinale Suenens è perché «ritengo – per usare ancora le sue parole – che occorra attirare l’attenzione sui precipizi che costeggiano il percorso, per garantire la sicurezza stradale.»

In conclusione, se nella pastorale ordinaria della Chiesa l’esorcista, oltre ad essere un sacerdote che ama e un sacerdote che prega, si deve porre come uomo di fede, va ribadito che in tutte le cose, e in particolare quando si tratta di conoscenza della realtà demoniaca, è necessario attenersi sempre e soltanto alla fede costante e universale della Chiesa, custodita e proposta dal suo Magistero, testimoniata dai Padri, insegnata dai Dottori, vissuta dai Santi. Ciò che contraddice o che stona con la sobrietà di questa fede deve essere decisamente rigettato. Altrimenti si fa del male a sé stessi e si fa del male agli altri, correndo il rischio di alimentare solo una mentalità superstiziosa.

Ed è per queste ragioni che nutro stima e gratitudine verso la vostra Associazione, la quale, soprattutto attraverso la sua Presidenza, si adopera instancabilmente affinché nella Chiesa si affermi una sana prassi esorcistica e vengano evitate quelle stranezze e quelle devianze che possono solo generare abusi e incremento di sofferenza.

Il mio auspicio è che le Conferenze Episcopali e i singoli Vescovi sappiano trarre profitto dalla vostra disponibilità e competenza, soprattutto nel campo della formazione istituzionale e permanente dei ministri dell’esorcismo, e che la vostra Associazione si mantenga sempre fedeli ai principi che le hanno meritato l’apprezzamento e il riconoscimento della Santa Sede.

L’esorcista è un sacerdote gioioso

Avviandomi alla fine di questo intervento, vi propongo una breve novella di Dino Semplici (non conosco l’Autore, ma è riportata in diversi siti Internet). Il titolo è “Il diavolo e la malinconia”.

«Un giorno il diavolo ebbe fame. Prese con sé un sacco e decise di andar per anime.

Naturalmente ambiva un bocconcino prelibato. S’acquattò dunque tra le fronde di un albero di fronte alla finestra di un sant’uomo. E aspettò.

La giornata del sant’uomo trascorreva davvero nitida come il cristallo, fra preghiere, gesti di bontà e sentimenti di prim’ordine. Non una sbavatura. Non un cedimento. Tanto che anche il diavolo lo ammirò.

E il suo appetito crebbe.

Pareva davvero non ci fosse nulla da fare. Ma un giorno, mentre stava scrutando quell’anima tutta bianca, il diavolo notò che anch’essa, come tutte, aveva una piccolissima crepa: verso il tramonto, il sant’uomo s’affacciava alla finestra a guardare il sole sparire: e provava un breve attimo di malinconia.

Al diavolo questo bastò. Concentrò tutti i suoi sforzi verso quell’attimo, lo scavò, lo dilatò e, quando divenne una buca profonda, vi riversò dentro tutti i suoi intrugli più efficaci: prima l’angoscia, poi l’amarezza, infine la disperazione.

Così che non ebbe che allungare la mano per fare un ottimo pranzo.»

Fratelli esorcisti, ve lo chiedo con intima convinzione: coltivate la gioia, ricordandoci tutti quanti che «la nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù.».[33]

Vedete, voi non dovete soltanto lottare contro il diavolo quando, con la permissione di Dio, il nemico si scatena in modo straordinario contro il vostro prossimo. Voi dovete affrontarlo anche nel combattimento con il quale egli cerca di strappare voi stessi da Gesù.

Papa Francesco ce lo ha ricordato quando ci ha detto che «la vita cristiana è un combattimento permanente» e «si richiedono forza e coraggio per resistere», perché «non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia. Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male.»

Ma il Papa ci assicura che «questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita» e che «Gesù stesso festeggia le nostre vittorie», Lui, che «si rallegrava quando i suoi discepoli riuscivano a progredire nell’annuncio del Vangelo, superando l’opposizione del Maligno, ed esultava: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore.”»[34]

Ma come riuscire vincitori in questa lotta col Sovrano della malinconia, col Principe della tristezza, col Re della disperazione? I Santi ce lo insegnano e in particolare ce lo ha insegnato San Francesco d’Assisi. Di lui scrive il suo primo biografo, il Beato Tommaso da Celano:

«Questo Santo assicurava che la letizia spirituale è il rimedio più sicuro contro le mille insidie e astuzie del nemico. Diceva infatti: “Il diavolo esulta soprattutto, quando può rapire al servo di Dio il gaudio dello spirito. Egli porta della polvere, che cerca di gettare negli spiragli, per quanto piccoli della coscienza e così insudiciare il candore della mente e la mondezza della vita. Ma – continuava – se la letizia di spirito riempie il cuore, inutilmente il serpente tenta di iniettare il suo veleno mortale. I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente giocondo. Se invece l’animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole”. Per questo il Santo cercava di rimanere sempre nel giubilo del cuore, di conservare l’unzione dello spirito e l’olio della letizia. Evitava con la massima cura la malinconia, il peggiore di tutti i mali, tanto che correva il più presto possibile all’orazione, appena ne sentiva qualche cenno nel cuore. “Il servo di Dio – spiegava – quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché, se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime.»[35]

Ogni giorno, soprattutto in quelli più carichi di fatica e di dolore, vivete nella gioia, cari fratelli, e vincerete il demonio in voi e negli altri.

Conclusione

E permettetemi di concludere questo intervento con parole non mie, ma di Giorgio La Pira: «Anche per noi verrà l’ora in cui ogni fatica sarà finita e sarà per sempre aperta la porta del Paradiso! Il sabato senza vesperi, il giorno senza tramonti; quale gioia e quale soave mestizia insieme: perché fino a quando questo giorno non è arrivato c’è nel cuore una vena di santa amarezza, un senso soavissimo di pianto il quale ci avverte che ancora la Patria non è raggiunta e che bisogna camminare e lavorare ancora! Ma per noi camminare e lavorare per Gesù è grande festa, non è vero? Cosa importa se ci saranno richiesti altri sacrifici: tutta la nostra vita è un unico e perenne sacrificio, e le lagrime stesse hanno per noi un sapore che preannunzia i gusti e le gioie del secolo futuro!

Corriamo dunque, veloci verso il Cielo: scoviamo nel cuore tutte le energie che possiamo e mettiamo queste energie a servizio dell’amore; l’amore è ardente, è deciso, è gioioso, è generoso; l’amore può ogni cosa, è audace; esso tende irresistibilmente a quell’ultimo amplesso che fa della creatura e del Creatore una sola ed inscindibile unità! Unum.

Ecco dove tendiamo; è questa la passione che ci consuma, forze ordinate e forze che tenderebbero al disordine, tutto deve essere impegnato con decisione per il compimento di questa impresa benedetta: al termine del cammino, sulla cima del monte, è tutto il Paradiso che ci attende festante!»[36]

Ricordatemi con viva carità al Signore ed alla Madonna.

[1] PAPA FRANCESCO, Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, n. 161.
[2] Ivi, n. 160.
[3] PAPA FRANCESCO, Udienza con il movimento di Comunione e Liberazione (Piazza San Pietro, 7 marzo 2015).
[4] Ibidem.
[5] Cfr. 1 Cor 12, 31.
[6] Cfr. Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari, n. 13.
[7] Ibidem.
[8] CEI, Presentazione [al nuovo Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari], n. 17.
[9] Cfr. Gc 2, 17-19.
[10] 1 Pt 4, 8b.
[11] Citato in MORFINO MAURO M., Vescovo di Alghero-Bosa, Facciamo come il Signore. Pensare una regola di vita del presbitero, Alghero 2017, pag. 63.
[12] SULPICII SEVERI, De vita Beati Martini. Liber unus, II, col. 161-162.
[13] Ivi, XXVII, col. 176.
[14] Cfr. Ef 3, 17.
[15] Cfr. SULPICII SEVERI, De vita …, XVII, col. 170.
[16] SULPICII SEVERI, Epistola III. Ad Bassulam socrum suam, col. 183.
[17] PAPA FRANCESCO, Omelia in Casa Santa Marta del 23 gennaio 2014.
[18] Ef 6, 11-12.
[19] Col 3, 12-16.
[20] Cfr. Fil 3, 12.
[21] Cfr. 1 Cor 13, 2b.
[22] Cfr. PAPA FRANCESCO, Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, nn. 147-149.
[23] Cfr. CATECHISMO CHIESA CATTOLICA, nn. 1303; 1830-1831.
[24] Cfr. PAPA FRANCESCO, Udienza Generale di mercoledì 21 maggio 2014.
[25] ANGELA DA FOLIGNO (Santa), Il Libro. Introduzione, traduzione e note di Salvatore Aliquò. Edizione riveduta e corretta da Sergio Andreoli, Città Nuova Editrice 2009, pag. 185.
[26] Cfr. PAPA FRANCESCO, Omelia in Casa Santa Marta del 14 gennaio 2016.
[27] Cfr. PAPA FRANCESCO, Udienza Generale di mercoledì 18 aprile 2018.
[28] PAPA FRANCESCO, Lettera Enciclica Lumen Fidei, n. 24.
[29] Léon-Joseph Suenens (n. 16 luglio 1904; † 6 maggio 1996), è stato cardinale e arcivescovo belga dell’Arcidiocesi di Malines-Bruxelles e primate del Belgio dal 1961 al 1979. Uomo di grande apertura al dialogo col mondo moderno e impegnato a promuovere la collaborazione con le Chiese protestanti ed ortodosse, fu uno degli artefici di molte delle proposte innovative del Concilio Vaticano II.
[30] Pubblicato in diverse lingue. In italiano: LÉON-JOSEPH SUENENS, Rinnovamento e potenze delle tenebre. Orientamenti teologici e pastorali, Edizioni Paoline 1982.
[31] Ivi, pag. 7.
[32] Per quanto esporrò nei paragrafi seguenti, cfr. Ivi pp. 79-87.
[33] PAPA FRANCESCO, Omelia della Domenica delle Palme, 24 marzo 2013.
[34] Cfr. PAPA FRANCESCO, Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, n. 158-159.
[35] Fonti Francescane, n. 709.
[36] GIORGIO LA PIRA, Lettere al Carmelo. Aspettando il sabato senza vespri (lettera non datata).

Halloween è una festa pericolosa? Parlano gli esorcisti: “Non è un gioco innocente, ma un progetto contro il cristianesimo”

Conferenza Episcopale Italiana

AGENZIA SIR

Halloween è una festa pericolosa? Parlano gli esorcisti: “Non è un gioco innocente, ma un progetto contro il cristianesimo”

31 ottobre 2018

Riccardo Benotti

Per padre Francesco Bamonte, presidente dell’Associazione internazionale esorcisti (AIE), “la ricorrenza di Halloween incluso il periodo di tempo che la prepara, è di fatto per alcuni giovani, un momento privilegiato di contatto con realtà settarie o comunque legate al mondo dell’occultismo, con conseguenze anche gravi non solo sul piano spirituale, ma anche sul piano dell’integrità psicofisica”. E Aldo Buonaiuto, animatore del Servizio antisette della Comunità Giovanni XXIII, invita a “impegnarci intensamente nelle parrocchie e nelle scuole affinché emerga la componente anticristiana di questo fenomeno, senza il timore di essere etichettati come bigotti ma avendo sempre come bussola del proprio agire quotidiano il radicamento nella Verità”

Un giro d’affari che, in tempi di crisi economica, supera i 250 milioni di euro e coinvolge fino a 17 milioni di italiani. È la festa di Halloween nei numeri forniti da Confesercenti per il 2017. E il trend non sembra ancora subire inversioni. Ma è soltanto un fenomeno commerciale o, dietro la notte delle streghe, si nasconde qualcosa di più? “Halloween rientra in un progetto più vasto, fortemente sostenuto dai mass media che è non tanto quello commerciale, quanto quello di indurre l’opinione pubblica, in particolare i bambini, gli adolescenti e i giovani, a familiarizzare con mentalità occulte e magiche, estranee e ostili alla fede e alla cultura cristiana. Vogliono che venga meno la visione cristiana della vita e si torni a quella pagana”. A dare l’allarme è padre Francesco Bamonte, presidente dell’Associazione internazionale esorcisti (AIE): “La mia esperienza come quella di altri esorcisti, mostra come la ricorrenza di Halloween incluso il periodo di tempo che la prepara, sia di fatto per alcuni giovani, un momento privilegiato di contatto con realtà settarie o comunque legate al mondo dell’occultismo, con conseguenze anche gravi non solo sul piano spirituale, ma anche sul piano dell’integrità psicofisica”.

Nella mente dei più giovani, spiega padre Bamonte, Halloween “imprime quanto meno la bruttezza. E imprimendo nei bambini la bruttezza, il gusto dell’orrido, del deforme, del mostruoso messo allo stesso livello del bello, li orienta in qualche modo al male. In Cielo, dove regna la sola bontà, tutto è bello. All’Inferno, dove si respira solo odio, tutto è brutto”. Secondo l’esorcista, “i bambini hanno bisogno di bellezza, non di bruttezza, perché hanno bisogno di bontà, non di cattiveria. Ed è la bellezza che li aiuta a discernere tra ciò che è buono e ciò che è cattivo”. Su questo, prosegue, riflettano

“le mamme, i papà, gli educatori e soprattutto chi continua non solo a sostenere che Halloween è un gioco innocente, ma addirittura accusa di oscurantismo chi ne mette in rilievo la forte valenza negativa.

Sono oscurantisti coloro che fanno conoscere alle nuove generazioni i grandi benefattori dell’umanità, che sono i Santi nel cui sguardo si riflette la bellezza del Cielo, oppure coloro che addestrano le nuove generazioni alla cultura della morte, dissacrano i simboli della fede cristiana ed esaltano il macabro e il demoniaco?”.

È ormai ben noto, sostiene il presidente degli esorcisti secondo la sua esperienza di ministero, che “la ricorrenza di Halloween è nel calendario degli occultisti, dei maghi, degli operatori dell’occulto e dei cultori di satana, una delle ‘festività’ più importanti per cui è per essi motivo di grandissimo compiacimento che la mente e i cuori di tanti bambini, adolescenti, giovani e di non pochi adulti, anche se per gioco e divertimento, siano rivolti al macabro, al demoniaco, ai vampiri, ai fantasmi, alla stregoneria, alle bare, ai teschi, agli scheletri e all’irrisione beffarda e sinistra del momento più importante e decisivo dell’esistenza di un essere umano che è quello del suo trapasso.

Pochi sanno, inoltre, che i cultori di satana, in quella notte, nei perversi riti da essi realizzati in suo onore, gli offrono i giochi e le ‘energie’ di tutti coloro che, sia pure per divertimento, sempre a intendimento dei satanisti, stanno evocando implicitamente con quella festa il mondo delle tenebre”.

Tutto ciò non significa che coloro che festeggiano Halloween avranno esperienze negative, ma “per i seguaci del maligno certamente è motivo di grande soddisfazione che tanti bambini, adolescenti, giovani e adulti, quella notte siano orientati non alla meravigliosa luce e bellezza di Dio, ma in qualche maniera al mondo del male. Loro sono convinti che in tal modo si rafforza il potere del maligno nella società e in essi stessi”.

Anche don Aldo Buonaiuto, animatore del Servizio antisette della Comunità Giovanni XXIII, mette in guardia dalla seduzione di Halloween: “È la matrice esoterica a renderla pericolosa. Non si tratta di una ricorrenza laica, come spesso viene presentata, ma piuttosto di un evento religioso in senso negativo, un’operazione paganeggiante che riesce a camuffarsi dietro all’apparente innocuità del ‘dolcetto e scherzetto’”. Don Buonaiuto ricorda che “le radici di Halloween risalgono alla festività celtica di Samhain durante la quale venivano compiuti dei veri e propri riti che contemplavano anche sacrifici umani e che dovevano servire ad ingraziarsi gli spiriti maligni. Per l’esecuzione di questi macabri rituali, venivano indossate delle maschere e venivano fatte delle invocazioni. Elementi che si ripropongono anche oggi nella convinzione che si tratti soltanto di un gioco innocente. Purtroppo non è affatto così”.

Oggi il “lato oscuro” di Halloween viene tenuto nascosto per non rompere il “giocattolo” commerciale che si è creato: “Il dovere dei genitori, degli educatori, dei media e di noi sacerdoti è quello di impegnarci intensamente nelle parrocchie e nelle scuole affinché emerga la componente anticristiana di questo fenomeno, senza il timore di essere etichettati come bigotti ma avendo sempre come bussola del proprio agire quotidiano il radicamento nella Verità”. Ai bambini, conclude don Buonaiuto, “in contrapposizione al pericoloso e vacuo divertimento prospettato con Halloween, va presentata con convinzione e credibilità la bellezza del messaggio cristiano e quindi i valori della carità, della solidarietà e della Santità”.

Vedi anche: https://agensir.it/quotidiano/2018/10/31/halloween-p-bamonte-aie-vogliono-che-venga-meno-la-visione-cristiana-della-vita-e-si-torni-a-quella-pagana/

Commemorazione in onore di don Gabriele Amorth nel secondo anniversario di morte

Roma 16 settembre 2018 Santuario Maria Regina degli Apostoli

OMELIA DI PADRE FRANCESCO BAMONTE, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE ESORCISTI, NELLA SANTA MESSA DI SUFFRAGIO PER L’ANIMA DI DON GABRIELE AMORTH NEL SECONDO ANNIVERSARIO DELLA SUA DIPARTITA

24 ͣ domenica del tempo ordinario – Anno B

Is 50,5-9a; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

Ringrazio i religiosi della Società San Paolo e in particolare il Vicario Provinciale, don Carlo Cibien, che presiede questa Santa Messa, per avermi invitato a pronunciare l’omelia in questa liturgia eucaristica in suffragio dell’anima di don Gabriele Amorth, nel secondo anniversario del suo ritorno alla casa del Padre.

L’Omelia comprende due momenti di riflessione: il primo è un commento della Parola di Dio di questa domenica; il secondo è una considerazione sulla particolare missione che don Gabriele Amorth ha ricevuto da Dio: rilanciare il ministero dell’esorcismo nella Chiesa contemporanea.

Inizio dunque con una riflessione sulle letture bibliche odierne. Il popolo ebraico, ai tempi di Gesù, attendeva un Messia politico, un condottiero, un uomo d’azione, che avrebbe dovuto risollevare le sorti politiche del popolo d’Israele, imponendosi con straordinarie manifestazioni di potenza e di successo sui nemici d’Israele, che in quel preciso momento storico erano i romani.  La figura del Messia presentata dalla tradizione profetica non era però quella che Israele attendeva, ma quella del Servo sofferente, cioè dell’innocente che sarebbe stato umiliato, sottoposto a insulti, a sputi, flagellato e infine condannato a una morte infamante in croce, che poi, però, sarebbe risorto. Questa figura del Messia, che pure era stata anticipatamente descritta dal profeta Isaia, era quanto di più lontano e scandaloso si potesse proporre alla mentalità e alle aspettative degli Ebrei. Pertanto, quando Gesù applicò a se stesso, apertamente, quella figura del Messia, Pietro prese Gesù in disparte e come leggiamo in un altro testo del Vangelo, Matteo al cap. 16, 2, gli disse: “Dio ti scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”. Lo stesso Pietro, che mosso dalla grazia e dalla luce divina precedentemente aveva riconosciuto che Gesù era il Messia, in un momento successivo, conformandosi alla mentalità del mondo, pensando come pensava il mondo, cioè che si debba pervenire alla gloria senza percorrere prima i sentieri poco frequentati dell’umiliazione, disse a Gesù che tutte quelle cose non gli sarebbero accadute. Abbiamo ascoltato le parole dure con cui Gesù si rivolse subito dopo a Pietro: “Va dietro a me, Satana”; parole dure, perché Pietro, sia pure inconsapevolmente, aveva in qualche modo imitato quello che Satana, nemico del bene e amante del male, opera tra gli uomini. In ebraico Satana vuol dire “colui che si mette di traverso”. Egli, infatti è proprio colui che fa da ostacolo: ostacolo tra gli uomini e Dio. E Pietro si era messo di traverso tra Gesù e la missione che il Padre aveva affidato a Gesù. Abbiamo ascoltato Gesù dire a Pietro anche: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Pietro aveva bisogno di mettersi alla scuola di Gesù, di seguire Gesù e non di ostacolare Gesù, aveva bisogno di imparare a pensare e ad agire secondo Dio e non secondo gli uomini. Dopo la Risurrezione di Gesù e l’effusione dello Spirito Santo nella Pentecoste, sappiamo che Pietro cambiò la sua mentalità e seguì Gesù, come Gesù desiderava lo seguisse, e come desidera che anche noi lo seguiamo. Pertanto non possiamo ignorare la preghiera che poco prima della sua Passione Gesù elevò al Padre per i discepoli e per tutti i credenti che lo avrebbero seguito, e continueranno a seguirlo, sino alla fine dei tempi, sino alla Parusia: Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo (Gv 17, 14). E anche Paolo ci esorta, come esortava i cristiani della prima comunità di Roma: Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2).

Purtroppo però, molti cristiani oggi dicono di credere in Gesù e poi continuano a seguire il mondo. Chiediamo allo Spirito Santo di disintossicarci, di purificarci dalla mentalità del mondo. Imploriamo lo Spirito Santo, perché oltre a credere che Gesù, è il Verbo di Dio fatto carne, il Figlio dell’Eterno Padre fatto uomo, ci aiuti anche a seguire Gesù, pensando come pensa lui, operando come opera lui, amando come ama lui. Allora la sua vita sarà veramente la nostra vita, la sua luce la nostra luce, la sua felicità la nostra felicità, la sua forza la nostra forza; e non avremo timore di affrontare la sofferenza e la morte, perché non ci faranno più paura.

Celebriamo questa Santa Messa in suffragio dell’anima di don Gabriele Amorth nel secondo anniversario del suo passaggio da questo mondo all’eterna vita in Dio, e come vi ho accennato all’inizio dell’Omelia, vorrei sottolineare lo zelo con cui don Gabriele si è dedicato a rilanciare il Ministero dell’Esorcismo nella Chiesa. Dando uno sguardo d’insieme alla sua vita, si evidenzia che questa, infatti, è stata la missione che Dio gli ha affidato e che don Gabriele ha umilmente compiuto.

Il giovane Gabriele Amorth, dopo l’incontro con don Alberione e il percorso formativo nella Società San Paolo, fu Ordinato Sacerdote il 24 gennaio 1954 all’età di ventinove anni. Aveva un carattere forte che unito ad una profonda comunione con Dio, gli consentirà, circa 40 anni dopo, di realizzare un’intensa opera di rilancio e di rivalutazione della pastorale dell’Esorcismo nella Chiesa Cattolica in un contesto storico sociale nel quale da alcuni pseudo teologi era stata fortemente messa in discussione quella verità di fede che è l’esistenza dei demoni e la loro attività ordinaria e straordinaria in mezzo agli uomini.

Don Gabriele aveva ricoperto prima di allora altri incarichi. Dopo essersi specializzato in Diritto Canonico – a motivo del suo essere già laureato in Diritto Civile – fu poi animatore spirituale manifestando in tale compito notevoli doti, successivamente dal 1959 al 1976 si occupò sia dell’Istituto “Maria Santissima Annunziata”, al tempo della sua vivace epoca fondazionale, sia dell’ “Istituito San Gabriele Arcangelo” (i cosiddetti Gabrielini), fedeli  laici consacrati a Dio nel celibato. Fu quindi alla guida dei Cooperatori Paolini dal 1978 al 1980. Assunse poi, da esperto mariologo qual era, la direzione del mensile paolino Madre di Dio. Innamorato della Madonna e penna sagace, condusse egregiamente il giornale per otto anni scrivendo molti articoli. Fu anche membro della “Pontifica Accademia Mariana Internazionale”. Pubblicò un libro sulla Madonna dal titolo: “Il Vangelo di Maria”.

Fu però il suo ministero di esorcista che lo rese famoso in tutto il mondo. Ricordarsi della formazione giuridica civile e canonica di don Gabriele è molto importante in quanto ci fa comprendere come le sue posizioni e le sue battaglie furono condotte sempre dentro una corretta concezione di Teologia Canonica, Ecclesiale e Pastorale. L’Esorcistato gli fu conferito mediante licenza scritta e a tempo indeterminato, dal cardinale Ugo Poletti, vicario di Papa Giovanni Paolo II per la diocesi di Roma. Il cardinale Poletti era particolarmente sensibile alla sofferenza dei fedeli tribolati dal demonio e, conoscendo le precarie condizioni di salute dell’allora esorcista ufficiale della diocesi di Roma e oggi servo di Dio padre Candido Amantini della Congregazione dei Passionisti, che svolgeva il ministero al santuario della “Scala Santa” di fronte alla basilica di san Giovanni in Laterano, pensò di affiancargli un giovane sacerdote che potesse essergli di aiuto. Un giorno il cardinale ricevette senza previo appuntamento don Gabriele che voleva porgergli un semplice saluto e fare una chiacchierata con lui. Erano amici e don Gabriele sapeva che poteva permettersi con il cardinale visite inaspettate. Era mercoledì 11 giugno 1986, e nel corso di quella semplice chiacchierata “non ricordo come – diceva don Gabriele – il colloquio scivolò su Padre Candido”. Il cardinale gli chiese se lo conoscesse e quando don Gabriele disse di sì, colse immediatamente l’occasione per dare alla diocesi di Roma un nuovo esorcista. Don Gabriele nei suoi scritti e nelle interviste, raccontava spesso l’episodio della sua nomina ad Esorcista anche perché cercava di sottolineare quell’inaspettatamente e di conseguenza la sua totale inesperienza, che poi scoprirà inaspettatamente essere la totale inesperienza di tutti coloro che venivano nominati Esorcisti. Questa carenza di formazione esperienziale è il punto centrale che don Gabriele prese a cuore per intraprendere la realizzazione di un percorso formativo per Esorcisti che, iniziato nel 1991, con una semplice riunione di dodici Esorcisti italiani, culminerà nel 1994 nella fondazione, insieme a padre René Chenessau (1924-2010), compianto Esorcista francese della Diocesi di Pontoise, dell’Associazione Internazionale Esorcisti (A.I.E.). Egli avviò così per gli esorcisti che lo desideravano, un percorso di formazione teologico-esperienziale il cui obiettivo era esclusivamente una corretta conoscenza della prassi esorcistica e la condivisione di esperienze e conoscenze su questo ministero, al fine di aiutare i fedeli tribolati dal maligno. La fondazione dell’A.I.E, in fin dei conti, rappresenta la risposta al monito del beato Paolo VI che il 15 novembre 1972 nell’allocuzione Liberaci dal Male richiamò alla necessità di ristudiare la demonologia. Prima della fondazione dell’A.I.E. don Gabriele, proprio per supplire alla carenza formativa sull’Esorcistato, pubblicò il testo Un esorcista racconta, nel quale condivise la sua esperienza teologico-pastorale. Questo lavoro segnò le basi della moderna riflessione demonologica e raggiunse ben ventidue edizioni e la traduzione in venti lingue, quindi un vero e proprio successo internazionale. Divenne infatti il testo base per la conoscenza del Ministero dell’Esorcista ai nostri tempi, che accanto a tutti i suoi altri libri e molteplici interviste televisive e radiofoniche contribuirono ad un intenso sviluppo dell’Esorcistato su tre aspetti: Pastorale, Teologico ed Ecclesiale.

Non si può capire la tenacia che don Gabriele ebbe nel portare avanti tale compito, senza considerare innanzitutto una particolare grazia a lui concessa da Dio per promuovere la rivalutazione del Ministero dell’Esorcismo nella Chiesa Cattolica, poi il suo forte temperamento di carattere, e infine il suo desiderio di evangelizzare con i mezzi di comunicazione sociale, espressione del suo carisma di presbitero paolino. Don Gabriele ha ripresentato sul piano teologico, per mezzo di un linguaggio semplice ed accessibile a tutti, la dottrina cattolica circa l’esistenza di Satana e dei demoni quali angeli decaduti (dottrina che rientra nella Teologia Dogmatica), poi l’azione ordinaria dei demoni e i peccati di superstizione e di occultismo (Dottrina che rientra nella Teologia Morale) e infine l’azione straordinaria dei demoni (dottrina che rientra nella Teologia Spirituale).

Sul piano pastorale don Gabriele ha mostrato per mezzo di una corretta e profonda opera catechetica quello di cui lui faceva esperienza: una sofferenza inaudita delle persone soggette ad azione straordinaria del demonio, sofferenza del tutto sconosciuta alla pastorale ordinaria della Chiesa. I racconti dei suoi esorcismi non sono tuttavia racconti di eventi tragici, spaventosi o da film dell’orrore, ma rappresentano un grido di aiuto rivolto alla Chiesa in favore di coloro che sperimentano questa particolare forma di sofferenza. E sarà proprio la speciale attenzione di don Gabriele verso questa sofferenza che porterà la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) a riconoscere nelle Premesse Generali del Rituale degli Esorcismi, i nostri fratelli e sorelle tribolati dal maligno, come «i più poveri tra i poveri», membri che la comunità cristiana deve amare di un amore preferenziale, bisognosi di aiuto, di comprensione e di consolazione, proprio perché in potere del maligno (Rito degli Esorcismi, Presentazione della CEI, par. 16).

Infine, sul piano ecclesiale il contributo di don Gabriele è manifesto nel riconoscimento giuridico e nell’approvazione dello Statuto dell’A.I.E. da parte della Santa Sede, il 13 giugno 2014, vero e proprio punto di svolta nella storia della Chiesa in ambito esorcistico.

A don Gabriele i nostri ringraziamenti per la tenacia con la quale ha posto davanti agli occhi di tutti la sofferenza degli esorcizzandi e, nello stesso tempo, ha ricordato con vigore, sulla scia del magistero dei santi, che l’amore per Dio si manifesta nell’amore per gli ultimi, e se oggi i fedeli con particolari disturbi spirituali sono riconosciuti non solo dalla Conferenza Episcopale Italiana, ma da molti altri vescovi in tutto il mondo come «i più poveri tra i poveri», lo dobbiamo anche al suo sincero, grande, appassionato contributo Teologico-Pastorale-Ecclesiale che ha dato al Ministero dell’Esorcista.

Affidiamo dunque ancora una volta l’anima di don Gabriele alla Madonna che egli pregava sempre con ardente amore e alla quale si consacrò con grande slancio, e chiediamo al Signore di ricompensarlo per tutto il bene che ha fatto, specialmente per la straordinaria carità che egli sempre manifestò verso coloro che soffrono a causa di una particolare azione del maligno.

ESORCISMO E FINZIONE CINEMATOGRAFICA A CONFRONTO

Relazione di padre Francesco Bamonte, icms

Da qualche anno la cinematografia ha sviluppato e imposto all’attenzione del pubblico un filone piuttosto popolare, che propone il tema della possessione diabolica e dell’esorcismo. Mentre ne rileviamo l’aspetto positivo di richiamare l’attenzione pubblica al dato reale della presenza e dell’azione del demonio nella storia personale e comunitaria degli uomini, tuttavia non possiamo ignorare che la tematica sia sviluppata in modo inadeguato, rispondente solo in minima parte a ciò che accade realmente nel corso di un esorcismo e per niente all’autentico clima che si instaura.

Noi che esercitiamo questo ministero, rileviamo una vera incongruenza tra la reale possessione diabolica, e quel che viene mostrato nella produzione cinematografica, che non rende, così, alcun servizio alla pastorale dell’esorcismo e determina invece conseguenze immediate che desidero proporre alla vostra attenzione.

Come apprendiamo dalle pagine dei Vangeli, Gesù negli anni della sua missione pubblica annunciò il Regno di Dio, guarì gli ammalati, liberò gli indemoniati, cioè coloro che erano posseduti dal demonio nel loro corpo.  Gesù conferì ai suoi Apostoli la stessa missione che egli aveva compiuto, inviandoli innanzitutto ad annunciare il Regno di Dio, poi a guarire gli ammalati e a liberare gli indemoniati.  La cacciata dei demoni pertanto consegue alla fondamentale missione della Chiesa di annunciare il Vangelo e invitare ad aderire a Cristo e al suo Regno. Il ministero dell’esorcismo si colloca in questo contesto di evangelizzazione integrale della Chiesa Cattolica. Nei film immessi sul mercato e sulla Rete, risulta evidente l’assenza o la quasi totale assenza di questo aspetto fondamentale della pastorale della Chiesa.

Si evidenzia inoltre un’eccessiva attenzione alla trasformazione dell’esorcismo in uno spettacolo finalizzato a suscitare forti emozioni. Si tende infatti a creare una scenografia cupa, con effetti sonori tali da suscitare ansia, inquietudine, paura, tremore nello spettatore; ma non sono affatto queste le emozioni che l’esorcista e chi assiste sperimentano nel corso di un esorcismo. In questi film infatti, alle urla dei posseduti bisognerebbe che la produzione cinematografica che ha cura di tutte le musiche, suoni, rumori ecc. che si odono in un film, sovrapponesse anche i canti dei cori angelici e musiche celestiali capaci di sensibilizzare gli spettatori alla percezione della presenza e dell’intervento di Dio, dell’intercessione della Madonna, degli Angeli e dei Santi, che durante l’esercizio di questo ministero sostengono sia l’esorcista, sia i suoi assistenti sia chi riceve l’esorcismo, proprio perché in questo ministero è tutta la Chiesa trionfante e militante che interviene. Non sto dicendo ovviamente che noi durante gli esorcismi sentiamo veramente cori angelici e musiche celestiali (almeno a me non è mai successo), ma intendo dire che oltre alla realtà del mondo preternaturale (cioè demoniaco) che negli esorcismi si evidenzia in maniera manifesta, l’inserimento di tali musiche e canti servirebbe a richiamare allo spettatore anche la presenza nascosta -ma reale, viva, potente e travolgente- del mondo soprannaturale.

Chi acquisisce la prima idea degli esorcismi, mediante i film che rappresentano ambiguamente la possessione diabolica, crede erroneamente che l’esorcismo sia un fenomeno abnorme, mostruoso e pauroso, il cui unico protagonista sia il demonio.

L’esorcista, inoltre, viene spesso rappresentato come un sacerdote nervoso, teso, impaurito da colui che deve affrontare, quasi come se dovesse scontrarsi con una divinità del male. In realtà l’esorcista è sereno, calmo e sicuro, ma non della serenità che deriva da ingenuità e avventatezza; è sicuro, non della sicurezza che deriva da presunzione e orgoglio, ma perché fonda la sua fiducia in Cristo Gesù che ha esercitato questo ministero manifestando l’opera della sua salvezza non solo destinata a liberare l’uomo dal peccato e dalle sue conseguenze, ma anche dall’autore del primo peccato, omicida fin dall’inizio e padre della menzogna (cf Gv 8,44), che opera in mezzo agli uomini sia con un’azione ordinaria che è quella di tentare gli uomini al male per separarli da Dio, sia con una azione che è definita straordinaria, perché meno frequente e perché si manifesta talvolta con effetti visibili o percepibili.  Questa azione del demonio è rivelata in particolare in quelle pagine dei Vangeli che presentano Gesù che caccia i demoni e nelle pagine degli Atti degli Apostoli nelle quali ci vengono narrati gli esorcismi fatti dagli Apostoli e dai discepoli. L’esorcista fonda la sua fiducia anche nell’intercessione di tutta la Chiesa, consapevole che lo stesso potere di cacciare i demoni, Gesù lo comunicò agli Apostoli e ai suoi discepoli e quindi alla sua Chiesa, ordinando di esercitarlo nel suo Nome. Negli Atti degli Apostoli vediamo come la Chiesa sin dall’inizio esercita tale potere, lo ha esercitato lungo i secoli sino ad oggi e ancora lo farà sino al ritorno glorioso di Cristo.

Un aspetto particolare che neppure viene trattato nei film sul tema, è che negli esorcismi di Gesù e dei discepoli di Gesù non si rilevano particolari reazioni di terrore provocate dai demoni alle persone, ma si nota piuttosto il terrore che i demoni avevano di Gesù e degli Apostoli, e la grande gioia del popolo nel vedere i demoni tremare e fuggire dai corpi dei posseduti. L’esorcismo quindi diventa motivo di lode e di gloria a Dio nel ringraziamento e nell’esultanza, piuttosto che motivo di paura. La paura invece è tutta dalla parte dei demoni: noi percepiamo chiaramente, infatti, che essi -che ordinariamente operano nel nascondimento- quando durante gli esorcismi vengono allo scoperto, per quanto possano mostrarsi forti, sicuri e spavaldi, soprattutto nei primi esorcismi,  arriva il momento in cui manifestano apertamente la loro paura di fronte alla maestà di Dio e ai comandi che nel nome di Cristo e della Chiesa gli vengono proferiti, perché  sanno bene che  una volta scoperti, se l’esorcista e la persona da essi posseduta perseverano nella lotta, saranno sopraffatti dalla potenza del Signore: è questo decisamente che provoca la loro paura.

Altro motivo di gioia per l’esorcista e per la persona che ricorre al suo ministero, per niente evidenziato in questi film, deriva dall’esperienza diretta della conferma delle parole di Gesù: “Se [invece] io scaccio i demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio” (Lc 11, 20). Con queste parole Gesù afferma che la sua attività di cacciare i demoni era il segno che confermava la venuta del Regno di Dio sulla terra, per infrangere la tirannia di Satana sull’umanità. Tale opera avrà il suo epilogo, come Gesù stesso ci ha preannunciato, nel trionfo definitivo di Dio sul regno di Satana e l’instaurazione di un nuovo mondo, in cui gli spiriti demoniaci non avranno più alcun potere sugli uomini. Nel nostro ministero di esorcista si intravedono i primi bagliori dell’avvento di quell’alba radiosa. Spesso, durante i nostri esorcismi, gli stessi demoni sono costretti con rammarico a confermarlo, confessando, come facevano con Gesù quando li cacciava dai posseduti, che Egli è venuto a distruggere il loro regno, per cui, nonostante continuino tuttora ad essere attivi nel mondo per la rovina degli uomini, la loro sconfitta è già assicurata e noi negli esorcismi assistiamo proprio a un anticipo di quella disfatta che sarà definitiva alla fine dei tempi.

Altro aspetto fuorviante di questi film è la presentazione della lotta tra il bene e il male in modo non corrispondente a quanto ci ha rivelato la Sacra Scrittura: i demoni sono angeli creati buoni da Dio, ma decaduti e diventati malvagi per sempre, per loro libera scelta.

In quanto creature, i demoni sono esseri infinitamente inferiori a Dio e per quanto attivi nel mondo, al fine di operare gravi danni, non possono impedire il disegno di Dio e la sua opera di salvezza compiuta in Cristo.

In riferimento alla lotta tra il bene e il male fra gli uomini, la cinematografia presa in esame tende a insinuare l’ingannevole credenza di un dio del male che si contrappone a un dio del bene. In questi filoni cinematografici è evidente il pensiero manicheo che fa del diavolo la divinità del male che lotta contro quella del bene, finendo così per attribuirgli una forza e una dimensione illimitate, che non corrispondono alla realtà della sua condizione di creatura limitata.

Non ci sono mai state, nella creazione del mondo, due divinità antagoniste, in lotta fra di loro: una buona, che ha creato tutto ciò che c’è di bene e una cattiva, che gli si oppone, autrice di tutto ciò che vi è di male. Questa è l’eresia della gnosi dualistica, conosciuta, appunto, sotto il nome di manicheismo. Mani e Priscilliano affermavano che il diavolo non ha alcun autore di sé, ma è esistente da sempre ed è il principio e la sostanza del male che è nel mondo. In realtà, il diavolo che all’inizio era un angelo creato buono da Dio, e al contempo era il capo degli angeli buoni, rifiutando la sua creaturalità e quindi la sua dipendenza da Dio che lo aveva creato, geloso di Dio, voleva essere egli stesso Dio e mettersi al posto di Dio. Questo angelo, però, ribellandosi a Dio, è diventato irreversibilmente malvagio.

L’errore circa la divinità del diavolo, ripreso nel XII secolo dai catari in Occidente e dai bogomili nell’Europa orientale, venne così corretto dal Concilio Ecumenico Lateranense IV (1215), dove, nel decreto «Firmiter» dell’11 novembre, si legge: «Noi crediamo fermamente e dichiariamo con cuore sincero…, che Dio è l’unica origine di tutte le cose, il creatore delle realtà visibili e invisibili, spirituali e corporee… Il diavolo però e gli altri spiriti cattivi sono stati creati buoni per loro natura, ma essi sono diventati cattivi ad opera di se stessi» (Denzinger Schoenmetzer, 800).

La concezione manichea della divinità, fortemente presente al tempo odierno in vari gruppi e associazioni caratterizzati da iniziazioni e percorsi esoterici e occultistici, che influiscono fortemente sulla società odierna, influiscono anche sui soggetti e le sceneggiature di questi film che spesso manifestano indubbiamente una chiara ignoranza di un autentico studio dei contenuti della Rivelazione divina, della Sacra Scrittura, della teologia, dell’angelologia, della demonologia, della liturgia della Chiesa e del rituale dell’esorcismo, che costituiscono le conoscenze decisamente basilari e ineludibili per poter trattare autenticamente il tema.

Ulteriore aspetto fuorviante in questo genere di film e di fiction è la tendenza a rappresentare in maniera esagerata, mediante la tecnica cinematografica del trucco, la reazione fisica del demonio attraverso le persone da lui possedute. Nella realtà le cose non vanno affatto così. Come attesta la nostra esperienza, non si verifica sempre la furia distruttiva del demonio negli esorcismi, o comunque non con la virulenza rappresentata nei film.

Bisogna poi tenere presente dell’obbedienza che il demonio è obbligato a prestare all’esorcista anche quando la liberazione non è conseguita immediatamente. Quante volte durante gli esorcismi, davanti a manifestazioni di una forza tale che i coloro che aiutavano l’esorcista non riuscivano a contenere, l’esorcista ha ordinato al demonio di desistere ed egli ha dovuto ubbidire.

Come ho già accennato brevemente in precedenza, la comunione tra la Chiesa trionfante e la Chiesa militante negli esorcismi si evidenzia particolarmente nella materna e amorevole presenza ed intercessione della Madonna. Anche questa componente manca generalmente nei film sul tema in esame.  Noi esorcisti, come anche i nostri pazienti, nella battaglia contro il maligno sperimentiamo continuamente la presenza e il sostegno materno dell’Immacolata Madre di Dio.

Sono proprio le reazioni dei demoni a evidenziare maggiormente l’opera di Dio e la mediazione della Madre, cioè come Dio ci dona ogni cosa per mezzo di questa Madre, confermando così, in maniera meravigliosa, le verità che la Sacra Scrittura ci rivela sul ruolo di cooperatrice insostituibile che la Madonna offre all’evento centrale di Cristo Redentore, perché è sempre lei ad ottenere dal Figlio ogni cosa, compresa la liberazione dal demonio.

La Madonna in quanto associata in maniera unica a Gesù Redentore, si può quindi definire la più perfetta esorcista del demonio. Per la sua stessa santità, la Madonna è un esorcismo vivente. Per questo i demoni temono un’autentica devozione alla Madonna, perché per mezzo di essa le permettiamo di agire in nostro favore portando in noi in abbondanza la grazia redentrice di Cristo.

La Madonna, infatti, per le prerogative spirituali che possiede -essendo la Madre di Dio- ha una capacità d’intervento assai maggiore, sia di una madre terrena, sia di qualsiasi altro santo, la sua amorevolissima azione, in nostro favore, è però condizionata al nostro libero arbitrio. Più alimentiamo un’autentica devozione a lei, meglio ci doniamo, ci consacriamo a lei, più ella troverà in noi la libertà di agire in nostro favore, di renderci partecipi dei suoi sentimenti e delle sue virtù, e per mezzo nostro, potrà sempre più efficacemente abbattere i piani di Satana nel mondo.

Nei film sul tema dell’esorcismo non è stata mai rappresentata la commovente esperienza mariana che fanno molti esorcisti.

La santità e lo splendore di Maria la pongono infatti così in alto tra tutte le creature, umane e angeliche, che spesso -durante gli esorcismi- i demoni sono costretti a elogiarla per la grandezza, la potenza e il fulgore divino che splende in Lei. I demoni, trovandosi accecati da così tanto splendore, che per essi è dolorosissimo, sono obbligati a testimoniare la dignità straordinaria della Madre di Dio tra tutte le creature umane e angeliche, ad affermare tutta la verità su di Lei e ad ammettere la loro completa impotenza di fronte ai voleri di Colei che, Dio, onnipotente per natura, avendola proclamata Regina dell’universo, ha reso onnipotente per grazia. C’è allora un curioso alternarsi di espressioni sprezzanti e volgari e di catechesi e lodi dolcissime, che loro malgrado, i demoni, con grandissimo disgusto sono costretti a pronunciare sulla Vergine Maria, espressioni che per noi, però, sono straordinariamente toccanti, sino a provocare lacrime di commozione, come talvolta è accaduto anche a sacerdoti non esorcisti che assistevano l’esorcista.

Questa esperienza straordinaria e consolantissima, mai l’abbiamo vista rappresentata in un film sull’esorcismo.

Proseguendo nella nostra analisi sulla maniera come il mondo cinematografico rappresenta l’esorcismo, non possiamo trascurare l’aspetto del tempo: in un film non si possono rappresentare integralmente i contenuti di un libro, in quanto la rappresentazione cinematografica deve necessariamente esaurirsi in una storia non più lunga, mediamente, di 120 minuti, per cui si procede ovviamente alla riduzione del testo pubblicato a cui si ispira il film.

La trama pertanto, già povera di contesti biblici, teologici ed ecclesiali, tende a prediligere e sviluppare il ruolo dei personaggi, trascurando, semmai fosse stato programmato, l’obiettivo di trasmettere un messaggio positivo sull’esorcismo.

Non possiamo non evidenziare un ulteriore aspetto fuorviante di questi film, che consiste nel  presentare il sacerdote esorcista come un medico condotto. Arriva spesso nella casa del posseduto o della posseduta e senza stabilire una relazione umana, e tanto meno spirituale, si pone a combattere contro il demonio, leggendo il Rituale. La Chiesa Cattolica non fa questo. Il sacerdote che riceve la licenza di esorcista dal suo vescovo è un ministro di Cristo, e pertanto sa bene che il rito dell’esorcismo è un’azione liturgica che si compie solo dopo un attento discernimento. L’esorcista deve pregare e deve invocare lo Spirito Santo per ottenere la grazia della prudenza, al fine di valutare, con la dovuta attenzione, se colui che si ritiene tormentato dal demonio lo sia realmente. Un’accurata analisi non può essere fatta in pochi minuti, ma comporta la necessità di incontrare, ascoltare e conoscere la persona che ritiene di avere bisogno del suo intervento; l’esorcista inoltre, per quanto possibile, soprattutto se fosse portato a lui già in apparente stato di possessione diabolica, deve incontrare, dialogare, ascoltare e conoscere anche i familiari ed eventuali amici che sappiano la problematica della persona in esame. Al fine di un valido discernimento, l’esorcista ha bisogno di tempo anche per porre eventuali domande mirate, con il fine di chiarire ulteriormente se i fenomeni e/o i sintomi accusati siano tali da necessitare dello specifico rito dell’esorcismo della Chiesa.  Quando il sacerdote esorcista accerta tale necessità, deve preparare la persona, soprattutto informandola di tutto ciò che dovrà fare. Uno degli aspetti che l’esorcista deve in tutti i casi maggiormente curare affinché il suo operato sia fruttuoso, se non subito, almeno appena sarà possibile, è proprio l’istruzione della persona che si affida al suo ministero, aiutandola ad acquisire le disposizioni interiori necessarie a conseguire la liberazione. Un aspetto, questo, davvero fondamentale nel contesto della nostra società secolarizzata e neo pagana, nella quale assistiamo a un annacquamento o addirittura alla perdita della fede, al relativismo imperante e alla generale confusione di tutti e su tutto.

Un altro aspetto che non si evince o comunque presentato marginalmente nei film sul tema, è la comunione che il sacerdote esorcista deve avere necessariamente con la Chiesa, con l’unica Chiesa peregrinante e celeste i cui massimi rappresentanti sulla terra sono, per lui, il Papa e il proprio Vescovo ordinario. L’esorcista generalmente è rappresentato, invece, nel ruolo di un operatore autonomo e pertanto quasi sempre sganciato dalla Chiesa.

Noi esorcisti conosciamo bene il valore della nostra unione e del nostro legame spirituale con tutta la Chiesa, in quanto è tutta la Chiesa che combatte Satana nel nome di Cristo. Nella finzione cinematografica invece la figura del sacerdote esorcista è subordinata al compimento della ritualità. Spesso la sua storia è marginale rispetto agli interpreti principali. Sottolineando l’individualismo e la solitudine del sacerdote che si occupa di determinati casi, si propone così l’idea che l’esorcista possa esercitare la sua opera come un libero professionista.

Il legame tra l’esorcista e il suo Vescovo, è in questi film completamente o quasi completamente ignorato. È, invece, anch’esso fondamentale, in quanto il sacerdote riceve dal proprio Vescovo licenza di esorcizzare; pertanto, al fine di un fruttuoso esercizio del ministero, è decisamente indispensabile la comunione del sacerdote esorcista con il proprio Vescovo, il quale è investito della pienezza del sacerdozio. Ogni sacerdote infatti agisce proprio in virtù di questa comunione con la pienezza sacerdotale del Vescovo, successore degli Apostoli, sui quali Cristo ha fondato la sua Chiesa e le ha conferito tutti i poteri divini.

Non si riscontra in questi film la prassi reale dell’esorcista di informare e aggiornare il Vescovo con una relazione periodica sullo svolgimento di questo ministero così delicato e neppure la presenza di un vescovo che vigili paternamente sull’esorcista, lo sostenga, lo incoraggi e verifichi le sue condizioni fisiche, psicologiche e spirituali.

In riferimento a questa comunione tra il vescovo e il sacerdote esorcista, al paragrafo n.° 14 della Presentazione della Conferenza Episcopale Italiana al «Rito degli esorcismi», i sacerdoti che hanno ricevuto licenza di esercitare questo ministero, vengono esortati a incontrarsi periodicamente e talvolta anche insieme con il vescovo: «È conveniente che gli esorcisti della stessa diocesi si incontrino qualche volta tra loro e con il vescovo, per condividere le loro esperienze e riflettere insieme. Sembra opportuno che incontri analoghi si svolgano a volte anche a livello interdiocesano e nazionale». E proprio questo l’Associazione Internazionale Esorcisti, già da anni sta promuovendo nella Chiesa.

Conclusione

Come sintesi della prima parte di questa verifica, possiamo affermare che il mercato cinematografico, che potrebbe offrire un servizio informativo, educativo e formativo al pubblico, purtroppo non corrisponde alle attese.  Dai libri sul tema innanzitutto, come anche dai film, si rileva che l’interesse generale e del mondo cinematografico in particolare non è quello di dare un’informazione corretta sui fondamenti biblici ed evangelici dell’esorcismo né di presentare autenticamente l’esorcismo.

Purtroppo l’industria cinematografica trascura di evidenziare proprio le componenti più importanti e indispensabili dell’esorcismo nel mondo cattolico o addirittura le ignora completamente.

Dobbiamo rilevare che i contenuti dei film che propongono il tema degli esorcismi abusano del termine stesso in quanto ne propongono un’accezione ambigua, che mira ad irretire il pubblico.  Lo scopo principale dei produttori infatti è innanzitutto quello di vendere un prodotto mediante un argomento che da sempre suscita curiosità e suggestione a livello di massa, talvolta, però, sorge il dubbio che sorvoli volutamente sull’operato positivo della Chiesa Cattolica.

Possiamo senz’altro asserire che lo spettatore è così indotto a un’idea parziale, falsa e terrificante, assai distante dagli esorcismi operati da Cristo e da quelli che opera la Chiesa su mandato di Cristo.

Con la nostra fede, a differenza dei film, noi affermiamo la certezza che il bene prevale sul male, la verità sulla menzogna, l’amore sull’odio, l’umiltà sull’orgoglio …

… Ed è proprio questa la verità concretamente visibile nelle esperienze esorcistiche.

Queste ed altre considerazioni lasciano spazio al pensiero che nei film e nelle fiction sugli esorcismi ci sia un retroscena comune che censura quegli aspetti che confermano la sostanza delle verità della nostra fede cattolica, cercando di far passare per cattolico un messaggio di tipo gnostico tendente a costituire tra gli spettatori una concezione manichea della vita. Non è un caso che questi due elementi non cristiani siano sempre contenuti e palesemente mostrati a fondamento delle storie di esorcismi rappresentate nei film. Purtroppo i fedeli cattolici, abituati a disinteressarsi della propria formazione alla fede, non sono né preparati né in grado di discernere la finzione o meglio la menzogna dalla realtà, e così quello che inizialmente poteva essere un buon servizio alla Chiesa e alla fede, diventa il solito e sottile attacco di Satana alla Chiesa Cattolica.

ESAME DI ALCUNI FILM E TELEFILM SUL TEMA DELL’ESORCISMO

L’ESORCISTA

Nel 1973 un film uscito nelle sale cinematografiche dal titolo: “L’esorcista”, provocò un’enorme ondata d’interesse, inaugurando un vero e proprio ciclo di film che in realtà hanno poco a che fare con l’esorcismo della Chiesa cattolica.

Si tratta di un film che si colloca molto all’interno del genere horror e poco all’interno della vera identità dell’esorcismo.

Il film è tratto dal libro di William Peter Blatty, ispirato a veri episodi di esorcismo avvenuti nel Maryland. Secondo lo scrittore, il film, avrebbe dovuto trasmettere allo spettatore il punto di vista cattolico sulla presenza del diavolo nel mondo e la lotta che la Chiesa Cattolica attraverso l’esorcismo conduce contro di esso.

Tuttavia, il regista – William Friedkin – troppo centrato all’inquietudine che le scene dovevano suscitare nello spettatore, ha tradito tale fine.

La trama

Il film inizia mostrando l’interno di un sito archeologico dell’antica città di Ninive nell’Irak del nord nel quale tra gli oggetti rinvenuti viene dissotterrata una statuetta che raffigura il volto del demonio Pazuzu. Uno degli archeologi presenti è un sacerdote, gesuita, anziano e malato di cuore, Padre Lankester Merri che rimane molto turbato dal ritrovamento e sembra che al momento del ritrovamento il sacerdote abbia un contatto misterioso con lo spirito maligno legato agli oggetti ritrovati nel sito archeologico.

La scena si sposta in una cittadina della provincia americana Georgetown dove l’attrice Chris MacNeil, frattanto, soggiorna insieme alla figlia dodicenne Regan per delle riprese di un film. Nella casa dove abitano temporaneamente, la ragazza trova una tavola ouija, cioè quella tavola che si usa per le sedute spiritiche. La ragazza comincia a fare una seduta spiritica per gioco. Si manifesta uno spirito che afferma di essere quello di un certo Capitan Gaio (in originale Capitan Howdy). In realtà era il demonio Pazuzu, che fingeva di essere l’anima di Capitan Gaio.

Dopo un po’ la giovane, comincia ad accusare disturbi che a prima vista sembrano rimandare ad uno sdoppiamento di personalità. E’ sottoposta a diverse visite mediche che non chiariscono la patologia. I medici ammettono la loro impotenza di fronte ai problemi della ragazza e, di fronte al tentativo fallito di una visita psichiatrica, consigliano alla madre di rivolgersi a un esorcista. La donna, atea, è diffidente, ma alcuni anormali e terrificanti comportamenti della figlia la inducono a rivolgersi a padre Damien Karras, un giovane gesuita appartenente alla chiesa greco-cattolica, che è anche un medico specializzato in psichiatria.

Il sacerdote incontra la ragazza più volte come psichiatra, inizialmente convinto che i suoi disturbi siano di origine mentale. Pochi giorni più tardi però padre Karras viene sconvolto dalla perdita della madre e comincia per lui un ossessivo senso di colpa per non esserle stato abbastanza vicino, preso dai troppi impegni del proprio ministero sacerdotale.

L’attenzione si sposta sull’indagine, svolta da un ispettore, sulla morte misteriosa del regista del film a cui l’attrice Chris MacNeil aveva affidata la figlia. Chris, parlando con l’ispettore, capisce che dietro alla morte del regista c’è la mano di sua figlia.

Intanto nella cittadina si verificano strani episodi e in una chiesa, viene profanata una statua della Madonna.

Da questo punto in avanti il film si riveste di colori inquietanti, anche grazie ai molti trucchi cinematografici.

Padre Karras che stava seguendo, come psichiatra, la ragazza, la sente parlare in latino e francese, lingue che essa non conosceva. Non solo, ma parla anche al contrario. Non pensa più a una malattia psichiatrica e si decide a domandare ai propri superiori l’autorizzazione per un esorcismo: il vescovo lo concede e decide di chiamare un anziano esorcista, padre Lankester Merrin, che è proprio il gesuita archeologo comparso all’inizio del film.  Padre Karras gli farà da assistente.

Padre Merrin, il sacerdote esorcista, con padre Karras si presenta di notte a casa della ragazza e intende cominciare immediatamente. Durante l’esorcismo Padre Merrin, si troverà a combattere faccia a faccia con lo stesso demonio scoperto nel sito archeologico in Iraq.

Nel film la dimostrazione del potere diabolico è rafforzata da una serie di oscenità verbali e non solo, di cui si poteva certamente fare a meno.

L’attenzione del regista, però, non è attratta dal valore del rito dell’esorcismo, che in realtà, non appare quasi mai così com’è proposto dalla Chiesa nella lotta contro il demonio, quanto piuttosto dal corpo della giovane trasformati dalla possessione.

Si nota che, in qualche modo, il film tenta d’interrogarsi sul problema del male alla luce della fede, ma non giunge mai ad una proposta/risposta chiara, preso com’è da una ricerca accurata di effetti che possano suggestionare lo spettatore e tenerlo incollato alla poltrona.

Si dà un rilievo esagerato sia al potere del diavolo, presentandolo straripante e terrificante, sia al conflitto interiore e devastante di Padre Karras, ma quelle inquietudini umane non rimandano alla ricerca di Dio, il che è contraddittorio e sconcertante per un sacerdote.

La ragazza posseduta viene presentata come una ragazzina fragile, senza affetto dai genitori, ma non può essere questo l’argomento plausibile perché diventasse vittima del demonio.

Viene inoltre mostrata, la fragilità dei ministri della Chiesa che, se vogliamo, nella realtà, potrebbe talvolta anche esserci tutta, ma che non influisce sull’esorcismo. Nel film, invece, si mostra come è proprio la debolezza e la fragilità di Padre Damian Karras che renderà più forte l’influsso del maligno. Il giovane sacerdote, sconvolto dalla perdita della madre e dal senso di colpa per non esserle stato abbastanza vicino, perché ha dedicato più tempo agl’impegni del proprio ministero, vive, infatti, una grande solitudine interiore.

Il sacerdote visita quotidianamente la ragazza e sembra però non riuscire ad aiutarla con le preghiere. Si rende conto che la giovane peggiora sempre più e che il diavolo che la possiede diventa sempre più forte.

Pur affiancatosi all’esorcista Padre Merrin nell’esorcizzare la ragazza, il diavolo riuscirà ugualmente a sconvolgerlo emotivamente facendo parlare la ragazza con la voce della madre, tanto che Padre Merrin, dovrà farlo uscire dalla stanza.

Quando Padre Karras ritorna nella camera dove si svolgeva l’esorcismo, trova però Padre Merrin stroncato da un infarto, allora, infuriato, si avventa contro la ragazza e ordina al demonio di uscire, ma lo fa ordinandogli di prendere il suo corpo. Così il demonio s’impossessa di lui, e attraverso di lui cerca di strangolare la giovane. Il sacerdote resiste e prima di poter fare del male alla giovane riesce a gettarsi dalla finestra, uccidendosi.

Il film si conclude con la giovane, almeno apparentemente liberata che con la madre si trasferiscono a Los Angeles per dimenticare il terribile incubo che hanno vissuto.

Ovviamente la liberazione della ragazza, presentata dal film in questa modalità, non corrisponde a nessun episodio di liberazione di persone possedute, in duemila anni di storia di esorcismi.

Un fatto, estremante grave, è stato l’inserimento nel film di messaggi subliminali, scoperti successivamente.

Pochi sanno che per aumentare l’inquietudine e lo spavento nello spettatore, il regista William Friedkin, inserì una serie di immagini subliminali contenenti, soprattutto, volti spaventosi.

Nell’ultima versione del film rimasterizzate ed integrate del 2000, le immagini e i messaggi che contengono sono meglio visibili.

Durante la visita medica, la ragazza scivola sul letto con gli occhi completamente bianchi. In quell’istante appare sullo schermo, come immagine subliminale, il volto dello spirito Pazuzu che si fingeva Capitan Gaio.

La madre della ragazza, cammina spaventata per la cucina. Ad un certo punto sulla cappa del camino appare illuminato, per un istante, il volto del demonio che possiede il corpo della figlia.

Mentre la mamma sta per aprire la porta della camera della figlia, nel buio si vede per un attimo il ghigno stampato sul volto della statua del demonio Pazuzu.

Quando la ragazza viene ipnotizzata dallo psichiatra, per una frazione di secondo, nel suo volto, appare la maschera adirata del demonio.

Durante l’esorcismo, la luce va e viene e nel buio, per qualche fotogramma, il demonio si mostra sul volto della ragazza con la fisionomia di Capitan Gaio che gira la testa della ragazza di 360º.

Constatata la morte dell’esorcista Padre Merrin, Padre Karras infuriato ordina al demonio uscire dal corpo della ragazza e di entrare nel suo di entrare. Diventa a sua volta posseduto e si precipita verso la finestra per gettarsi sotto. Proprio in corrispondenza della finestra, appare in immagine subliminale, il volto della madre.

Si noti che in varie parti del mondo, diversi sono stati i casi in cui persone che hanno visto il film, hanno avuto dei malesseri, accusando come causa di tali malesseri delle immagini che si erano fissate nella loro mente.

In Inghilterra ad esempio durante la proiezione nel 1974 vi furono casi d’isteria, convulsioni, svenimenti, terrore e vomito, soprattutto tra le giovani donne[1].

IL RITO

Se il regista del film: Il Rito, uscito nelle sale cinematografiche nel 2011, si fosse attenuto fedelmente all’omonimo libro, il film sarebbe stato decisamente migliore, forse il migliore sul tema della possessione diabolica nella storia della cinematografia. In un mio colloquio, successivo alla proiezione, con il giornalista cattolico statunitense Matt Baglio, autore del libro al quale il regista avrebbe dovuto ispirarsi, lamentai la grande discrepanza tra i contenuti che l’autore aveva sviluppato così bene nel libro e il film. Il giornalista mi rispose: «Hanno fatto il film quando io avevo scritto solo il 30% del mio libro». Il che vuol dire che per il 70% del film, il regista si è a ispirato letture e conoscenze personali sull’argomento delle possessioni diaboliche. Nel film ci sono sicuramente aspetti positivi, ma ci sono anche alcune ingenuità ed errori che a noi esorcisti balzano subito agli occhi.

La trama del film

La storia racconta l’esperienza di un giovane nordamericano cattolico, di nome Mychel, che da bambino, in seguito alla morte della madre, perde la fede, ma che nonostante la dolora esperienza, alle soglie della giovinezza, decide di entrare in seminario perché,  dice: “ Nella nostra famiglia o fai il beccamorto o fai il prete”. Suo padre infatti era impresario di pompe funebri e si occupava di sistemare esteticamente le salme prima della sepoltura. Anche Mychel aveva imparato a fare il mestiere del padre, ma, insoddisfatto, tenta l’altra strada: il sacerdozio. Benché privo apparentemente di fede, entra lo stesso in seminario, considerando che prima dell’Ordinazione sacerdotale ci sono vari anni di formazione, per cui avrebbe avuto il tempo di tornare indietro se insoddisfatto anche di quella esperienza. Dopo quattro anni di seminario, ormai già diacono, avvicinandosi la data dell’ordinazione sacerdotale, scrive una lettera al suo formatore e gli comunica che per la sua mancanza di fede ha deciso di presentare la richiesta di non essere ordinato sacerdote; ma il superiore gli risponde che sta commettendo un errore. Per quale motivo?  In un incidente era stato coinvolto anche il superiore. Egli, mentre era leggermente ferito a terra, aveva visto Mychel, che si trovava a passare proprio in quel momento,  pregare con viva fede e compassione per una giovane che coinvolta nello stesso incidente, stava per morire. Ella vedendo il giovane diacono accostarsi a lei e ritenendo fosse un sacerdote, gli aveva detto: «Mi benedica padre, mi benedica, non voglio morire così».

Il superiore, aveva osservato con quale raccoglimento e con quale compassione aveva pregato per quella ragazza e l’aveva benedetta, un istante prima che morisse, per questo, convinto di una vera vocazione e di un’apparente crisi di fede del giovane diacono, lo invita a riflettere ulteriormente. Lo informa che il Vaticano vuole che ogni diocesi abbia un esorcista e che sono stati avviati corsi di formazione per aspiranti esorcisti. L’attività del padre, per le salme che avevano in casa da ricomporre esteticamente, lo aveva certamente abituato fin da bambino a esperienze poco gradevoli, per cui il superiore,  convinto che il ministero dell’esorcismo non lo avrebbe sconvolto più di tanto, gli propone di andare a Roma per frequentare un corso sull’esorcismo nel periodo di riflessione che aveva chiesto e di rinviare  la questione della vocazione al ritorno.

Il diacono arriva a Roma sempre tormentato da dubbi di fede, che lo scuotono fortemente. Un insegnante lo incarica di assistere un anziano sacerdote, Padre Lucas, esorcista, oltre le ore di studio al corso di formazione sull’esorcismo. Il seminarista non credeva nell’esistenza del demonio, per cui, assistendo agli esorcismi, inizialmente attribuisce alla malattia psichica le reazioni delle persone possedute. L’esorcista gli dirà: “La scelta di non credere all’esistenza del diavolo, non ti proteggerà da lui”.

Tuttavia sarà proprio l’esperienza di assistere agli esorcismi a porlo di fronte a un crescendo di prove sempre più stringenti sull’esistenza del demonio, che lo coinvolgeranno sino a farlo uscire dai dubbi che lo angosciano, a indurlo a capire  che l’esorcismo fa emergere in tutta la sua portata la realtà inconfutabile dell’esistenza del demonio e dell’esistenza di Dio, e a recuperare la fede in Lui, trasformandosi da scettico a credente e difensore della fede. Nel momento più drammatico, quando sarà costretto a fare, suo malgrado, l’esorcismo al demonio per difesa personale e per liberare padre Lucas, mentre il demonio continua a ripetergli: «Credi in me adesso Mychel?». Mychel risponde: «Sì, credo in te, credo nel diavolo» (e le pupille gli diventano completamente bianche). In quello stesso momento però gli torna in mente come in un flash il ricordo della giovane mamma, quando un giorno, dopo averlo accarezzato gli aveva donato una immaginetta sulla quale era raffigurato un angelo che proteggeva un bambino e sul retro di quell’immaginetta aveva scritto: «Tu non sei solo». Un istante dopo Mychel esclamerà con decisione: «Sì, credo in te e dunque credo in Dio, io lo accetto, in questo momento io accetto Dio, io credo in Dio Padre Onnipotente creatore del cielo e della terra, io credo!». E subito dopo prosegue con un esorcismo privato dicendo: «Io ti esorcizzo, immondo fra tutti gli spiriti, lurido abisso di vizi, creatore di strazio; nel Nome di Nostro Signore Gesù Cristo, lascia quest’uomo, nel nome della Vergine Maria, lascialo, io te l’ordino, io che credo in Dio». Da questo momento Mychel ritrova la fede e solo adesso potrà sconfiggere il diavolo. Dopo averlo costretto a dire il suo nome, che era Baal, Mychel gli ordinerà di lasciare quel corpo e di lasciare quel luogo. Padre Lucas è finalmente libero, non è più dominato dal demonio, il suo volto deformato ora si rischiara e torna sereno.

Prima di ripartire da Roma, Padre Mychel va a salutare padre Lucas, che gli dice: «La fede ti si addice molto. Non abbandonarla. Combatti la battaglia giusta con tutte le tue forze».

Il film si conclude mentre Mychel, ormai tornato negli Stati Uniti, entra in un confessionale per amministrare il sacramento della Riconciliazione ai fedeli. Ha ritrovato la fede, ed è ovviamente sacerdote (non viene rappresentata nel film l’ordinazione sacerdotale, ma è ovvia, altrimenti Mychel non avrebbe potuto confessare i fedeli).

Esaminiamo ora gli aspetti positivi del film.

A differenza della serie horror, che prende vita a partire dal primo film: l’Esorcista, pubblicato nel 1973, dal film in esame si evidenzia  che il rito di esorcismo non è la ribalta su cui, mediante antichi riti pagani, la Chiesa tenta di curare patologie psichiatriche in cui si ripresenta la lotta manichea tra bene e male, ma è la conferma della verità della fede cattolica, che vede in determinate espressioni di sofferenza umana la presenza e l’azione di quell’essere spirituale malefico chiamato «demonio»,  che la Chiesa, in nome e potere di Gesù Cristo, può allontanare da una persona. Sotto quest’aspetto, il film presenta l’autentico insegnamento della Dottrina cattolica sul problema del male. Molto interessante anche il confronto con quel pensiero contemporaneo che cade proprio nell’inganno del demonio di far credere che non esiste, interpretando i fenomeni di possessione diabolica come una patologia psichiatrica che non si riesce ancora a spiegare.

Il film è rispettoso della Chiesa e la presenta nel suo impegno a recuperare la battaglia contro il demonio, anche mediante il ministero dell’esorcismo a lungo trascurato.

Alcuni aspetti negativi o ingenui del film sono invece i seguenti:

  • L’insegnante del corso sugli esorcismi manda Mychel ad assistere agli esorcismi, pur dichiarando padre Lucas non ortodosso.
  • L’esorcista Padre Lucas è presentato dal regista come un sacerdote che non incontra mai il vescovo e i suoi confratelli sacerdoti, ma vive completamente isolato, anche fisicamente, in una casa alla periferia di Roma. Inoltre, non avendo tempo, trascura completamente la casa, che ovviamente è sempre disordinata.
  • Padre Lucas dice al diacono di confessarsi prima di assistere all’esorcismo, ma non si vede che poi lo confessa.
  • Una giovane donna incinta e posseduta dal demonio, viene accompagnata dalla zia per ricevere l’esorcismo. Al momento dell’esorcismo, però, la zia rimane al piano di sotto e non assiste all’esorcismo della nipote. Per noi esorcisti, invece, è decisamente necessario che -se presente- il familiare, assista all’esorcismo.
  • Quando ancora non ha iniziato l’esorcismo, Padre Lucas urlando in maniera esagerata alla giovane donna incinta e posseduta dal demonio, le comandando di indovinare quel che era nascosto in una busta chiusa, per dare al giovane diacono apprendista la prova della reale presenza del demonio, il quale conosce cose occulte.
  • Invitato in una casa, per esorcizzare un bambino, padre Lucas individua un maleficio in un cuscino. La grande soddisfazione per aver trovato il maleficio è rappresentata con atteggiamenti isterici.
  • Il demonio viene presentato come vincitore sulla giovane donna posseduta e incinta, che riceveva esorcismi da padre Lucas. Ella, infatti, tenta il suicidio e viene ricoverata. E’ legata al letto perché non tenti di nuovo il suicidio e durante il parto muore con il bambino. Nessuno si accorge del parto mentre avviene e nessuno sente le sue urla di aiuto. Il bambino viene trovato misteriosamente e inspiegabilmente squartato, in quanto la madre, essendo legata al letto, non avrebbe potuto compiere un tale misfatto. Il demonio, durante gli esorcismi, aveva promesso di ammazzare la donna e il suo bambino. Da quel momento padre Lucas entra in uno stato di tremenda depressione, che lo indurrà a una crisi di fede con l’estrema conseguenza della possessione diabolica, resa possibile al demonio, come dirà lo stesso padre Lucas, perché aveva perso la stato di grazia.
  • Padre Lucas, mentre è in stato di possessione, picchia una bambina zingara.
  • Il giovane seminarista, si convince inconfutabilmente dell’esistenza del demonio, come essere personale, solo di fronte alla evidente possessione dell’anziano esorcista Padre Lucas.

 

L’ESORCISMO DI EMILY ROSE’

Tra tutti i film sugli esorcismi a mio parere l’unico fatto un po’ meglio è: «The exorcism of Emily Rose, in italiano: «L’esorcismo di Emily Rosé».

Il film si ispira a un fatto realmente accaduto in Germania negli anni 70.  Anneliese Michel, nata a Leibfing il 21 settembre del 1952, prima di quattro figli di un falegname bavarese, dopo inutili cure psichiatriche, a seguito di evidenti manifestazioni diaboliche, con il permesso dei genitori si sottopone dal 24 settembre 1975 al 30 giugno 1976 a una serie di esorcismi, ma muore il primo luglio 1976 all’età di quasi 25 anni. La giovane amava il pianoforte e il tennis. Come i suoi familiari, era cattolica e, anzi, manifestava una religiosità particolarmente accentuata: recitava il Rosario, seguiva incontri di preghiera.

Nel 1968, a sedici anni, ebbe il primo attacco di una apparente epilessia che la costrinse al ricovero a Wurzburg, dove fu curata. Tra alti e bassi, sottoposta alle cure successive di altri sette medici, senza mai nessun beneficio, portò avanti con fatica i suoi studi di liceo che riuscì a finire superando l’esame di maturità nell’estate del 1973. Si iscrisse a Pedagogia e Teologia nella città di Wurzburg.

Si fidanzò con Peter Himsel, un giovane che non la lasciò mai, nemmeno quando si accorse che la sua ragazza ogni tanto, e sempre più spesso “dava di fuori”: di punto in bianco aggrediva i compagni, urlava come una pazza, smetteva di mangiare.

Tra la fine del 1973 e l’inizio del 1974 cominciò a vedere “spaventose figure diaboliche”, sentiva odori puzzolenti. Nel luglio del 1975, un anno prima della morte, i fenomeni strani si accentuarono, iniziò a parlare con voce alterata, non sua.

Il fidanzato, che la seguì da vicino e fu interrogato a lungo dal tribunale come testimone, affermò che Anneliese, pur essendo cattolica molto praticante come tutta la sua famiglia, dalla fine del 1975 non sopportava più la vista di immagini sacre; dalla sua camera buttò via una bottiglia di acqua benedetta, spezzò una corona del Rosario, ruppe un Crocifisso. Poi sopraggiunse l’insonnia, un comportamento aggressivo (del tutto contrario al suo carattere), l’incapacità di assistere alla celebrazione della Santa Messa. Una volta rimase immobile e acquistò un peso tale da non poter essere spostata da nessuno (pesava allora 31 chili); bastò una preghiera di un sacerdote perché ritornasse normale.

Una domenica, mentre passeggiava con il fidanzato in campagna, Anneliese ebbe un attacco dolorosissimo del suo male, poi di colpo, però, il suo viso si illuminò e sembrò parlare con qualcuno. Ritornata in sé Anneliese rivelò a Peter che la Vergine Maria le aveva chiesto se accettava di farsi carico dell’espiazione dei peccati dei giovani tedeschi e dei sacerdoti ed ella aveva accettato tale richiesta.

Nel “Diario” di Anneliese si trovano anche appunti in cui ella annota come Nostro Signore le chiese più volte di unirsi alla sua Passione in offerta riparatrice. In una di quelle richieste si legge che Nostro Signore in data 15 febbraio 1976 le disse: «Prega ed offri molto per i miei sacerdoti. Non invano io ti ho mostrato la grandezza e la dignità di ogni sacerdote, tanto che te ne spaventasti. Ricorda che anche i sacerdoti indegni sono un altro Cristo. Non giudicare nessuno, per non essere giudicata! Lascia a Me questo compito!».

L’accettazione di quella richiesta fu evidente, quando dopo la morte, suo padre, disse che sua figlia non poteva rassegnarsi della caduta di tanti sacerdoti, dell’uccisione di migliaia di bambini prima che nascessero e dei traviamenti di tanta gioventù. Per questo una volta disse di dover fare qualcosa contro tutto questo. Ella un giorno confidò a padre Ernst Alt: «Ho voluto soffrire per altre persone di modo che non finiscano all’inferno. Ma non avrei mai pensato che sarebbe stato così spaventoso, così orribile».

In breve tempo le vessazioni demoniache che soffriva diventarono vere e proprie possessioni, e fu lei stessa a chiedere aiuto a padre Alt. Questi si rese conto che il caso era serio e chiese al vescovo di Wurzburg, Josef   Stangl, il permesso di procedere agli esorcismi. Il Vescovo Stangl (che poi divenne Primate e nel 1977 consacrò vescovo Joseph Ratzinger) dapprima consigliò di continuare con le cure mediche. Poi, consultata un’autorità in materia di esorcismi e possessione, il gesuita Adolf Rodewyk, autorizzò padre Alt agli esorcismi affiancandogli l’ex missionario padre Arnold Renz. I due sacerdoti eseguirono gli esorcismi dal 24 settembre 1975 al 30 giugno 1976, tre volte alla settimana. I demoni che tormentavano la giovane si esprimevano in aramaico, latino e greco. Quando la possessione le lasciava un pò di tregua, Anneliese si metteva in ginocchio e pregava da spezzare il cuore. Ci fu un momento in cui si credette ottenuta la vittoria, tanto che riuscì a conseguire il titolo di studio. Ma fu gioia di breve durata, perché i problemi ricominciarono peggio di prima. Nell’aprile del 1976 disse che sarebbe morta il primo di luglio. Proseguirono gli esorcismi, ma il primo luglio, come lei aveva detto, quasi all’età di 25 anni, morì.

I due sacerdoti, che avevano esorcizzato la ragazza sino al giorno prima della morte furono ritenuti colpevoli della sua morte e processati e condannati a una pena pecuniaria (rispettivamente di 4880 e 3600 marchi), alla libertà vigilata e alla sospensione dei diritti civili per 6 mesi e a un periodo di prova di 3 anni. I genitori ebbero una pena simbolica. Il fatto suscitò grande risonanza in tutta la Germania, il processo fu seguito in televisione da milioni di tedeschi, la stampa scatenò polemiche e attacchi feroci alla Chiesa. Il caso suscitò una marea di scritti pro o contro. Questo incidente usato oltraggiosamente contro la Chiesa, confinò nel silenzio il ministero dell’esorcismo in Germania. Fortemente condizionata da questa vicenda, la Conferenza Episcopale Tedesca dichiarò in seguito che il caso non era una vera possessione e fece forti pressioni alla Santa Sede perché il rituale degli esorcismi fosse modificato.

In questa vicenda è da sottolineare il gravissimo comportamento del tribunale. La sentenza dice testualmente: «Come attenuante a favore degli imputati, che credono irrevocabilmente all’esistenza del diavolo, non si deve escludere che al momento del fatto, come conseguenza del loro credo, in particolare anche nella possessione di Anneliese, essi fossero notevolmente limitati nella loro capacità di intendere e di volere». Già questo pronunciamento è assurdo. Un tribunale che si permette di condannare chi crede all’esistenza del diavolo e nella possessione diabolica, affermando che chi ha queste convinzioni è un semi-demente, pronuncia un giudizio su questioni religiose che esulano completamente dalla sua competenza e va contro ogni norma giuridica; un tribunale deve applicare gli articoli della legge (in questo caso, gli articoli della legge penale) senza evadere da essi. Inutile dire che tale sentenza fu esaltata da tutta la stampa come un trionfo del progresso moderno, un superamento delle superstizioni del medioevo.

In seguito il giudice Harald Grochtmann, che ha studiato la sentenza di condanna, ne ha fatto una stroncatura radicale. Egli ha evidenziato nella sentenza, delle frasi che, oltre a non contenere nulla di giuridico e nessun riferimento al codice penale, pretendono di condannare verità di fede, contenute nel Vangelo e insegnate dalla Chiesa; vi sono affermazioni e lezioni ideologiche del tutto estranee al diritto costituito e su cui il tribunale non ha nessuna competenza. Giustamente un altro giurista, noto avvocato penalista di Francoforte, Schidt-Leichner, è arrivato ad affermare che quella sentenza non condanna quattro imputati, ma la Chiesa Cattolica.

Infine il giudice Grochtmann conclude affermando che la sentenza del tribunale di Aschaffenburg è decisamente ingiusta: non si può considerare colpevole Anneliese per le sue scelte, assecondate dai quattro imputati (i genitori e i due sacerdoti); non si può considerare colpevole per aver accettato gli esorcismi e rifiutato cure mediche forzate, dopo essere stata tormentata per anni da cure mediche del tutto inutili o dannose e dopo aver constatato fenomeni particolari che non hanno spiegazione naturale, ma che sono tipici sintomi di possessioni.

Si aggiunga a tutto questo che il tribunale non si è minimamente posto il problema di eventuali colpe dei medici, su cui invece si sofferma con decisione il voluminoso e accurato studio della Professoressa statunitense Felicitas Goodmann, antropologa dell’Università di Denison (Ohio), studio nel quale addebita la morte della ragazza a un trattamento medico errato. Ella, sempre in quello studio, rifiutò pertanto la tesi del tribunale di “induzione di malattia mentale attraverso l’esorcismo” e pur non essendo cristiana, difese l’operato dei due sacerdoti.

Nel primo anniversario della sentenza, il 21 aprile1979, Gaspare Bullinger pubblicò uno scritto che ebbe larga diffusione, dal titolo: «Condannati innocenti» nel quale esponeva come Anneliese non era per niente colpita da epilessia o demenza, ma era realmente posseduta e che essa, morì sia perché non riusciva più a nutrirsi giungendo a pesare 31 chili sia a seguito delle medicine ordinate dai medici ossia lo Zentropil e il Tegretol.

La tomba di Anneliese, nel cimitero di Leiblfing, presso la sua casa natale, è oggi meta di pellegrinaggio da parte di vari fedeli della Chiesa Cattolica in Germania.

Il riesame seguente dei fatti, fece sì che nel 2005 l’episodio arrivasse nelle sale cinematografiche.

La trama del film

Anche se i fatti erano accaduti in Germania, il regista cambiò contesto e nomi per cui la versione cinematografica fu ambientata negli Stati Uniti e alla ragazza fu dato il nome di Emily Rose.

Inoltre nel film appare un solo sacerdote con il nome di padre Richard Moore il quale fa gli esorcismi, mentre nei fatti, come abbiamo visto erano due.

Pur avendo qualche aspetto tipico dei film horror, non siamo come potrebbe sembrare davanti a un film di horror, ma a un documentario di indagine storica e giudiziaria, finalmente rivelati ai media, dopo decenni di insabbiamento delle vere prove. Il film ha il pregio di spiegare gli errori giudiziari e medici che occultarono la verità su questo caso.

Nelle scene della possessione non ci si sofferma a presentare, come nel film «L’Esorcista», bestemmie, bile, vomito, teste che ruotano, corpi che si levitano, ma solo il cambiamento della voce, le frasi del demonio, parole in altre lingue, gli episodi catatonici, le contorsioni degli arti, le grida forti e perforanti.

Il film è fondamentalmente rispettoso della Chiesa Cattolica. Mostra infatti un sacerdote sincero, anche se molti possono non essere d’accordo con gli atteggiamenti che assume nei confronti della ragazza posseduta, della cura consigliata dai medici e dei farmaci che le sono stati prescritti. Il sacerdote appare quindi come un uomo onesto e spirituale che si trova coinvolto in qualcosa che va oltre la sua esperienza ordinaria e che cerca di fare del suo meglio per quella famiglia che appartiene alla sua parrocchia, convincendo il vescovo della diocesi ad autorizzarlo a procedere con un esorcismo. Viene così mostrato il ruolo importante del sacerdote parroco come confidente di cui si può avere fiducia. Inoltre il film suggerisce rispetto per la fede semplice, quella fede fiduciosa e non “sofisticata” della gente normale.

Ci sono poi i richiami ai secoli precedenti, soprattutto a quelle donne che sono state destinatarie di apparizioni, come Anna Katherina Emmerick, Bernadette o i pastorelli di Fatima: Emily Rose è infatti presentata come una di loro. Vede la Vergine Maria e riceve da lei un messaggio. Alla giovane viene data la possibilità di scegliere tra essere liberata dalla possessione o continuare ad essere posseduta fino alla morte per testimoniare al mondo che c’è un mondo soprannaturale, che il demonio esiste, ma che la presenza di Dio è più forte. Il fulcro del film, è il tribunale in cui padre Richard Moore viene giudicato per omicidio colposo, di cui è accusato per aver concordato con Emily la sospensione delle cure medicinali in favore del solo rito dell’esorcismo.

L’accusa, il cui rappresentante è un cristiano appartenente alla chiesa metodista, afferma che Emily è schizofrenica e si sofferma sugli aspetti scientifici e medici della questione, mentre la difesa rappresentata da una donna dichiaratamente agnostica, sostiene l’idea che l’esorcismo sia la risposta giusta al problema di Emily. Il film mostra che i fatti devono essere presentati, anche se aperti a varie possibilità di interpretazione. Anche se il film non è certo un capolavoro, è però una pellicola ben scritta e ben realizzata che affronta questioni religiose relative alla Chiesa in un mondo secolare. Se da un lato solleva la questione della possessione e dell’esorcismo, dall’altro pone al pubblico domande sulla presenza del bene e del male nel mondo.

 

TELEFILM: THE EXORCIST

Mercoledì 6 settembre 2017 alle 21 ha avuto inizio su Rai 4 la prima serie del telefilm “The Exorcist”. La serie è ambientata a Chicago dove vive Angela Rance (Geena Davis), molto legata alla chiesa ed alla fede, con il marito Henry (Alan Ruck), in convalescenza dopo una caduta che gli ha provocato alcuni danni fisici. La coppia ha due figlie: Katherine (Brianne Howey), adolescente che ha dovuto smettere di ballare a causa di un incidente e vive auto confinata in camera sua, e la giovane Casey (Anna Kasulka) che sostiene di sentire strani rumori in casa. Le due ragazze hanno personalità molto differenti: la primogenita è sfrontata, ribelle e in conflitto con la madre, la seconda è di contro più mansueta e pacifica.

L’intervento di padre Ortega, giovane sacerdote inesperto e con una vocazione tentennante, è supportato dall’emarginato e visibilmente inquietante esorcista padre Marcus. Quest’ultimo è concentrato a vincere una personale lotta contro il male, iniziata nella sua infanzia, quando, insieme ad altri bambini, era stato portato di fronte agli ossessi per quietarne le reazioni, in virtù della sua purezza correlabile alla giovane età.

Interessante come Padre Marcus venga allontanato dal suo ministero dalla stessa Chiesa, perché tacciato di follia. Il giovane sacerdote è invece in balia di antichi sentimenti con la ex fidanzata ora sposata.

In questo scenario di equivoci, dove sembra che tutti indistintamente e senza autorità né ordine possano sfidare questo spirito maligno, viene veicolata la possibilità che il demonio, avendo prima posseduto la madre, ora sia nelle figlie, per un’inspiegabile disputa con Padre Marcus. E’ uno scontro a due, il demonio e l’esorcista. Vengono meno da parte dei protagonisti l’attenzione e la dedizione a un cammino spirituale serio; la figura di Dio stesso viene accantonata e offuscata dal protrarsi di esternazioni fisiche e verbali. Raramente si vede un attimo di preghiera e raccoglimento, non si dà rilievo al cammino spirituale dell’esorcista né delle persone che ricevono l’esorcismo.

La vicenda viene travolta da un turbine di azioni volte a suscitare paura e terrore nello spettatore, le figure dei due Sacerdoti rasentano per un verso lo scetticismo, per l’altro la ridicolizzazione del ministero dell’esorcismo, che pare porti inesorabilmente alla pazzia, il tutto condito dalla velata inquietudine di essere in balia del male senza il benché minimo libero arbitrio.

Nella seconda stagione, i due esorcisti lasciano Chicago in cerca di nuovi casi di cui occuparsi. I due si imbattono in un ex psicologo che si occupa di bambini orfani con problemi comportamentali su un’isola vicino a Seattle. Uno dei bambini è posseduto da un demone e padre Marcus dovrà entrare in collisione con l’inferno per salvarlo.

Sembra che la seconda serie in America non abbia riscontrato il successo sperato. Ed è bene che sia così perché il ministero dell’esorcismo lo presenta in maniera fuorviante, deleterio e ingannevole, non corrispondente in alcun modo alla prassi liturgica stabilita dalla Chiesa.

Una testimonianza sul telefim: The exorcist

Riporto di seguito una testimonianza che mi è pervenuta sul telefilm: The exorcist.

Le scrivo riguardo alla serie televisiva The Exorcist.

Sono stata invitata da una persona amica a vedere questo telefilm che è stato trasmesso alle 21:05 su Rai 4 ed annunciato come “Il film più terrificante della storia”…

E subito ho pensato: ma davvero ho bisogno di essere spaventata la sera dopo una giornata di lavoro? Merito questo?

In realtà vedere questo film di sera a casa, mi ha dato veramente fastidio; non mi andava proprio di concludere la mia giornata di lavoro con immagini di questo tipo e quindi dopo pochi minuti, ho cambiato canale!

Mi spiace che i dirigenti TV speculino sulla curiosità di alcuni senza considerare l’influenza che questo tipo di spettacoli può avere sulle persone.

Possibile che non si riesca a capire che anche questo è “cibo” che influenza …O forse sono io che ingenuamente credo che non lo sappiano…Ma poi vediamo per le strade scritte che inneggiano al diavolo con la massima libertà e ingenuità!

Non si scherza con il diavolo!

Forse che il progetto principale di chi lo ha realizzato e promosso sia soltanto economico? Non lo credo.

Senza poi considerare che queste visioni entrano in case con giovani che, credendo di vedere un “Guerre stellari”, o un “Harry Potter” più pauroso, credono che sia tutto un gioco di fantasia da “triller”, così sarà sempre più difficile riuscire a far capire la differenza tra Verità e fantasia.

Inoltre si dà una immagine completamente distorta di quello che è realmente una sofferenza di molte persone, questa è una vera mancanza di rispetto.

Io penso che l’aiuto che la nostra Chiesa Cattolica offre alle persone sofferenti non si svolga in luoghi oscuri e con suoni che incutono paura, piuttosto con la luce della Parola di Dio, con i profumi dell’incenso e soprattutto con la materna accoglienza e rassicurazione del Ministro Sacerdote.

Non credo che si combatta il demonio con le sue armi: paura, grida, buio e quanto di più pauroso possa essere presentato.

La Santissima Vergine Maria Madre della Chiesa ci sia sempre di aiuto!

Grazie.

[1] Notizie tratte dal sito della BBC – http://www.//news.bbc.co.uk/2/hi/entertainment/1201445.stm

S. MARTINO DI TOURS, VESCOVO ESORCISTA

A.I.E. Supplemento Lettera Circolare nº 60/2014

Nell’antica tradizione contadina l’11 novembre aveva il fascino dei momenti di passaggio: era il giorno dei contratti, delle consegne, dei traslochi, ma anche se la liturgia ha fissato la memoria del santo all’anniversario della sua inumazione[1], in realtà Martino morì l’8 novembre 397. Il trapasso avvenne a Candes[2], dov’egli si era faticosamente trascinato per appianare la discordia che divideva i chierici locali. La consummatio di tutti i miracoli da lui operati fu riportare la pace nella chiesa, vincendo il male seminato dal divisore per antonomasia, quel dia-ballon che Martino incrociò continuamente sulla sua strada. Nell’opera suprema il santo Vescovo compiva così la beatitudine evangelica: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

Gli ultimi giorni sono raccontati con solennità da Sulpicio Severo, biografo del vescovo Martino:

«…poiché i chierici di quella chiesa erano in dissidio tra di loro, egli desiderava riportare la pace; anche se si rendeva conto della fine dei suoi giorni, non rifiutò di partire per una causa di tale portata; pensava che questo poteva essere il buon compimento dei suoi miracoli, se cioè avesse restituito la pace alla Chiesa. Si mette in cammino […] e sul fiume osserva gli smerghi[3] mentre cacciano i pesci e come la rapace ingordigia dei primi li tormenti con frequenti catture. Disse: «Questa è un’immagine dei demoni: insidiano gli incauti, catturano quelli che non se ne rendono conto, divorano quelli che sono catturati e mai riescono a saziarsi di quelli che divorano[4]». Quindi con voce potente ordina che abbandonino quel fiume su cui si riversano e si ritirino in luoghi aridi e deserti: e su quegli uccelli fece appunto uso del comando con cui era solito cacciare i demoni»[5].

Poiché gli smerghi erano diventati una parabola dell’azione di Satana, Martino esercita su di essi il comando che impone ai demoni.

A Candes Martino, che aveva 81 anni, venne definitivamente bloccato nel letto dalla malattia, fino alla morte. I suoi discepoli lo accompagnarono nell’ultima ora, supplicandolo: «Perché, padre, ci abbandoni e a chi ci lasci nella desolazione? Lupi rapaci invaderanno il tuo gregge[6]; chi ci difenderà dai loro morsi dopo che il pastore sarà stato percosso?[7]». Martino si affidò alla volontà di Dio: «Signore, se sono ancora necessario per il tuo popolo, non rifiuto la fatica: sia fatta la tua volontà». Ma proprio nel momento dell’affidamento finale a Dio, Martino vide il diavolo stargli accanto: «Perché sei qui, bestia sanguinaria? Contro di me, o funesto, non troverai nulla». Così le ultime parole del grande esorcista vengono rivolte al nemico che tenta di distrarre l’anima da Dio nel momento della morte. Martino lo chiama «bestia cruenta», richiamando il leone ruggente che divora le anime (1 Pt 5,8). Fu l’ultimo combattimento di una guerra che -ben evidenziata nei testi martiniani[8]– perdurava da decenni, fin dai primi passi della vicenda cristiana del Santo, quando il demonio affrontò il giovane Martino e gli disse: «Dovunque andrai e qualunque cosa tenterai, il diavolo ti si opporrà»[9].

All’età di quindici anni, Martino venne arruolato, sicuramente per le pressioni del padre, che lo aveva chiamato così ricordando il dio della guerra; del resto le leggi imperiali obbligavano i figli a seguire le orme dei padri militari[10]. Martino venne assegnato al corpo di guardia imperiale (le scholæ) e lì rimase fino al 363, sotto Giuliano l’Apostata. Per Sulpicio pure questo periodo si tinge dei toni eroici, tanto che i critici hanno coniato per Martino l’efficace definizione di “martire militare[11]”. Durante una ronda avvenne l’episodio che gli cambiò la vita (e che ancora oggi è quello più ricordato e più usato dall’iconografia). Martino incontrò un mendicante seminudo. Vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello militare. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che egli, già catecumeno venne battezzato la Pasqua seguente e divenne cristiano. Martino rimase ufficiale dell’esercito per una ventina d’anni raggiungendo il grado di ufficiale nelle alæ scolares (un corpo scelto).

Il servizio militare di Martino fu conforme alla prassi. Giunto all’età di circa quarant’anni, decise di lasciare l’esercito. Iniziò la seconda parte della sua vita. E così la tenacia del combattente divenne lo stile del soldato diventato monaco e poi “costretto” a diventare vescovo. Sul fronte opposto, però, Martino non trovò più eserciti, ma un altro nemico, il diavolo, che affrontò in ogni battaglia che -prima di analizzare- possiamo così sintetizzare:

  1. La lotta contro l’idolatria.
  2. La resistenza alla crudeltà del potere.
  3. Il diavolo nel monastero.
  4. La presenza demoniaca negli animali.

  1. La lotta contro l’idolatria

Di Martino è stato fatto questo ritratto: «Uomo straordinario, perfino paradossale: non realizzò mai ciò che desiderava… Voleva essere eremita, fuggire il mondo e praticare l’ascesi, invece fu costantemente circondato dalla gente, durante la sua vita e dopo la morte… Lo si ricorda come un soldato, quale fu effettivamente, ma suo malgrado. Aveva rifiutato di essere prete, non reputandosi degno, e fu vescovo. Aveva fuggito il secolo e cercato l’oscurità, e la sua biografia fu composta quand’era ancora vivo»[12].

Il 4 luglio 371, Martino venne eletto vescovo di Tours, per volontà popolare e nonostante l’opposizione di altri vescovi, che non lo gradivano sia per il suo portamento così dimesso, sia perché era incolto sia per il suo passato di militare. Il popolo però lo aveva strappato dal monastero di Ligugé e lo aveva condotto a Tours per farlo vescovo: e tale Martino divenne, per servire la Chiesa per 26 anni.

Vescovo suo malgrado, rimase monaco nel cuore. Dopo aver inutilmente tentato di continuare la vita monastica in un locale a ridosso della cattedrale, nel 375 si stabilì a circa due miglia dalla città, dove fondò il Maius monasterium (Marmoutier). Qui sperimentò un ascetismo a metà tra l’eremo e il cenobio, come nelle laure orientali: una novità per l’Occidente. Vescovo e monaco allo stesso tempo, Martino divideva la sua giornata tra la cella di Marmoutier e l’impegno missionario nelle vicinanze di Tours, tanto che venne chiamato «apostolo delle campagne».

Il primo atto episcopale fu un “discernimento degli spiriti”: di fronte a una tomba che era erroneamente venerata come quella di un martire, dopo aver pregato chiedendo a Dio di rivelare chi vi fosse sepolto, ecco che un antico brigante, giustiziato per i propri delitti, svelò a Martino la propria identità[13].

Poi Martino si impegnò soprattutto nella lotta contro l’idolatria, ancora imperante nelle campagne galliche, distruggendo i santuari pagani delle campagne di sua mano o invocando l’intervento prodigioso di Dio[14]. Fin dal II secolo, i cristiani ritenevano che le statue e gli altri vestigi della mitologia fossero sedi di presenza demoniaca e gli dèi pagani venivano considerati davvero esistenti, ma caricature del vero Dio, false divinità, angeli decaduti che giungevano così a farsi adorare usurpando per se stessi gli onori dovuti al solo vero Dio. L’apostolo delle genti, Paolo, non mancava di sottolineare che gli idoli sono nulla, tuttavia aggiungeva che dietro di essi si nascondevano potenze demoniache, alle quali l’uomo si sottometteva accettando le norme del loro culto (Rm 1,18-23; 1 Cor 10,19-21; cfr anche Ap 9,20).

Tra i molti episodi prodigiosi si racconta quello avvenuto a Levroux (a 80 km da Tours, poco lontano da Châtillon) dove sorgeva un santuario pagano. Una folla di pagani gli si oppose a tal punto che egli ne fu cacciato via con violenza. Martino pregò intensamente per tre giorni, finché protetto da «due angeli armati di lancia e scudo, a guisa di esercito celeste, poté procedere alla demolizione del santuario. E così ottenne pure la conversione dei pagani»[15]. In altro episodio, Martino rimprovera il presbitero di Amboise per non aver ancora abbattuto un edificio sacro agli idoli. Dopo aver pregato, una violenta tempesta distrusse tale edificio. La stessa cosa avvenne per una colonna sacra agli dèi[16].

La lotta di Martino contro l’idolatria è implacabile e sempre c’è di mezzo il demonio. Sulpicio così scrive la sua testimonianza:

«Il monastero del Santo era lontano due miglia dalla città, ma ogni volta che lui metteva il piede fuori dalla soglia della sua cella per andare in chiesa, potevi vedere per tutta la chiesa gli energumeni che ruggivano e le schiere dannate tremare come se stesse arrivando il giudice; cosicché il gemito dei demoni annunciava l’arrivo del vescovo ai chierici, che non sapevano che stesse sopraggiungendo. Io ho visto uno che, mentre si avvicinava Martino, si levò in aria con le braccia distese e rimase sospeso in alto, senza neppure toccare terra con i piedi[17]. Quando però Martino si accingeva a fare esorcismi contro i demoni, non toccava nessuno con le mani, non sgridava nessuno con parole, come il più delle volte tra i chierici si fa con un turbinio di frasi[18]; invece avvicinava a sé gli indemoniati, ordinava agli altri di uscire, chiuse le porte, pregava nel mezzo della chiesa, ricoperto di un cilicio, cosparso di cenere, prostrato a terra. Allora avresti potuto vedere quegli infelici agitarsi in diversi modi: levati in aria con i piedi in su, pendere come da una nube senza che le vesti cadessero sulla faccia, in modo che la nudità dei corpi non provocasse vergogna; altrove avresti visto i vessati che confessavano le loro colpe senza esserne richiesti. Senza che alcuno li interrogasse, rivelavano anche i loro nomi: l’uno diceva di essere Giove, l’altro di essere Mercurio[19]. Infine avresti visto tutti i ministri del diavolo tormentarsi assieme al loro capo, di modo che ormai dichiariamo compiuto in Martino ciò che è stato scritto: cioè “che i santi giudicheranno gli angeli”»[20].

  1. La lotta contro la crudeltà del potere

Nei dialoghi è interessante il rapporto che Martino intesse con Aviziano, un crudele comes del suo tempo, un funzionario imperiale plenipotenziario[21]. Incontriamo innanzitutto un serrato confronto tra il santo e Aviziano, per convincerlo a un gesto di clemenza nei confronti di un gruppo di prigionieri condannati alla tortura e a morte. Poche pagine dopo, Sulpicio scrive:

«… ricordo che un giorno Martino andò da lui; non appena entrò nel suo ufficio, vide che dietro le spalle di Aviziano stava seduto un demone di grandi dimensioni[22]. Quando Martino -per usare, com’è necessario, un’espressione poco latina- scacciò lontano il demonio con un soffio[23], Aviziano pensò di essere scacciato lui con il soffio e disse: “Perché mi tratti così, sant’uomo?”. Allora Martino disse: “Non te, ma quell’infame che sta alle tue spalle”. Il demonio se ne andò e lasciò lo scranno che gli era divenuto familiare. Risulta da più parti che dopo quel giorno Aviziano sia stato più mite o perché capì di aver sempre agito seguendo la volontà del diavolo che gli stava accanto, o perché lo spirito immondo, fu privato del potere di infierire, dato che lo schiavo si vergognava del padrone e il padrone non pressava più lo schiavo».

Ma la statura di Martino si avverte in modo particolare in un episodio poco noto, eppure di grande modernità. Negli ultimi anni di vita, si trovò nell’occhio del ciclone per la sua opposizione alla pena di morte decretata per eresia contro Priscilliano e i suoi seguaci[24]. Il cronista annota momenti di forte tensione con la corte imperiale e con altri vescovi compiacenti con i quali Martino non volle mai scendere a compromessi. Il suo intervento fu inutile e -come se non bastasse la sconfitta morale- a Martino vennero pure addebitati sospetti di fiancheggiamento dell’eresia[25]. Sono pagine cui il biografo (che era anche avvocato) scrive con accuratezza, riportando tanti particolari e con forza drammatica. Il caso è molto complesso e non è possibile darne relazione esaustiva. Resta un episodio che fa brillare la grandezza di questo Santo dell’antichità, capace di proclamare quanto fosse inaudito e nefasto che un affare ecclesiastico fosse giudicato da un giudice secolare. Fu questo il primo caso di condanna a morte per eresia. Le ultime righe dei dialoghi ritraggono un Martino amareggiato, umile vittima di circostanze che lo fecero navigare come tra Scilla e Cariddi. Gli apparve un angelo a consolarlo: «Giustamente, Martino, ti addolori, ma non avresti potuto uscirne in altra maniera»[26]; anche il Cielo interveniva così a giustificare il suo comportamento. Curiosa la nota biografica per cui, da quel giorno, il Santo sentì affievolirsi la sua forza di esorcista[27].

Dopo questi fatti l’episcopato gallico fu diviso per dodici anni, fino al 398, nonostante i molti tentativi di conciliazione: da una parte si schieravano i vescovi antipriscillianisti, uniti attorno a Felice di Treviri[28], dall’altra alcuni vescovi che condannavano le scelte compiute. Martino, da parte sua, «dopo quel fatto: non partecipò a nessun sinodo e si astenne da tutte le riunioni dei vescovi».

  1. Il diavolo nel monastero

Spesso Martino si trovò a combattere il demonio, che si insinuava nella vita della Chiesa (abbiamo già accennato all’episodio di Candes) e fin nelle celle del monastero. È il caso di Anatolio, giovane monaco che pretendeva di essere considerato un profeta e quasi il messia; annunciava che avrebbe ricevuto dal Cielo una veste sfolgorante e così avvenne, ma la veste scomparve, quando il presuntuoso monaco venne trascinato a forza davanti a Martino, ancora una volta riconosciuto capace di discernere gli spiriti[29].

In altri casi è lo stesso Martino ad affrontare direttamente il diavolo. L’ultima pagina della Vita Martini racconta che «spesso il diavolo, nel tentativo di prendersi gioco di quell’uomo santo con mille scellerate astuzie, si presentava nelle figure più disparate»[30], ad esempio sotto le apparenze delle divinità olimpiche. Martino rispondeva signo crucis et auxilio orationis (con il segno della croce e l’aiuto della preghiera); e allora il diavolo lo insultava e lo accusava e soprattutto lo accusava di aver accolto nel monastero, in seguito alla loro conversione, alcuni fratelli che un tempo avevano sciupato il battesimo in diversi traviamenti. Davvero Satana è il grande accusatore, che espone «le colpe di ciascuno» e tenta di inchiodare i cristiani nella disperazione della colpa (Ap 12, 10).

Un giorno il demonio tentò il Santo, apparendogli nelle vesti del Cristo trionfatore: «Riconosci o Martino colui che vedi! Io sono il Cristo. In procinto di scendere sulla terra, prima ho voluto manifestarmi a te!». Martino lo smascherò riconoscendo come non avesse i segni della Passione, crucis stigmata[31].

A un altro episodio è dedicata la seconda Epistula: un incendio sorprende nottetempo il Santo nella cella; Martino viene salvato miracolosamente, ma la sua tentazione era stata quella di scappare senza ricorrere alla preghiera[32].

Ma non è solo Martino ad essere vittima dell’avversario. Sullo sfondo dei dialoghi appare la figura un vescovo che -pur uscito dalla comunità martiniana- ne era divenuto l’oppressore. Si ritiene che si tratti del suo successore Brizio, che era stato allevato da Martino come un figlio, ma si dimostrava sempre più un figlio degenere con comportamenti non consoni alla disciplina monastica. Proprio sul finire dei Dialoghi (in cauda venenum!), Sulpicio racconta questo episodio:

«Un giorno Martino vide due demoni starsene sull’alta rupe che sovrasta il monastero e di lì, sguaiatamente allegri, lanciare un urlo di esortazione di questo tipo: “Forza Brizio! Forza Brizio!”. Vedevano da lontano -credo- il misero uomo che si avvicinava, ben consci di quanta rabbia avessero acceso in lui. Senza alcun indugio, Brizio entra furibondo: come in preda alla pazzia, vomitò addosso a Martino mille insulti. […]  …istigato dalla potenza di quei demoni, aggredì Martino al punto che per poco non lo picchiava; il Santo con il volto sereno e l’animo tranquillo, frenava la “pazzia” di quell’infelice con parole pacate. Ma lo spirito maligno dilagava in lui al punto che non era più padrone della propria mente, sebbene del tutto svuotata: con le labbra tremanti e con espressione mutevole, sbiancato per l’ira, scagliava parole malvage… [diceva che] Martino all’inizio si era imbrattato in azioni militari e ora era invecchiato tra vane superstizioni e ridicoli fantasmi delle sue visioni, perso nei deliri»[33].

La preghiera di Martino ottenne la liberazione di Brizio e questi si chinò umilmente a chiedere perdono. Ma gli episodi dovettero essere frequenti, visto che Martino commentava spesso: «Se Cristo sopportò Giuda, perché io non dovrei sopportare Brizio?»[34].

  1. San Martino e gli animali

Sono diversi i miracoli che il Santo operò in favore degli animali, anche qualche esorcismo.  Una volta salvò una lepre braccata dai cacciatori[35], un’altra volta liberò una vacca tormentata dal demonio:

«…non appena si fece più vicina a noi, infuriata e torva negli occhi, Martino le alzò contro la mano e ordinò alla bestia di fermarsi: quella subito, al suo ordine, cominciò a stare immobile, mentre intanto Martino vide il demonio che stava seduto sul suo dorso. Gli disse con tono minaccioso: “Vattene dalla bestia, maligno, e smettila di tormentare un innocuo animale”. Lo spirito malvagio obbedì e se ne andò. La vacca mostrò di capire di essere stata liberata: recuperata la tranquillità, si prostrò ai piedi del Santo e quindi su ordine di Martino, raggiunse la propria mandria e si unì, più tranquilla di una pecora, al gruppo delle altre»[36].

Curioso quanto narrato nelle pagine successive, dove un discepolo mette a tacere un cane rabbioso, ingiungendogli: «In nome di Martino, ti ordino di zittirti».

Conclusione

Per i contemporanei Martino costituì un segno di contraddi-zione. La sua fama fu grande: il suo stile monastico, le sue peregrinazioni nelle campagne, il suo portamento gli conferivano una dignità riconosciuta dal popolo e dagli aristocratici, che lo invitavano alla mensa e a lui ricorrevano nel bisogno. I suoi interventi e le sue scomode prese di posizione arrivavano a scuotere la corte imperiale. Però Martino ebbe molti detrattori, anche tra i suoi monaci. Le sue visioni «sembravano incredibili anche a parecchie persone che abitavano nel medesimo monastero, ragione per cui penso che non saranno creduti da tutti coloro che li ascolteranno»[37], la condotta ascetica, gli esorcismi, non piacevano a tutti. Il suo stile dimesso, la sua paradossale condizione di vescovo che faceva l’eremita a qualche miglio dalla città non era gradito agli altri vescovi.

Severo Sulpicio ci ha consegnato una preziosa testimonianza dell’esperienza religiosa vissuta da Martino, del suo impegno ascetico, del suo ideale monastico, dei suoi miracoli, dei suoi esorcismi e dell’ambiente religioso e culturale del tempo.

Cento anni dopo, il re merovingio Clodoveo, convertitosi al cattolicesimo, scelse Martino come patrono della sua casata e del suo regno: da allora il vescovo di Tours sarebbe divenuto il «referente ideologico e letterario di tutta l’agiografia merovingia»[38]. A completare l’opera, infine, sarebbe poi intervenuto Gregorio, successore di Martino a Tours: è significativo che il primo dei dieci libri della sua Historia Francorum[39] comprenda la storia della creazione del mondo fino alla morte di Martino. Il successo si sarebbe infine indelebilmente fissato nella storia della Chiesa, come attestano la tradizione liturgica, la toponomastica (quanti paesi ne portano il nome!), le tradizioni popolari.

 

 

[1] La data è attestata dal primo Concilio di Tours del 461: sub die XVIII kalendas decembris cum ad sacratissimam festivitatem qua domni nostri Martini receptio celebratur (Concilia Galliæ 314-506, ed. C. Minuier, CCL 148, Turnholti 1963, p. 143)

[2] Questo villaggio va localizzato a circa 50 km da Tours, sulla confluenza della Loira e della Vienne, non lontano dall’attuale Fontevraud. Gregorio di Tours ci informa che Martino fondò le nuove “parrocchie” di Amboise, Langeais, Saunay, Ciran, Tournon e appunto Candes.

[3] Sono una specie di uccelli che popolano le sponde della Loira, potrebbe trattarsi anche di colimbi o di gabbiani o di svassi, che risalgono il fiume dal mare verso l’interno cercando cibo.

[4] Queste brevi sentenze, assimilabili agli apoftegmi, devono essere state tipiche della predicazione di Martino. Anche in Dialoghi II 10, 1-6, cit., pp.191-192, il biografo attribuisce al Santo due «parole confidenziali, spiritualmente argute» che, come questo, prendono spunto dall’osservazione degli animali: da una pecora tosata, che ha eseguito il comando evangelico di donare una delle due tuniche (Lc 3, 11), da un prato calpestato da bestie, che diventa immagine dei vari stati di vita.

[5] Epistula III 6-16. Cfr Sulpicio Severo, Lettere e Dialoghi, CTP 196, ed. D. Fiocco, Roma, 2007 (J. Fontaine ha pubblicato i Dialoghi sotto il titolo di Gallus, in SCh 511, Parigi, 2006).

[6] Da questa lettera sono state ricavate le cinque antifone della memoria liturgica, onorate poi dalla musica gregoriana. Cfr Liber usualis, Romæ-Tornaci, 1923, p. 1506.

[7] Il riferimento biblico con il quale velatamente si paragona la morte di Martino a quella di Cristo, va innanzitutto al versetto di Zaccaria che Gesù evoca all’inizio del racconto della Passione (Mt 26, 31, citando Zaccaria 13, 7: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge»). Pur senza corrispondenza lessicale, è possibile un riferimento anche al saluto di Paolo sulla spiaggia di Mileto: «Dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge» (At 20,29).

[8] Di Sulpicio Severo ci sono giunti due libri di Chronica, la Vita Sancti Martini (VM), tre Epistulæ (Epist) e i tre libri dei Dialoghi (Dial). Fatta eccezione per il primo (cfr Sulpice Sèvére, Chroniques, ed. G. de Senneville-Grave, SCh 4412, Parigi, 1999), gli altri documenti sono tutti dedicati a san Martino. Per questo i copisti medievali raggrupparono Vita, Epistulæ e Dialoghi sotto il titolo Martinellus, come se si trattasse di un’opera unitaria.

[9] VM 6,2, cit., pp. 92-93. Della Vita Sancti Martini contiamo tre traduzioni italiane ricche di bibliografia: Sulpicio Severo, Vita Martini, in Vite dei santi: Vita di Martino, Vita di Ilarione, in memoria di Paola, introduzione di ch. Morhrmann, testo critico e commento di A.A.R. Bastiaensen e J.W. Smith, traduzioni di L. Canali e C. Moreschini, Milano 1975. Sulpicio severo, Vita di Martino, introduzione e note di E. Giannarelli, traduzione di M. Spinelli, Milano, 1995. Sulpicio Severo, Vita di Martino, intr., testo, traduzione e commento a cura di Fabio Ruggiero, Bologna 2003. Per i lettori del francese è d’obbligo il riferimento al monumentale lavoro di J. Fontaine, che raccoglie sia la Vita che le tre Epistulæ: Sulpice Sèvére, Vie de saint Martin, ed. J. Fontaine, SCh 133-135, Parigi, 1967-1969 (vol. 133. Testo critico e traduzione francese; vol. 134: commentario fino al par. 19 della VM; vol. 135: commentario dei rimanenti paragrafi e delle tre lettere: pp. 1119-1352).

[10] VM 2,5, cit., 81: «…i sovrani stabilirono che i figli dei veterani fossero coscritti nell’esercito: così Martino…all’età di quindici anni, arrestato e incatenato si trovò stretto nei lacci dei giuramenti militari». Su questo “reclutamento ereditario”, cfr D.-M. Dauzet, Martino di Tours. Il santo contro i potenti, Casale Monferrato, 2000, pp. 82-83 (traduzione italiana di Saint Martin de Tours, Paris, 1996).

[11] Cfr. J. Fontaine, Sulpice Sèvére a-t-il travesti saint saint Martin de Tours en martyr militaire?, «Anacleta Bollandiana», 81 (1963) pp. 31-58. Cfr D.M. Dauzet, Martino di Tours…, pp. 82-83.

[12] R. Pernoud, Martino di Tours, Milano, 1998, p. 9.

[13] VM 11, 1-5, cit., pp. 104-107.

[14] Ch. Morhmann, Introduzione, pp. XXVIII, pone ancora in parallelismo questi interventi con quelli del profeta Elia in 1 Re 18, 39 e con la lotta che i Padri del deserto condussero contro i simulacri pagani, riconosciuti come sede dei demoni. Nel IV secolo, anche dopo la svolta costantiniana, il paganesimo prolungò ancora a lungo la sua esistenza nelle classi senatorie e in quelle extraurbane: cfr. A.H.M. Jones, Lo sfondo sociale della lotta tra paganesimo e cristianesimo, in Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, ed. A. Momigliano, Torino, 1975, pp. 20-43.

[15] In VM 14, 3-7.

[16] Dial III, 8,4-9-2, cit., pp. 220-221.

[17] Anche nella Vita Hilarionis un uomo indemoniato si leva in aria alla preghiera del santo (Girolamo, Vita di Ilarione 13, 6, in Vita dei santi…, pp. 104-105) e così gli indemoniati dell’isola di Cipro avvertono l’arrivo di Ilarione (30,3, ibidem, pp. 136-137).

[18] Alcuni presuli facevano esorcismi assumendo atteggiamenti teatrali e facendo sfoggio di frasi altisonanti. San Martino insegna agli esorcisti di allora e a quelli di ogni tempo, che gli esorcismi sono un momento di preghiera, di penitenza e di umiliazione davanti a Dio, che ancor più umilia il demonio.

[19] Invertiti nella loro identità fisica, essi dichiarano anche l’inversione della propria identità: sono false divinità, «caricature demoniache del vero Dio» (ancora D.-M. Dauzet, Martino di Tours…, p. 202).

[20]  1 Cor 6,2-3. Sulpicio riporta le parole di due versetti in una sola frase.

[21] F.-L. Ganshof, Saint Martin et le comte Avitianus, «Anacleta Bollandiana», 67 (1949), pp. 202-203. Aviziano compare più volte nei Dial (III 4,1-5,1; 8,1-3); è una personalità complessa e tormentata: affezionatissimo a Martino, grida contro tutti, è volubile nel comportamento, ordina la strage e poi libera i condannati.

[22] Martino dotato del dono di discernere gli spiriti, vede quel demonio che altri non vedono.

[23] Exsufflans, che indica “soffiare”: è un gesto di esorcismo, attestato tra i riti liturgici dell’esorcismo. Pure Antonio abate scacciò un demonio soffiandogli contro (exsibilavit): Atanasio, Vita Antonii 40,2, cit., p. 85.

[24] Cfr J. Fontaine, L’affaire Priscilien ou l’ère des nouveaux Catilinas. Observations sur le sallustianisme de Sulpice Sévère, in Culture et Spiritualité en Espagne du IV au VII siècle, Festschrift J.M.F. Marque, ed. P.T. Brannan, London 1975, pp. 355-392. D.-M. Dauzet, Martino di Tours…, pp. 225-239.

[25] Chron II 50.1, SCh 441, 441, pp. 342: Itacio, uno dei vescovi più accaniti nella vicenda, «osò rimproverare pubblicamente al vescovo Martino, uomo in tutto assimilabile agli apostoli, di aderire a quell’infame eresia».

[26] Dial III 13, 4, cit., p. 230.

[27] Dial III, 13, 5, cit., p.230.

[28] Una volta caduto l’imperatore Massimo (388), essi persero l’appoggio politico. Felice venne scomunicato da papa Siricio; per favorire la conciliazione delle Chiese della Gallia, Felice si dimise e si ritirò a una vita di penitenza (Concilum Taurinense, can. 6, in Concilia Galliæ a. 314-a. 506, ed. Munier, CCL 148, Turnholti 1963, p. 57). Sulpicio lo riconosce persona degna, pur notando che venne eletto in una situazione incresciosa, da cui venne travolto (Dial II, 13, 2, cit., p. 229).

[29] VM 23, cit., pp. 137-139.

[30] VM 22,1, cit., pp. 133.

[31] VM 24,4-8, cit., pp. 140-143.

[32] Epist I 14, cit., p. 82.

[33] Gregorio di Tours riporta un episodio analogo: agli occhi di un malato che lo stava cercando, Brizio indica così il santo: «Se cerchi quel delìro, guarda là in fondo; ecco, sta fissando il cielo, al solito, come un ebete (La storia dei Franchi II 1, cit., pp. 86-87). Martino aveva sentito tutto: profetizzò al discepolo la successione sulla cattedra episcopale di Tours, ma anche le sofferenze che l’avrebbero segnato. Martino è inoltre qui descritto nella desolata solitudine, tipica dei grandi santi, come ha evidenziato J. Fontaine, SCh 133, p. 158.

[34] Dial III 15,7, cit., p. 235.

[35] Dial II  9,6, cit. p. 190.

[36] Dial II 9,1-4, cit., pp. 188-190.

[37] Dial II, 13, 7, cit., pp. 198-199.

[38] S. Pricoco, Gli scritti agiografici in prosa di Venanzio Fortunato, in Venanzio fortunato tra Italia e Francia, ed. T. Ragusa-B. Termite, Treviso, 1993, p. 178.

[39] Gregorio di Tours, La storia dei Franchi I, cit., pp. 127.

IL DIAVOLO “VESTE” I PANNI DELL’OCCULTO

IL DIAVOLO “VESTE” I PANNI DELL’OCCULTO

Il monito di padre Bamonte: evento negativo da non sottovalutare

AVVENIRE Roma 31 ottobre 2017

Intervista di Mimmo Muolo

 

Altro che Prada. Il diavolo veste Halloween. E non è uno «scherzetto», tantomeno un «dolcetto», perché alla base di un fenomeno che molti considerano alla stregua di una semplice carnevalata possono esserci realtà amarissime. Parola di padre Francesco Bamonte, presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti, che sulla festa di stasera lancia un monito a tutti e in special modo agli educatori. «Non sottovalutatene gli effetti».

Padre Bamonte, sta dicendo che Halloween non è un innocuo svago per bimbi, ma qualcosa di realmente pericoloso?

 Io non mi limiterei a considerare la festa di Halloween come un prodotto o una proposta di svago destinata al solo mondo dell’infanzia, perché di fatto è una proposta che si dirige a tutti privilegiando certamente i bambini, ma anche il mondo dell’adolescenza e della gioventù.  Se sia poi uno svago innocuo o qualcosa di veramente pericoloso, più che da principi o da pregiudizi lo si può dedurre o affermare dagli effetti.

Quali implicazioni negative?

A me sembra che Halloween di fatto non proponga niente di vero, niente di buono e non mi mostri niente di bello. Di conseguenza non mi sento aiutato ad essere più vero, più buono e a percorrere un cammino di bellezza e questo mi preoccupa dal momento che mi è stato insegnato che è la Bellezza che salverà il mondo.

La sua esperienza di esorcista che cosa le dice a tal proposito?

 La mia esperienza come quella di altri esorcisti, mostra soprattutto come la ricorrenza di Halloween incluso il periodo di tempo che la prepara, sia di fatto per alcuni giovani, un momento privilegiato di contatto con realtà settarie o comunque legate al mondo dell’occultismo, con conseguenze anche gravi non solo sul piano spirituale, ma anche sul piano dell’integrità psicofisica. È ormai ben noto che la ricorrenza di Halloween è nel calendario degli occultisti, dei maghi e dei cultori di satana, una delle “festività” più importanti. Dicendo questo non si vuol affermare che tutti quelli che festeggiano Halloween hanno esperienze negative, ma certamente il contenuto della festa e le modalità con le quali la si vive, abbassano se non addirittura tolgono le difese.

Come “esorcizzare” i pericoli?

 Per me cristiano, sacerdote ed esorcista ciò che è essenziale per “esorcizzare” i pericoli di Halloween è conoscere e amare per davvero Gesù e la sua dolcissima incomparabile Mamma. Gesù che è Dio è la Verità, la Bontà, la Bellezza e la sua Mamma lo riflette pienamente! Guardando alla loro bellezza e innamorandosene, non si riesce se non con una grande fatica a guardare anche per un solo istante ad Halloween.

Chi deve aiutare i bambini e i giovani a comprendere il pericolo?

 Sono innanzitutto i genitori, padre e madre, e tutti coloro che hanno responsabilità nella formazione alla vita dei bambini e dei giovani. Costoro dovrebbero aver chiaro il tentativo in atto di portare il mondo dei bambini e dei giovani tra le braccia del nemico di Cristo. Basti pensare che negli Stati Uniti, qualche anno fa è stata esibita pubblicamente, con grande clamore mediatico, una scultura dedicata al diavolo. Si tratta del baphomet, simbolo adorato come dio dagli iniziati alle scienze occulte, un essere metà uomo e metà capra, che rappresenta i poteri dell’oscurità. Nella scultura sono presenti due bambini dallo sguardo sorridente e compiacente. Questa presenza ha lo scopo di abituare le nuove generazioni a non temere le sue proposte, ma a seguirlo ed accettarlo come guida, come leader. Inoltre, oggi, alcune importanti aziende produttrici di giocattoli, soprattutto per i più piccoli, hanno ideato tra i nuovi personaggi per il gioco, guarda caso proprio il baphomet. Halloween quindi predispone all’accoglienza di queste proposte, e favorisce questo indirizzo culturale.

Come rilanciare il culto dei santi, “scippato” da questa pratica pagana?

 Bisogna conoscerli e stringere amicizia almeno con qualcuno di loro. In passato questa conoscenza era alimentata dalle loro feste e dalla concomitante predicazione che esponeva la loro vita, le loro opere, il modo concreto con cui essi si relazionavano con Dio e con gli uomini. Per molte famiglie cristiane un aiuto grande era dato dalla lettura e dall’ascolto delle loro vite, fatte o dai genitori o da qualche figura rappresentativa della famiglia (penso allo zio Saverio per Papa Giovanni XXIII). Anche i sacerdoti dovrebbero tornare a parlare dei santi e condurre i fedeli e specialmente i bambini e i giovani in pellegrinaggio nei luoghi della loro vita o dove sono venerati i loro resti mortali. Ci sono tanti santi bambini e giovani che aspettano di essere conosciuti e che potrebbero diventare grandi amici dei loro coetanei. In questo modo quando si arriva alla Festa liturgica di Tutti i Santi, si ha già la preparazione di base per comprenderne il significato e per viverla in modo adeguato.

 

Storia della nascita dell’Associazione Internazionale Esorcisti e della prima presidenza

A cura di padre Francesco Bamonte, icms

Introduzione

Vorrei subito sottoporre alla vostra attenzione quattro date, fondamentali Nei giorni 3-4 settembre 1991, don Gabriele organizzò a Roma il primo convegno di esorcisti italiani. Dal 28 giugno al 2 luglio 1993, sempre a Roma, venne organizzato da padre René Chenessau -esorcista della diocesi di Parigi- e dal teologo padre René Laurentin un incontro di sei sacerdoti. Fu invitato anche don Gabriele, che però, per motivi di salute, riuscì a partecipare solo un pomeriggio. In quel pomeriggio fu proposto un convegno internazionale di esorcisti, programmato per l’anno successivo, il 1994. Dopo meno di due mesi, dal 27 al 30 settembre 1993, don Gabriele guidava il secondo convegno degli esorcisti italiani. L’anno seguente -dal 27 giugno al 1º luglio 1994- si tenne il primo Convegno Internazionale di Esorcisti, durante il quale nacque di fatto l’Associazione Internazionale Esorcisti, di cui don Gabriele, per unanime scelta dell’assemblea, divenne presidente.

Per comprendere con chiarezza quale fu l’itinerario che portò don Gabriele Amorth ad essere il primo presidente e cofondatore dell’Associazione Internazionale Esorcisti, insieme con l’esorcista francese padre René Chenessau, mi servo della documentazione custodita nell’archivio della nostra Associazione.

Nel 1986, il Cardinale Vicario Ugo Poletti, informato delle preoccupanti condizioni di salute di Padre Candido Amantini, esorcista presso il santuario della Scala Santa in Roma, venne a sapere, durante una visita di don Gabriele, della frequentazione e dell’amicizia che don Gabriele stesso aveva di Padre Candido. Il Cardinal Poletti disse: «Lei conosce padre Candido? Oh, adesso ammalato com’è ha proprio bisogno di aiuto». Prese un foglio e si mise a scrivere la sua nomina a esorcista per la diocesi di Roma, affinché don Gabriele potesse in tal modo sollevare in parte padre Candido dall’oneroso peso del suo ministero.  Don Gabriele replicò: «Ma io… lei sa che sono buono solo a contare barzellette!». Ma non vi fu ripensamento. E allora don Gabriele si rivolse alla Madonna e le disse: «Questo è un passo importante: avvolgimi nel tuo manto e mi sentirò sicuro». Poco dopo aver intrapreso il compito affidatogli, si affacciava con insistenza, alla mente di don Gabriele, il pensiero di radunare periodicamente gli esorcisti. Ne parlò con Padre Candido, il quale lo incoraggiò a procedere. Intanto, nel settembre del 1990, don Gabriele pubblicò un primo libro sul ministero degli esorcismi che ebbe un successo strepitoso, da lui stesso sempre attribuito a un particolare intervento della Vergine Maria. Il libro si intitolava: “Un esorcista racconta” ed ebbe numerosissime edizioni e fu tradotto in moltissime le lingue.

Qualche mese dopo, nell’autunno del 1990, Padre René Chenesseau, esorcista della Diocesi di Pontoise (Parigi), venne a Roma e fece lasciare, da una persona amica, alla portineria della Società San Paolo (dove risiedeva don Amorth, in via Alessandro Severo) e alla portineria del santuario del santuario della Scala Santa (dove risiedeva  padre Candido Amantini) il manoscritto di un suo libro, dal titolo: “Diario di un esorcista”. Lasciò anche i numeri di telefono, per rintracciarlo.

Passati tre giorni, padre Candido telefonò a Padre Chenesseau e lo invitò ad incontrarlo alla Scala Santa, due giorni dopo. Parlarono tutto il pomeriggio delle loro esperienze, degli incontri che Padre Chenesseau aveva avuto con esorcisti di altre nazioni, della situazione in Italia e anche in Francia, dove la Conferenza Episcopale Francese organizzava ogni anno una riunione di tutti gli esorcisti francesi. Padre Candido, nel volgere di breve tempo, fece in modo che anche don Amorth incontrasse Padre Chenesseau.  Don Amorth venne così a sapere, tra l’altro, che il vescovo della diocesi di Padre Chenesseau aveva chiesto allo stesso Padre Chenesseau di fargli avere le sue osservazioni sul Rituale ad Interim del 4 giugno 1990 (in francese), che Don Amorth non aveva ancora ricevuto (e che padre Chenessau fece tradurre dal francese in italiano per don Amorth, in attesa che lui lo ricevesse poi anche ufficialmente).

Il padre Renè Chenessau aveva numerose osservazioni sul primo testo proposto e voleva che altri esorcisti esprimessero il loro parere e che ci fosse anche un utile confronto. Padre Chenesseau era molto contento che “a Roma”, come diceva, grazie a don Amorth, si parlasse del problema degli esorcismi e sperava in una fruttuosa collaborazione fra gli esorcisti.

Intanto don Amorth convocò a Roma, per i giorni 3-4 settembre 1991, i pochi esorcisti che conosceva e i pochi di cui aveva ricevuto l’indirizzo.

Quale sede di quel primo incontro scelse la casa d’Esercizi Spirituali dei Padri Passionisti al Celio, in Roma (Piazza Santi Giovanni e Paolo, n. 13), per favorire la partecipazione di padre Candido, già provato nella salute. Don Gabriele affermò: «Mi rendevo conto di progettare qualche cosa di nuovo, di cui non potevo certo prevedere il successo o l’insuccesso». Aderirono tutti i convocati. All’ultimo momento proprio Padre Candido, per motivi di salute, annunciò, a malincuore, la sua forzata rinuncia.

Parteciparono a quel simposio 12 esorcisti. Si può senz’altro affermare che nella giornata conclusiva di quel convegno, il 4 settembre 1991, per la prima volta nella storia della Chiesa nacque, di fatto, una Associazione di Esorcisti. Conserviamo ancora la lista dei nomi di quei 12 esorcisti, tutti italiani:

1.         Don Gabriele Amorth, esorcista di Roma.

2.         Battistoni P. Silvino, esorcista di Roma.

3.         Don Capra Giuseppe, esorcista di Torino.

4.         Don Antonio Di Monda, esorcista di Benevento.

5.         Don Ernetti Pellegrino, esorcista di Venezia.

6.         La Grua Padre Matteo, esorcista di Palermo.

7.         Lo Schiavo Dom Gennaro, esorcista della Badia di Cava dei Tirreni (Salerno).

8.         Proia Mons. G. Battista, esorcista di Roma.

9.         Don Raul Salvucci, esorcista di Fermo (Ascoli Piceno).

10.      Sutto Mons. Ferruccio, esorcista di Pordenone.

11.      Terzi Padre Ignazio, esorcista di Roma.

12.      Tiveron Padre Leandro, esorcista di Modena.

Alcuni di loro sono tuttora viventi.

Durante i lavori, don Amorth proponeva un argomento, lo illustrava, e poi ognuno interveniva. Furono due giornate pienamente soddisfacenti: i convenuti si proposero di riunirsi ancora, in futuro, allargando la rosa degli inviti. Pensando già di programmare un secondo convegno, dopo due anni, nel 1993, don Gabriele si diede da fare per contattare altri esorcisti. Fu informato che all’incontro di Rimini, organizzato dal movimento ecclesiale «Rinnovamento nello Spirito Santo», a fine aprile, sarebbero intervenuti molti sacerdoti, tra cui vari esorcisti. Partecipò, perciò, a vari momenti di quel “meeting”, prendendo così contatto con un buon numero di esorcisti.

Il 3 ottobre 1991 padre Chenesseau, Curty, e padre Jean-Baptiste si riunirono in Francia presso l’Abbazia Sainte-Madeleine du Barroux e inviarono una lettera al Cardinale Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. In questa Congregazione, il Padre Ligier seguì da vicino la questione del Rituale degli esorcismi, in accordo con il padre Chenesseau.

Nel 1992, padre Chenesseau organizzò un secondo incontro, presso l’abbazia Sainte-Madeleine. Furono presenti padre Curty di Avignone, padre Michel Babelon di Agen e padre Jean-Baptiste, monaco del monastero di Sainte-Madeleine e anche Mons. Corrado Balducci, proveniente dall’Italia. In quella riunione si accennò all’idea di un raduno internazionale degli esorcisti; inoltre, al termine di quell’incontro, si definì una proposta di riforma organica del Rituale degli Esorcismi del 1952, che fu presentata al Cardinale Ratzinger, con cui padre Jean-Baptiste ebbe poi l’occasione di parlarne personalmente.

Padre Chenesseau desiderava che anche don Gabriele fosse presente agli incontri che aveva avviato, ma temeva che padre Jean-Baptiste non si sarebbe potuto recare a riunioni organizzate fuori del monastero e che, d’altra parte, don Gabriele non sarebbe potuto andare facilmente da Roma a Le Barroux. Padre Jean-Baptiste, però, rassicurò padre Chenesseau e così fu deciso che il gruppo si sarebbe ritrovato a Roma l’anno seguente, invitando anche don Gabriele.

Questa riunione si concluse il 29 ottobre 1992.

L’anno dopo, nel 1993, il gruppo si riunì finalmente a Roma, dal 28 giugno al 2 luglio 1993, nella casa “Domus Mariæ”. Fu invitato anche don Gabriele, il quale stava preparando il Convegno Nazionale degli Esorcisti Italiani, che si sarebbe svolto due mesi dopo alla “Domus Pacis” di Roma. Proprio in quel periodo, però, don Gabriele non si sentiva molto bene, per cui poté partecipare solo un pomeriggio. La sua presenza, tuttavia, fu molto importante e determinante, perché proprio in quel pomeriggio fu presa la decisione di organizzare un convegno internazionale degli esorcisti per l’anno successivo, il 1994.

Tale incontro fu incoraggiato e patrocinato, in modo molto discreto, dal Cardinale Mayer, che ebbe pure una conversazione con questo piccolo gruppo di sacerdoti;  anche Sua Eccellenza mons. Giovanni De Andrea, contattato anch’egli da padre Chenesseau, sostenne quella lodevole iniziativa. Non furono numerosi i partecipanti, ma tutti erano molto qualificati. Oltre a padre Chenesseau e a mons. René Laurentin, parteciparono padre Davies, padre Jean-Baptiste, padre Conaty, padre Le Bar e padre Ladamus.

All’incontro parteciparono anche gli psichiatri Dott. Philippe Loron (Parigi), Dott. Ellyn Shander (USA), e la Dott.ssa Odile Boudier. Grazie al Cardinale Mayer, tutto il gruppo fu ricevuto dall’allora Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina di Sacramenti, Mons. Agnelo Geraldo Majella.

I temi discussi in quei giorni furono i seguenti:

– L’insegnamento del Concilio Vaticano II e di Giovanni-Paolo II.

– L’insegnamento della Scrittura e della tradizione sull’esorcismo.

– L’esorcismo nel tre primi secoli.

– L’insegnamento di san Tommaso d’Aquino.

– L’insegnamento dell’enciclica sullo Spirito Santo.

– I pericoli dell’esorcismo – La sua necessità.

– I due gruppi di esorcizzati:

1) coloro che sono tormentati soprattutto per colpa loro;

2) coloro che sono tormentati soprattutto a causa del loro amore per il Signore.

– I differenti livelli di liberazione.

– Lo studio dei segni di influsso satanico.

– Lo studio delle cause.

– I criteri decisivi per l’esorcismo stesso.

– I livelli di certezza.

Ogni giorno si affrontò:

– Lo studio dei casi, presentati da ogni esorcista

Studio del rituale ad interim:

A) Redazione delle critiche.

B) Studio delle proposte per la revisione del rituale.

C) Redazione delle proposte.

Presentazione di alcuni libri sull’esorcismo.

Sempre in quell’occasione si stabilì in lingua francese un atto di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria dell’Associazione. Il testo, proposto il 19 giugno 1993, da padre Jean-Baptiste fu il seguente:

Consécration au Cœur Immaculé de Marie

Cœur très Pur et Immaculé  de Marie, incendié de la sainte charité de Dieu, holocauste tant agréable à Dieu, cristal sans tache, navire obéissant aux plus légers souffles du Saint -Esprit, vase débordant d’ardeurs toutes saintes, ache du Bel Amour. A Vous, oh Cœur de l’Immaculée Conception, à jamais victorieuse de Satan, nous nous consacrons, nous, nos personnes, toutes nos activités. A Vous, oh Cœur de la Mère de Dieu, nous vous consacrons les âmes  et les corps de ceux qui, tourmentés par le démon, ont recours à notre ministère. A Vous, oh Cœur de la reine des Anges, nous nous consacrons à votre service comme soldats de votre invincible armée.

Ainsi soit-it!

Traduzione in italiano:

Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria

Cuore Purissimo e Immacolato di Maria, incendiato dalla santa carità di Dio, olocausto gradevolissimo a Dio, tersissimo cristallo, veliero ubbidiente ai più leggeri soffi dello Spirito Santo, vaso ricolmo di santissimi ardori, arca del Bell’Amore. O Cuore dell’Immacolata Concezione, per sempre vittorioso su Satana, a Te consacriamo le nostre persone e tutte le nostre attività. A Te, o Cuore della Madre di Dio, consacriamo le anime e i corpi di coloro che, tormentati dal demonio, ricorrono al nostro ministero. O Cuore della Regina degli Angeli, ci consacriamo al Tuo servizio come soldati del tuo invincibile esercito. Così sia!

Quasi due mesi dopo, dal 27 al 30 settembre 1993, a Roma, presso la casa “Domus Pacis in via Torre Rossa, 94, vi fu il secondo Convegno Nazionale degli Esorcisti Italiani. In quei giorni don Gabriele notò l’entusiasmo con il quale gli esorcisti italiani avevano accolto l’iniziativa di riunirsi periodicamente, esigenza da essi già da tempo fortemente avvertita. Basta dire che dai 12 del primo Convegno nel settembre 1991 i partecipanti passarono a 79. Fu anche grande la loro soddisfazione quando vennero informati del primo convegno internazionale, che si sarebbe svolto l’anno seguente.

I relatori di quel Convegno e i titoli delle loro relazioni furono i seguenti:

1.         Prof. Don Franco Pierini: Storia degli esorcismi da Gesù Cristo ad oggi.

2.         Sua Ecc. Mons. Girolamo Grillo: Gli esorcismi sulle persone.

3.         Don Pellegrino Ernetti: Esorcismi ad un gruppo di persone.

4.         Don Raul Salvucci: Esorcismi con l’aiuto di un gruppo di preghiera.

5.         Don Giuseppe Capra: Esorcismi con l’aiuto di un medico.

6.         Padre Matteo La Grua: Il Rinnovamento e le preghiere di liberazione.

7.         Mons. G. Battista Proia: Un problema aperto.

8.         Don Gabriele Amorth: Come interpretare il diritto canonico.

Vi furono varie comunicazioni interessanti, oltre a vivaci discussioni. Al termine del Convegno fu dato a don Gabriele l’incarico di inviare una relazione dell’incontro al Cardinale Camillo Ruini, Vicario di Roma e Presidente della Conferenza Episcopale Italina. Infatti fu inviata ampia relazione con il programma svolto. E furono inviate quattro richieste finali di grande rilievo. Si noti che anche nei precedenti incontri (al Celio e alla “Domus Mariæ”) si trattò con preoccupazione del «Rituale ad interim».  Ecco le richieste:

1.         che il «Rituale ad interim» sia radicalmente rifatto, inserendo nella Commissione redattrice alcuni esorcisti di lunga esperienza. Il Rituale tuttora in vigore, pur con i suoi difetti, è certamente migliore del «Rituale ad interim» proposto;

2.         che fin dagli studi teologici si tornino a studiare quelle discipline che negli ultimi tempi sono state spesso omesse: l’angelologia (in teologia dogmatica); l’azione di Satana (in teologia spirituale); i peccati contro il primo comandamento (in teologia morale);

3.         che vengano create o indicate possibilità di formazione per gli esorcisti. Molti hanno confessato apertamente la loro totale impreparazione;

4.         che gli esorcisti abbiano il loro riconoscimento e collocamento, nella Conferenza Episcopale Italina ad esempio, come un ramo della pastorale per gli infermi.

Don Gabriele, nel frattempo, per conservare i contatti tra un Convegno e l’altro e curare la formazione permanente degli esorcisti, pensò di preparare una “Lettera Circolare” da inviare loro periodicamente. La prima fu datata 16 luglio 1992 e fu spedita sia ai primi dodici partecipanti -incontrati l’anno precedente- sia a quelli conosciuti successivamente. Don Gabriele non pensava che quella breve circolare sarebbe stata la prima di una lunga serie. Ancora oggi infatti, una Lettera Circolare viene inviata ai sacerdoti esorcisti iscritti all’Associazione Internazionale Esorcisti e ai loro ausiliari, a cui si è aggiunto da tre anni un sussidio di formazione permanente dal titolo: “Quaderni AIE”.

Qualche settimana dopo il termine del convegno degli esorcisti italiani, nell’ottobre del 1993, si rifece vivo padre Chenesseau: egli chiese a don Amorth quali potessero essere gli argomenti da trattare nel primo incontro internazionale, che si sarebbe dovuto svolgere l’anno successivo. Nel fax di risposta -datata 28 ottobre 1993- oltre a fornire i suoi suggerimenti, don Amorth manifestò qualche perplessità, scrivendogli in francese: “Trovo una grandissima difficoltà di traduzione simultanea. Siamo troppo pochi per servirci di strumenti che si utilizzano nelle grandi riunioni”. Ma padre Chenesseau non si scoraggiò e continuò nella preparazione del Convegno internazionale. Egli fu aiutato da Rita Cinti, per tutta la parte pratica della Segreteria. Per gli inviti dall’estero si occuparono padre René Chenessau e gli altri sacerdoti e medici intervenuti all’incontro presso la “Domus Mariæ”, nel giugno del 1993.

Il Convegno, che si tenne nella casa «Divin Maestro» ad Ariccia, sul lago di Albano, iniziò il 27 giugno 1994 e si concluse il mattino del 1º luglio con la Santa Messa. I partecipanti furono 81.

A presiedere il convegno fu incaricato padre Jeremy Davies, esorcista di Westminster (Londra); il Vice Presidente fu padre Christian Curty, esorcista di Marsiglia; come consigliere teologo fu scelto padre René Laurentin. Nella giornata finale del convegno si decise di rendere stabile l’incontro. Si assunse per la prima volta il nome di «Associazione Internazionale Esorcisti» e ci si propose di ripetere l’incontro internazionale ogni due anni, lasciando liberi gli anni dispari per l’incontro solo dei sacerdoti italiani. Occorreva però nominare un Presidente.

Dopo una discussione a gruppi separati, secondo la lingua, gli italiani si erano orientati per un Presidente non italiano. Ma gli altri gruppi, dato che la sede degli incontri rimaneva fissata a Roma, reclamavano un Presidente italiano. E Padre Laurentin chiese a gran voce che fosse proprio don Gabriele Amorth. Anche se quest’ultimo aveva fatto di tutto per non farsi eleggere, chiedendo a molti di non votarlo, fu eletto a larghissima maggioranza e a quel punto accettò l’incarico. Fu votato anche un vice presidente, che fu padre Rufus Pereira, di Bombay (India). In quell’occasione fu anche stabilita una prima bozza di Statuto ad interim.  L’impegno principale di don Amorth fu quello di organizzare bene i convegni annuali (nazionale negli anni dispari, internazionale negli anni pari).

Ora vorrei presentarvi una testimonianza di don Gabriele su quegli anni della sua presidenza, testimonianza che io stesso gli chiesi e che pubblicammo nella Lettera Circolare n. 54 del dicembre del 2012:

«L’Associazione era fondata, ma non aveva un volto ben definito, che cercai di imprimere con impegno. Intanto potevo contare su una preziosa segreteria, Rita Cinti aiutata dal marito; per tutta la parte esecutiva stavo tranquillo e debbo dare atto dell’ottimo funzionamento di questo settore. Pensai di ottenere una formazione abbastanza omogenea valendomi di due mezzi. Il primo era fornito dai grandi incontri annuali. Cercai di curarli al meglio, valendomi anche degli aiuti che mi venivano dai presenti. Il mio sforzo principale fu nella scelta degli argomenti e dei relatori. Occorreva che le relazioni avessero un taglio pratico, per poter essere di vero aiuto per i partecipanti. Per questo ho cercato di scegliere come relatori prevalentemente degli esorcisti.

Il mio secondo mezzo fu la Lettera Circolare trimestrale. Pensavo che era un collegamento troppo scarso quello di incontrarsi una volta all’anno oppure ogni due anni. Così non poteva essere sentita l’appartenenza ad un’Associazione. Perciò fu mia cura inviare ogni tre mesi una Circolare, abbastanza ricca di pagine. Non nascondo che fu una grossa fatica. Cercai di ottenere collaboratori e ci sono riuscito in parte; nessuno mi mandava interventi di sua iniziativa, ma sempre venivo soddisfatto se sollecitavo la collaborazione indicando un tema concreto. Ringraziando il Signore sono riuscito a mantenermi fedele alla Circolare trimestrale tutto il tempo del mio incarico.

Ritenendo di avere svolto a sufficienza il mio mandato, e ritenendo utile una successione, nel Convegno internazionale del luglio 2000 mi dimisi».

Queste le parole con cui don Gabriele testimoniò la sua appassionata presidenza in quegli anni.  Voglio concludere ripresentando anch’io la mia breve testimonianza su don Gabriele, che lessi al termine della Santa Messa di funerale, il 19 settembre 2016, e che in parte riprendo:

«Noi, sacerdoti esorcisti di tutto il mondo, siamo immensamente grati a Don Gabriele Amorth per tutto quello che ha fatto, riproponendo e valorizzando nella Chiesa il ministero degli esorcismi. Quando, nel 1997, entrai a far parte di quest’Associazione, rimasi profondamente edificato per il vigore, lo slancio, la dedizione e l’entusiasmo che don Gabriele profondeva costantemente nel guidarla, con il fine di aiutare gli esorcisti a svolgere al meglio il proprio compito.

Con questi vivi e affettuosi ricordi nel cuore, affidiamo al Signore l’anima di questo suo servo fedele. A nome dell’Associazione Internazionale Esorcisti, rinnovo a Lei, Reverendissimo don Valdir Josè De Castro, superiore Generale della Società San Paolo e a tutti religiosi della sua famiglia religiosa, il ringraziamento per il grande

dono che ci ha fatto, attraverso il vostro confratello Don Gabriele e ringraziando Dio per averlo donato alla Chiesa attraverso di voi, gli chiediamo di ricompensarlo per le fatiche e le prove che ha affrontato per amor Suo e per amore di tanti sofferenti.

Con la fiduciosa speranza, per l’aiuto della Grazia divina, di proseguire degnamente l’opera da lui iniziata e incoraggiata con tanto fervore, custodiamo sempre più profondamente quella stretta unione in Cristo Gesù -tra i Vescovi e gli esorcisti e tra gli esorcisti stessi fra di loro- tanto auspicata e promossa da don Gabriele, affinché nella comunione fraterna e nell’esercizio di questo ministero, svolto in conformità alla prassi liturgica stabilita dalla Chiesa, possiamo sostenere sempre più efficacemente la durissima battaglia contro Satana e contro gli angeli ribelli, per la salvezza del popolo di Dio e per l’avvento del Regno di Dio».

S.E. card. Ernest Simoni testimonianza

Albania

Testimoni: card. Simoni, “ogni martire trova nell’amore di Cristo la forza di affrontare le persecuzioni”

4 agosto 2017

di Gigliola Alfaro

 

Il porporato, che ha ricevuto la berretta da Papa Francesco il 19 novembre 2016, racconta la sua storia. Di lui colpisce la fede granitica e il continuo ringraziare il Signore, malgrado le sofferenze patite durante la dittatura comunista di Enver Hoxha. Ha perdonato i suoi aguzzini e si è adoperato per la riconciliazione tra le persone. La sua è una vita offerta a Dio e agli altri

Ci sono vite che si caratterizzano per essere un dono per gli altri. Vite spese nell’amore per Dio e per il prossimo. Vite che non sono arretrate di un centimetro neppure di fronte alle torture e alle persecuzioni. In Albania, durante la dittatura comunista di Enver Hoxha, sacerdoti, religiosi e fedeli laici sono stati un punto di riferimento per gli altri. Per il regime la loro presenza era un pericolo, perché davano speranza ai sofferenti e la loro offerta di vita è stata da esempio per il popolo. Perseguitati per l’amore a Cristo, sacerdoti, religiosi e laici non hanno esitato a morire pur di non rinnegare la loro fede. A Scutari, presso la cattedrale di Santo Stefano, il 5 novembre 2016 sono stati beatificati 38 martiri, uccisi ai tempi della dittatura. Oggi nel Paese delle Aquile è garantita la libertà religiosa e sono tantissimi i missionari, che vanno anche nei villaggi e sulle montagne dove c’è tantissima povertà, pronti ad affrontare qualsiasi disagio, per far conoscere Gesù. Missione svolta fino a tarda età anche dal card. Ernest Simoni, in particolare nelle parrocchie di Barbullush e di Trush, a Fushë Arrëz. Come tanti suoi amici, anche il cardinale sarebbe stato pronto a dare la sua vita, ma i progetti di Dio su di lui sono stati diversi. Alla soglia degli 89 anni (è nato a Scutari il 18 ottobre 1928) e dopo atroci sofferenze patite per la persecuzione, il porporato albanese oggi è un testimone di come la fede e l’amore per Cristo non possono essere vinti dai poteri di questo mondo. Di lui colpisce la fede granitica e il continuo ringraziare il Signore per avergli dato la forza di superare ogni difficoltà e un cuore generoso che non ha mai coltivato l’odio.

Eminenza, la Chiesa albanese è stata molto perseguitata per Cristo, ma la fede ha resistito. È stato possibile per l’opera e la testimonianza di sacerdoti e religiosi come lei?

Io ho avuto degli amici sacerdoti uccisi per la fede. Gesù ci ha detto: “Avrete persecuzioni, avversità, ma abbiate fiducia. Io ho vinto il mondo”. Gesù sta con tutti coloro che lo pregano, che fanno la Sua volontà e Lo amano con le opere, la mortificazione, la preghiera quotidiana e tutto quello che fanno discende dalla grazia divina, che illumina la mente e lo spirito di tutti coloro che amano Gesù nella Croce, perché la via del paradiso non è fugace come la promessa di questo mondo, ma è la via dolcissima e lucidissima attraverso la croce.

Questa è stata la nostra meta quotidiana: avvicinare Gesù ai cuori delle persone.

Ogni giorno eravamo impegnati a far conoscere il volto di Gesù nei loro cuori e nella loro anima. Ciò è stato possibile per la grazia e la potenza dello Spirito Santo.

Papa Francesco, dopo averla conosciuta, nel volo di rientro dall’Albania, nel 2014, ha detto: “Sentire parlare un martire del proprio martirio, è forte”. Ci parli della sua esperienza…

Il regime comunista cercava di allontanarmi da Gesù. Ero considerato un “nemico del popolo”. Non avendo voluto rinnegare la fede sono stato arrestato alla vigilia di Natale del 1963 mentre celebravo la Santa Messa. Alla fine della celebrazione mi hanno messo le catene e mi hanno letto il decreto di impiccagione con l’accusa di aver detto al popolo: “Dovete morire per la fedeltà a Gesù”.

Ha avuto paura?

Gesù mi ha dato la grazia divina di affrontare ogni prova. Hanno fatto tutto il possibile per allontanarmi da Gesù con la forza. Mi chiedevano di bestemmiare contro Gesù, contro la Chiesa e contro il Papa. Io non ho accettato niente e allora mi hanno messo le catene. Si è fermato il cuore, pensavo di morire.

Ogni martire trova la forza di affrontare il proprio martirio nell’amore per Gesù.

Alla fine però non hanno eseguito la condanna a morte…

Avevano messo nella mia cella una spia. Era un mio amico, che tante volte era venuto a mangiare con me nella canonica. Lui era cambiato e cercava di mettermi in difficoltà. Mi provocava dicendomi: “Questi comunisti sono delinquenti, vogliono distruggere la fede”. Io ho risposto: “Per Gesù io sono pronto a dare la vita. Gesù ci ha insegnato anche a perdonare e amare i nemici. Con il suo amore per tutti Gesù ha salvato il mondo”. La spia riferì quanto avevo detto al dittatore. Dopo dieci giorni mi è stata commutata la condanna in diciotto anni di prigione presso la miniera di Spaç. Dopo essere uscito dalla prigione, fui condannato nuovamente ai lavori forzati: per dieci anni ho lavorato nelle fogne di Scutari.

In questi lunghi e dolorosi anni cosa l’ha sorretta?

La luce, l’amore, la grazia divina mi hanno accompagnato ogni giorno.

Non ho mai perso la fede.

Ho continuato a celebrare la Santa Messa, con un’ostia cotta di nascosto su piccoli fornelli, mentre per il vino utilizzavo il succo dei chicchi d’uva. Recitavo il Santo Rosario e confessavo i miei compagni di prigionia e nelle miniere. È Dio che ci ha custodito e salvato tutti.

Qual è la situazione oggi in Albania per i cristiani?

Oggi è tutto bello, tutto chiaro. Non ci sono più impedimenti per chi vuole seguire Gesù, eppure resta grande l’impegno per salvare le anime perché tanti ancora sono lontani da Gesù. I cattolici oggi in Albania sono circa 600mila, ma il numero concreto di cattolici, ortodossi e musulmani albanesi non si sa perché sono sparsi nel mondo intero. Comunque, nel Paese i cattolici sono una minoranza.

Com’è la convivenza?

In Albania oggi è tutto amore, fratellanza, consenso, accordo. Tutti pregano. È stata una grazia speciale del Signore.

Quando è finito il regime ateo, è stato difficile tornare a manifestare la fede?

No, è stato il contrario. Quando è finito il regime, tutto il popolo cattolico ha cercato Gesù, ha pregato Dio, si sono riaperte chiese e moschee. Con la venuta della libertà religiosa il Signore mi ha aiutato a servire tanti villaggi e a riconciliare molte persone desiderose di vendetta, allontanando l’odio dai loro cuori.

LA FIGURA DELL’ESORCISTA E IL SUO MINISTERO NELLA CHIESA. Relazione

ASSEMBLEA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO

30 maggio – 1° giugno 2017

Curia generalizia della Compagnia di Gesù – In Aggiornamento

 

 LA FIGURA DELL’ESORCISTA E IL SUO MINISTERO NELLA CHIESA

Relazione del presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti,

padre Francesco Bamonte, icms

31 maggio 2017

 

Signor Cardinale, Reverendissimi Confratelli nel sacerdozio che partecipate a questa Assemblea Plenaria del Dicastero della Congregazione per il Clero,

ringrazio di avermi  cortesemente chiesto, tramite sua Eminenza il Cardinale Beniamino Stella,  una relazione sulla figura del sacerdote esorcista e sul ministero a lui affidato dalla Chiesa. Presenterò la relazione alla luce della esperienza che, come  presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti, raccolgo da ogni parte del mondo; rimando anche alla “introduzione” -allegata a questa esposizione e affidata alla lettura personale- circa i fondamenti evangelici e gli insegnamenti del magistero della Chiesa sull’esistenza del mondo demoniaco; sulla sua attività ordinaria e straordinaria nel mondo umano; sulle possessioni diaboliche e sul ministero dell’esorcismo; sulla crescente pratica delle varie forme di occultismo tra le nuove generazioni, con i conseguenti danni sul piano psicologico, morale e spirituale.

Papa Francesco, ricevendo il 17 marzo scorso i partecipanti al «XXVIII Corso sul Foro Interno», promosso dalla Penitenzieria Apostolica, ha auspicato una stretta collaborazione tra confessori ed esorcisti. In quell’udienza ha detto che, qualora il confessore rilevasse la presenza di disturbi spirituali reali nei fedeli che si accostano al sacramento della Confessione, non dovrà esitare a fare riferimento agli esorcisti della diocesi[1].

Alla luce di questo invito, è auspicabile che ogni Vescovo -al fine di colmare l’”iter” formativo sacerdotale- promuova incontri di aggiornamento pastorale nella formazione permanente dei sacerdoti, affidati a un esorcista di provata esperienza, il quale istruisca accuratamente i confratelli circa i criteri utili per un primo discernimento, al fine di comprendere se le vicende, i segni, i sintomi, i fenomeni -che i fedeli descrivono o manifestano- siano da attribuire a una reale azione straordinaria del demonio.

Questo “primo discernimento” può e deve essere fatto da ogni sacerdote, in modo che all’esorcista siano indirizzate solo le persone che sembrano avere realmente bisogno del suo specifico ministero.

Il Papa ha poi anche ricordato che i sacerdoti esorcisti «devono essere scelti con molta cura e molta prudenza».

Il Vescovo, in quanto successore degli Apostoli, è il primo esorcista della diocesi a lui affidata: primo, ma non necessariamente l’unico della diocesi. Alcuni vescovi esercitano questo ministero di carità sporadicamente, per i molteplici impegni legati al loro ministero episcopale.

Il Codice di Diritto Canonico (canone n. 1172, par. 1-2) stabilisce che il Vescovo individui uno o più sacerdoti idonei a svolgere questo delicato ministero, al fine di assicurare tale servizio pastorale alla diocesi. I candidati prescelti siano sacerdoti equilibrati e prudenti; di costante, scrupolosa e personale cura spirituale, fedeli al Vangelo, dediti alla preghiera e all’esercizio delle virtù.

Il rituale dell’esorcismo, al n. 13 dei Prænotanda, riprendendo il CDC (can. 1172/2), suggerisce ai Vescovi «sacerdoti di provata pietà, scienza, prudenza e integrità di vita». Tali caratteristiche risultano determinanti nel primo discernimento e in quello successivo e cioè nel modo di fronteggiare il maligno una volta accertata la sua reale azione straordinaria; nel modo di relazionarsi con il fedele che ha bisogno di tale ministero, con i suoi familiari e con i propri ausiliari; e, soprattutto, nella capacità di guidare le anime ad acquisire le disposizioni necessarie per conseguire la liberazione.

Dopo aver riportato le note caratteristiche che un Vescovo deve riscontrare in un sacerdote, perché svolga con frutto questo ministero, il rituale degli esorcismi, al n. 13 dei Prænotanda, aggiunge che i sacerdoti siano «specificamente preparati a tale ufficio». Prima di iniziare ad esercitare il ministero, dovrebbero essere disponibili per un tempo di formazione esperienziale pratica, affiancandosi a un esorcista che svolga con zelo tale specifica missione. Non si può improvvisare l’esercizio di questo ministero, così delicato.

Il tirocinio iniziale dovrebbe, poi, essere accompagnato e seguito da una formazione permanente. Ai nostri tempi la portata del fenomeno “occultismo”, vasta, articolata e multiforme, esige che l’esorcista -per quanto agisca già in comunione con il proprio Vescovo, in virtù della licenza da lui ricevuta – non sia isolato rispetto agli altri confratelli impegnati in questo campo: gli stessi sacerdoti esorcisti, al fine di aiutare in maniera sempre più efficace i fratelli e le sorelle tribolati dal maligno, avvertono il bisogno di una sempre più stretta unione fra di loro e la necessità di incontrarsi periodicamente, per approfondire la formazione personale, per condividere le proprie esperienze, per scambiarsi notizie, per stringere una più stretta fraternità sacerdotale e per condividere momenti di preghiera comune.

In tal senso, il 13 giugno 2014, è stata accolta con grande gioia l’approvazione dello Statuto dell’Associazione Internazionale Esorcisti (AIE) e il conferimento ad essa della personalità giuridica, con decreto della Congregazione per il Clero, che l’ha riconosciuta come associazione privata internazionale di fedeli.

L’Associazione Internazionale Esorcisti periodicamente organizza corsi e convegni, per una prima formazione “di base” e per la successiva formazione permanente degli esorcisti e dei loro ausiliari.

Al fine di favorire i contatti e l’unità tra gli esorcisti, e garantirne la formazione permanente, l’Associazione -oltre i momenti “ufficiali” d’incontro-  cura una «Lettera Circolare», che viene inoltrata ai soci, in versione digitale, periodicamente, nelle varie lingue, con informazioni e avvisi sulla vita interna dell’Associazione; una rivista periodica dal titolo: «Quaderni AIE», con articoli, approfondimenti, aggiornamenti su temi riguardanti il ministero degli esorcismi. Inoltre la segreteria provvede ad inviare, a tutti i membri dell’Associazione, in versione digitale, gli Atti dei Convegni annuali.

Da qualche anno l’Associazione ha avviato uno studio accurato, dal titolo: “Linee guida per una corretta prassi del ministero degli esorcismi”, articolato in tre parti:

  1. La prima è finalizzata a facilitare il discernimento dei casi particolari, con indicazioni specifiche che aiutino tutti i sacerdoti a capire quando realmente necessiti l’intervento di questo ministero.
  2. La seconda parte offre indicazioni ai sacerdoti esorcisti, affinché siano evitati prassi o metodi dubbi, cioè non corrispondenti alle norme con le quali la Chiesa regola l’azione liturgica di questo ministero. Il sacerdote non può procedere a proprio arbitrio, in quanto opera nel quadro di una missione ufficiale: rappresenta Cristo e la Chiesa. Nell’amministrare l’esorcismo, deve anche conoscere e seguire le norme stabilite dalla Chiesa. Il servizio pastorale dell’esorcismo, infatti, si colloca prettamente in ambito ecclesiale e l’esorcista deve attenersi fedelmente a tutto ciò che la Chiesa stabilisce nella realizzazione di questo specifico “sacramentale”.
  3. Nella terza parte sono riportate indicazioni precise sui requisiti e sui compiti dei fedeli laici che aiutano i sacerdoti esorcisti.

Un’altra esigenza fondamentale dei sacerdoti esorcisti è quella di essere circondati da un presbiterio solidale e comprensivo nei loro confronti. È fondamentale l’opportuno intervento del Vescovo -che favorisca tale fraterna comunione- e l’atteggiamento serio ed equilibrato dell’esorcista, nel ministero che gli è stato affidato.

Un ulteriore elemento essenziale riguarda il rapporto personale con il proprio Vescovo ordinario. Ogni ministero richiede di essere svolto nella piena comunione ecclesiale: è importante, perciò, che vi siano periodici incontri, perché il Vescovo possa vigilare paternamente, verificando le condizioni fisiche, psicologiche e spirituali del sacerdote e perché l’esorcista senta il sostegno e l’incoraggiamento paterno del proprio Vescovo. Il rituale degli esorcismi (n. 13 dei Prænotanda) afferma che il sacerdote deve compiere tale «servizio di carità con fiducia e umiltà, sotto la guida dell’Ordinario», che di regola è appunto il Vescovo diocesano.

L’esorcista contribuisce a prevenire il triste fenomeno del funesto ricorso di molti agli “operatori dell’occulto”. La mancanza di esorcisti in una diocesi può, infatti, indurre la gente a rivolgersi a tali personaggi, o a “sette” di vario genere. Il fedele che necessita realmente dell’esorcismo «è un membro della comunità, uno di quei membri che la comunità deve amare di un amore preferenziale: quando è in potere del maligno, infatti, egli è il più povero dei poveri, bisognoso di aiuto, di comprensione e di consolazione. Il ministero dell’esorcista perciò, oltre che di liberazione, è anche un ministero di consolazione»[2].

«I sacerdoti esorcisti, in comunione con i propri Vescovi e Ordinari, manifestano così l’amore e l’accoglienza della Chiesa, verso quanti soffrono a causa dell’opera del maligno»[3].

Un altro aspetto importante, dell’esercizio del ministero dell’esorcismo, è la sua idonea e feconda collocazione all’interno di una evangelizzazione integrale.

Gesù inviò i suoi Apostoli prima di tutto ad annunciare il Regno di Dio, poi a guarire gli ammalati e a liberare, nel suo nome, gli indemoniati.  Qualunque sia l’origine del male di chi chiede aiuto (che sia o meno un’autentica forma di azione straordinaria del demonio), l’esorcista s’impegna, anzitutto, a indicare e a sostenere un vero cammino di conversione e di vita cristiana; a infondere serenità, pace, fiducia in Dio e speranza nella sua grazia; a correggere atteggiamenti erronei, nei fedeli, riconducendoli a una fede autentica e genuina.

Gli esorcisti non sono soltanto gli strumenti di cui Dio si avvale per sostenere i fedeli nella lotta contro il maligno, ma sono anche i testimoni, la voce e gli ambasciatori della loro drammatica sofferenza. Questi fratelli e sorelle, tormentati dal maligno, sono infatti particolarmente cari al Cuore di Gesù e della Madre sua, poiché le loro sofferenze, accettate con amore, li avvicinano e li introducono sempre più nel Mistero della Passione di Cristo. L’offerta della loro sofferenza per la Chiesa tutta è quanto mai preziosa.

Sempre nella udienza dei partecipanti al «XXVIII Corso sul Foro Interno», promosso dalla Penitenzieria Apostolica, in riferimento ai disturbi di origine incerta, il Papa ha accennato anche a «una sana collaborazione con le scienze umane». Condividiamo particolarmente questo suo invito, perché tale collaborazione, segnalata anche tra gli obiettivi dell’Associazione Internazionale Esorcisti nello Statuto (art. 3.6), è già in atto da tempo.  L’Associazione, infatti, promuove e incoraggia la collaborazione con esperti in medicina e in psichiatria, di vita cristiana esemplare, e competenti nelle realtà spirituali cristiane: essi, ovviamente, non possono sostituirsi al ministero di esorcista, ma possono essere, in circostanze specifiche, di efficace supporto ad esso.

Il giudizio ultimo, se procedere o meno all’esorcismo, spetta comunque al sacerdote esorcista, il quale, come afferma il rituale che la Chiesa gli consegna, al n. 12 dei Prænotanda e 16 delle Premesse Generali, deciderà di proferire l’esorcismo maggiore, quando sarà moralmente certo di una reale azione diabolica straordinaria (ossessione, vessazione, possessione, infestazione di luoghi).

A conclusione di questa esposizione, e cogliendo l’occasione dai contenuti  della prima mattinata dell’Assise in corso, dedicata alla formazione iniziale in Seminario, con la presentazione della nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, esprimo la comune convinzione dei sacerdoti esorcisti sulla  necessità che coloro che sono preposti alla formazione dei seminaristi, alla luce del Vangelo e dell’insegnamento della Chiesa, li istruiscano sulla reale esistenza, consistenza e natura del mondo demoniaco.

La scarsa attenzione che nei seminari e nelle facoltà teologiche oggi si rivolge alla realtà del mondo demoniaco e/o addirittura la sua negazione da parte di alcuni insegnanti, pur preposti alla formazione integrale -spirituale, pastorale e teologica- dei seminaristi, costituiscono una realtà decisamente preoccupante. La diffusa “ignoranza” di tali fenomeni, oltre a provocare un grande impoverimento nella formazione dei seminaristi e dei candidati alla vita religiosa, ha fatto sì che -una volta ordinati  sacerdoti e introdotti “nel vivo” del loro impegno pastorale- essi non siano in grado di garantire una profonda direzione spirituale; di offrire un’opportuna catechesi ai fedeli sull’esistenza e sull’attività del demonio; di affrontare le serie problematiche legate all’incremento delle pratiche occulte, che si è registrato negli ultimi decenni, e che ha spalancato la strada a un’azione straordinaria del demonio nella società, sempre più virulenta.

Certamente il primo impegno pastorale di ogni sacerdote è quello della evangelizzazione: Cristo deve essere il centro dell’annuncio, ma è inevitabile che un’autentica evangelizzazione non si scontri con il mistero dell’iniquità e non si apra a una riflessione sull’origine e sulla presenza del male nell’Universo, creato buono da Dio.

Pertanto auspico, almeno una volta nell’iter di formazione dei seminaristi, l’incontro con un sacerdote esorcista che dia testimonianza, ovviamente in modo adeguato, del ministero da lui svolto. In tal modo, la figura del sacerdote esorcista diventerebbe più familiare per i futuri sacerdoti, predisponendo una futura e più fruttuosa collaborazione tra i sacerdoti non esorcisti e quelli esorcisti, a beneficio dei nostri fratelli e sorelle afflitti dal maligno.

Consapevoli della grave responsabilità e della delicatezza del nostro ministero, ringraziamo questa Assise, per averci concesso la possibilità di esprimere quello che ci sembrava necessario farvi conoscere in questo momento, riguardo il particolare ministero di esorcismo.

Affidando i lavori dell’Assise all’intercessione della beata Vergine Maria, porgo a sua Eminenza il Cardinale Beniamino Stella, agli altri Cardinali presenti, agli Officiali della Congregazione per il Clero, e a voi tutti, i miei più deferenti saluti.

[1] Nel corso di questa esposizione userò talvolta l’espressione: “esorcista” oppure “sacerdote esorcista”. Con essa intendo riferirmi a un sacerdote che ha ricevuto dal suo Vescovo ordinario, una “peculiare ed espressa licenza” per esercitare il ministero degli esorcismi. L’esorcistato è parte essenziale del sacramento dell’Ordine; tuttavia in analogia con il sacramento della Confessione, -che per essere amministrato validamente richiede, oltre alla potestà di Ordine, anche il possesso della potestà di giurisdizione- perché un sacerdote possa esercitare legittimamente il ministero dell’esorcismo, è infatti necessario che egli riceva dal suo Vescovo ordinario, una “peculiare ed espressa licenza”.

[2]Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari”, Presentazione, par. 16, pag. 13-14, Libreria Editrice Vaticana, 2001. [Testo promulgato dalla «Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti». Versione italiana a cura della Conferenza Episcopale Italiana].

[3] Cfr: Messaggio di Papa Francesco ai membri dell’Associazione Internazionale Esorcisti in Convegno a Roma dal 20 al 25 ottobre 2014.

LA FIGURA DELL’ESORCISTA E IL SUO MINISTERO NELLA CHIESA. Introduzione

ASSEMBLEA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO

30 maggio – 1° giugno 2017

Curia generalizia della Compagnia di Gesù – In Aggiornamento

 

Introduzione al testo:

LA FIGURA DELL’ESORCISTA E IL SUO MINISTERO NELLA CHIESA

Relazione del presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti,

padre Francesco Bamonte, icms

31 maggio 2017

Ai nostri tempi le pratiche occulte esercitano un’attrattiva rilevante, specificamente sugli adolescenti e i giovani delle nuove generazioni. Per essi spesso, l’occultismo, nelle sue molteplici forme, rischia di diventare “una nuova religione”, una nuova spiritualità, che si presenta più accattivante e alternativa rispetto alla tradizionale spiritualità e fede cristiana. L’occultismo infatti oggi è insegnato ai bambini e agli adolescenti mediante figurine, fumetti, cartoni animati, un certo tipo di musica, videogiochi, film, telefilm e romanzi.  Sono inoltre sempre più reperibili manuali di magia, in cui l’occultismo è spiegato dettagliatamente ai ragazzi e ai giovani.  Tramite internet, inoltre, oggi è possibile essere iniziati a tutte le varie forme di occultismo: stregoneria, satanismo, medianità, spiritismo, neopaganesimo, new age, ecc.  Oggi molti di loro, ad appena 13-14 anni, hanno pertanto un conoscenza di queste realtà e di questi “mondi” (per così dire) che noi nemmeno ci immaginiamo. Un numero crescente di essi, però, non si fermano alla sola conoscenza: vogliono sperimentare quello che hanno conosciuto e cominciano, così, ad assumere comportamenti pericolosissimi. Dalla conoscenza passano alla pratica vera e propria dell’occultismo che promette loro il contatto con mondi paralleli, con le anime dei trapassati, con spiriti ritenuti di volta in volta buoni o cattivi, con fantomatiche energie che si ritiene conferiscano potere per dominare gli altri, e infine con Satana stesso ricercato e adorato come se fosse Dio. Tutte promesse ingannevoli che espongono a gravi pericoli morali, psicologici e spirituali. I danni che l’occultismo può produrre, infatti, vanno da disturbi psicologici o psichici, che richiedono l’intervento dello psicologo o dello psichiatra sino talvolta ad azioni straordinarie del demonio, che richiedono l’intervento del sacerdote esorcista.

A ciò si aggiunga, una categoria, costituita da persone adulte che ricoprono ruoli di alta e altissima responsabilità nella società convinti di trovare nell’esoterismo e nell’occultismo, sino a sfociare talvolta nel luciferismo, una sorta di “filosofia” e di “cultura di élite”, contenente segreti che, gradualmente svelati, permettano loro di rafforzare il proprio potere nella società stessa.

Certamente il mondo dell’occultismo è pieno di persone che vendono illusioni a caro prezzo, offrendo il falso rimedio a tutti i mali. Il loro unico potere è la chiacchiera e la furbizia; e la maggior parte degli operatori dell’occulto rientra in tale categoria.     Tuttavia anche se spesso la gente è animata solo da vane paure, per cui ha bisogno semplicemente di essere  tranquillizzata e invitata a una vita cristiana autentica,  il contatto con alcuni operatori dell’occulto, che a differenza dei semplici truffatori sono realmente collegati con il mondo demoniaco, può provocare un’azione  particolare e/o straordinaria del demonio, dolorosa e difficile da vincere; un’azione che,  oltre  a una vita di grazia, di preghiera e di pratica dei  Sacramenti,  può richiedere anche l’aiuto del ministero degli esorcismi della Chiesa. Infatti l’esercizio di pratiche occulte non può essere sempre riducibile a inganno o vana credenza, priva di ogni fondamento. Frequentare medium, spiritisti, cartomanti, chiromanti, gruppi magici, satanisti, ecc., come anche praticare o avvalersi della mediazione di altri operatori per la fruizione di rituali occulti, oltre a richieste, di ingenti somme, come spesso accade, può provocare condizionamenti psicologici e comportamentali, ma anche danni spirituali tali da degenerare nei «fenomeni diabolici straordinari della possessione, dell’ossessione, della vessazione e dell’infestazione»[1]. La Conferenza Episcopale Italiana (=CEI), nelle note di Presentazione al Rito degli esorcismi, dopo aver invitato i Pastori della Chiesa a «richiamare, con sapienza e prudenza, i fedeli a non ricercare il sensazionale e ad evitare sia la stolta credulità che vede interventi diabolici in ogni anomalia e difficoltà, sia il razionalismo preconcetto che esclude a priori qualsiasi forma di intervento del Maligno nel mondo»[2], e dopo aver invitati i Pastori a «esortare i fedeli a non ricorrere mai a coloro che praticano la magia o si professano detentori di poteri occulti o medianici o presumono di aver ricevuto poteri particolari»[3], afferma testualmente: «Nel dubbio circa la presenza di un influsso diabolico è necessario rivolgersi prima di tutto al discernimento dei sacerdoti esorcisti e ai sostegni di grazia offerti dalla Chiesa soprattutto nei Sacramenti»[4].

In tale contesto pastorale emerge sempre più la necessità di una più stretta collaborazione tra i sacerdoti e coloro che tra di essi hanno ricevuto dal proprio Ordinario licenza di esorcismo.

Il ministero degli esorcismi nei Vangeli e nella Chiesa contemporanea

Nei Vangeli vediamo che Gesù annunciava il Regno di Dio, guariva i malati, cacciava i demoni. Riguardo quest’ultima opera, Egli così ne spiega il significato e l’importanza: «Se [invece] io scaccio i demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio» (Lc 11, 20), affermando in tal modo che il suo potere di cacciare i demoni, è il segno del compimento del Regno di Dio nel mondo per liberare l’umanità dalla tirannia di Satana.

Nei Prænotanda del Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari tale aspetto è così è descritto:

«Durante il suo ministero Cristo diede agli Apostoli e agli altri discepoli il potere di scacciare gli spiriti immondi (cfr Mt 10, 1.8; Mc 3, 14-15; 6, 7.13; Lc 9, 1; 10, 17. 18-20). … E nel Vangelo la cacciata dei demoni fa parte dei segni che avrebbero accompagnato quelli che credono (cf Mc 16,17). Fin dal tempo degli Apostoli la Chiesa ha esercitato il potere ricevuto da Cristo di scacciare i demoni e di respingere il loro influsso (cf At 5, 16; 8, 7; 16, 18; 19, 12). Perciò essa prega con fiducia e perseveranza “in nome di Gesù” di essere liberata dal Maligno (cf Mt 6, 13) e, in quello stesso nome, per la forza dello Spirito Santo, comanda in vari modi ai demoni di non ostacolare l’opera di evangelizzazione (cf 1 Ts 2, 18) e di restituire “al più Forte” (cf Lc 11, 21.22) il dominio sul creato e su ogni uomo. “Quando la Chiesa comanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo»[5].

L’esistenza di Satana e degli altri spiriti maligni, chiamati dalla Sacra Scrittura anche diavoli o demoni, è una realtà rivelata a noi da Dio stesso, ma che durante gli esorcismi che la Chiesa compie in nome di Cristo, si svela apertamente. Il «Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica» definisce tali spiriti «angeli creati buoni da Dio, [i quali] si sono trasformati in malvagi, perché con libera scelta, hanno rifiutato Dio e il suo Regno, dando così origine all’Inferno»[6]. Dai dati biblici risulta innegabile che essi non sono né “un simbolo” del male, né figure mitiche, né personificazioni del male o del peccato, né allegorie: sono vere e proprie creature. «Il discepolo di Cristo, alla luce del Vangelo e dell’insegnamento della Chiesa, crede che il Maligno e i demoni esistono e agiscono nella storia personale e comunitaria degli uomini»[7].

La Sacra Scrittura ci rivela che, in odio a Dio e all’uomo, tali spiriti ribelli cercano di propagare fra gli uomini la loro stessa scelta per il male e per fare questo sfruttano la possibilità che hanno d’interferire con la vita degli uomini ad un duplice livello: con un’azione ordinaria – tentandoli, cioè, al male – e con un’azione che è definita straordinaria, perché si manifesta anche con effetti visibili o percepibili la cui forma più grave è la possessione diabolica.

La possessione diabolica non è una malattia fisica o psichica, ma una sorta di inabitazione di uno spirito demoniaco (o anche più di uno) nel corpo della persona umana e quando tale spirito si manifesta, lo fa con un “controllo dispotico esercitato sullo stesso corpo”. Infatti, in determinati momenti detti di “crisi”, il demonio usa il corpo e la voce della vittima senza che questa riesca ad opporgli resistenza.

Di solito il tutto avviene in una perdita totale di coscienza o in uno stato di semi coscienza. Ma la cosa più drammatica è quando la vittima mantiene lo stato pieno di coscienza. Vede ed è consapevole di tutto ciò che sta accadendo, anche delle cose più umilianti, ma come uno spettatore inerme.

Il demonio, però, può possedere il corpo, tormentare la sua anima, ma non può possedere o sostituirsi a quest’ultima che rimane libera nella sua apertura all’amore di Dio e quindi alla scelta per Lui.

Nei Vangeli si evidenzia chiaramente la differenza dell’atteggiamento di Gesù quando guarisce da una malattia e quando invece libera un indemoniato. Quando la persona era ammalata, Gesù si rivolgeva direttamente al malato e lo guariva; se invece gli si presentava un indemoniato, Gesù si rivolgeva con determinazione a qualcun altro, distinguendolo dalla persona stessa, e con un comando imperativo gli ordinava di lasciarla e di non tormentarla più.

In ambito cristiano la distinzione tra queste due condizioni, malattia e possessione diabolica, era, a livello di principi, ben presente fin dall’inizio del cammino ecclesiale, come si può evincere dagli stessi Evangelisti, assai fermi nel distinguere tra malattie provocate da fattori naturali e azioni straordinarie del demonio. La Chiesa Cattolica ha pertanto sin dal principio distinto tra possessione diabolica e malattia mentale.

A differenza dei malati, gli indemoniati rivelano con dei segni inequivocabili, la presenza di uno o più esseri intelligenti estranei a loro stessi. Quali sono questi segni? La persona innanzitutto perde la coscienza di sé, nel senso della presenza a sé stessa, dell’“auto percezione”, che sembra scomparire, sostituita temporaneamente da un essere estraneo  che controlla  la persona totalmente e pieno d’ira, urla rabbiosamente, provoca forti convulsioni e contorcimenti nel corpo della sua vittima, ne altera la fisionomia, mostra di conoscere cose occulte, produce in essa una forza al di fuori della norma, che non corrisponde né all’età né alle condizioni di quella persona, la vessa fisicamente, servendosi delle sue stesse membra e si contraddistingue per una peculiare manifestazione di incontenibile odio e avversione nei confronti di Cristo Gesù di cui presume di conoscere l’identità. Queste manifestazioni sono ben note ai sacerdoti esorcisti contemporanei, quando si trovano davanti a reali casi di possessione diabolica, cioè a persone perfettamente sane di mente che sperimentano questa drammatica realtà. Inoltre l’esperienza plurisecolare della Chiesa riguardo i posseduti, dall’inizio sino ai nostri tempi, attesta che i segni descritti nei Vangeli non esauriscono la possibile casistica.  Altri segni si possono associare ad essi. Ne elenco solo due in particolare, a cui io stesso ed altri esorcisti, abbiamo qualche volta assistito: dalla bocca, sul corpo o in prossimità della persona, sul pavimento circostante o su un tavolo nel luogo dove si svolge il rito dell’esorcismo, possono comparire oggetti tra più disparati come: aghi, chiodi, pezzi di catene, sassi, ciocche di capelli, vetri, pezzi di stoffa, corde, anelli, orecchini e altre cose, tra le più varie. In genere questo fenomeno è segno della progressiva liberazione che, tuttavia, non è legata necessariamente a queste manifestazioni.

Un’altra manifestazione, che sia pure assai raramente, è stata verificata da vari esorcisti, tra cui io stesso, è la “levitazione”. Essa, come sappiamo, si verifica anche nella vita di vari mistici; questo fenomeno, però, quando è associato alla conoscenza di cose occulte e all’avversione al sacro, non può essere certamente attribuito a Dio o agli angeli, ma va riconosciuto come segno d’intervento diabolico.

Sintetizzando quanto detto fino ad ora, i criteri per distinguere una possessione diabolica sono principalmente questi: quando si constata che la nuova personalità che si manifesta, cambia i tratti somatici e il comportamento di quella persona e dimostra conoscenza di cose occulte e nel medesimo tempo avversione al sacro, questo è di per sé non un semplice indizio, ma un indizio forte di possessione.

La mia esperienza, come quella di tanti altri esorcisti -naturalmente relativa a persone veramente possedute- ci pone davanti a uomini e donne perfettamente sani di mente, esposti però a un livello di sofferenza tale, di cui neppure si sospetterebbe l’esistenza. Tale sofferenza, che egli infligge con crudeltà e sadismo, intende condurre alla sfiducia nei confronti di Dio, insinuando il dubbio che Egli non sia buono, proprio perché permette tali supplizi. Il demonio sa benissimo che quando una persona è martoriata è più facile portarla alla ribellione contro Dio: il danno al corpo è solo subordinato a quello spirituale. Il suo vero scopo -sia in caso di azione ordinaria che straordinaria- è quello di volgere la volontà dell’uomo contro Dio. Il demonio, però, sa che la sofferenza che procura attraverso una possessione è un’arma a doppio taglio: essa infatti, se offerta dalla sua vittima a Dio, si volge a vantaggio proprio di quella persona; e allora egli è, allo stesso tempo, geloso della persona che sta facendo soffrire, perché le sofferenze che lui stesso sta procurando, offerte a Dio, anziché allontanarla da Dio l’avvicinano ancora di più a Lui.

Nella nostra preghiera quotidiana non dovremmo mai dimenticarci di raccomandare a Dio questi nostri fratelli e sorelle, insieme a coloro che hanno il compito di aiutarli.

Il problema «possessione diabolica» è estremamente serio. Se per negligenza, per superficialità, per scarsità di discernimento o, peggio ancora, per prevenzione intellettuale, dovessimo abbandonare alla loro sofferenza persone che hanno realmente bisogno del ministero dell’esorcismo, noi ci assumeremmo una grande responsabilità nei confronti di Dio, che ci aveva invitati a soccorrere quei nostri fratelli. Il demonio è animato da un’insopprimibile desiderio di nuocere alla sua vittima.

L’azione straordinaria del demonio non è limitata alla sola possessione diabolica.

Essa si può manifestare sotto forma di sola vessazione fisica, con azioni, da parte del diavolo e dei demoni, tese ad aggredire e a tormentare l’uomo fisicamente, come tagli, oppure scottature, graffi, punture, morsi, bastonate, colpi, incisioni nella pelle di lettere, parole o segni che persistono per un certo tempo e poi scompaiono

«La presenza del diavolo e di altri demoni si manifesta e si concretizza non solo nel caso di persone tentate o possedute, ma anche quando cose e luoghi sono fatti in qualche modo oggetto dell’azione diabolica»[8]. In questo caso tale azione viene definita: “infestazione diabolica locale”.

[1] «Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari», Presentazione, pag. 11, par. 7, Libreria Editrice Vaticana, 2001. [Testo promulgato dalla «Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti». Versione italiana a cura della Conferenza Episcopale Italiana].

[2] Ivi, Presentazione, pag. 11, par. 8.

[3] Ivi, Presentazione, pag. 11, par. 8.

[4] Ivi, Presentazione, pag. 11, par. 8.

[5] Ivi, Premesse generali, pag. 20-21, par. 6-7.

[6] «Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica», n. 74.

[7] «Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari», Presentazione, par. 5, pag. 10, Libreria Editrice Vaticana, 2001. [Testo promulgato dalla Congregazione per il «Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti». Versione italiana a cura della Conferenza Episcopale Italiana].

[8] «Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari», pag. 89, par. 1. Libreria Editrice Vaticana, 2001. [Testo promulgato dalla «Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti». Versione italiana a cura della Conferenza Episcopale Italiana].

 

Papa Francesco incoraggia la collaborazione confessori-esorcisti-psichiatri

Papa Francesco, in data 17 marzo 2017, ha ricevuto in udienza i partecipanti al «XXVIII Corso sul Foro Interno» promosso dalla Penitenzieria Apostolica. Egli ha tra l’altro detto:

«Il discernimento è necessario anche perché, chi si avvicina al confessionale, può provenire dalle più disparate situazioni; potrebbe avere anche disturbi spirituali, la cui natura deve essere sottoposta ad attento discernimento, tenendo conto di tutte le circostanze esistenziali, ecclesiali, naturali e soprannaturali. Laddove il confessore si rendesse conto della presenza di veri e propri disturbi spirituali – che possono anche essere in larga parte psichici, e ciò deve essere verificato attraverso una sana collaborazione con le scienze umane –, non dovrà esitare a fare riferimento a coloro che, nella diocesi, sono incaricati di questo delicato e necessario ministero, vale a dire gli esorcisti. Ma questi devono essere scelti con molta cura e molta prudenza».

Siamo grati a Papa Francesco di aver ricordato, durante l’udienza, che laddove il confessore – vale a dire ogni parroco o qualsiasi sacerdote in cura d’anime, anche non parroco, come ogni sacerdote che amministra il sacramento della Confessione nelle basiliche e nei santuari- rilevasse la presenza di disturbi spirituali reali nel fedele che si confessa, non dovrà esitare a fare riferimento agli esorcisti della diocesi, indirizzandoli ad essi, per quanto di loro competenza.

Alla luce di questo invito di Papa Francesco, ci sembra opportuno che ogni Vescovo promuova incontri di aggiornamento pastorale nella formazione permanente dei sacerdoti, nel corso dei quali, alla luce della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa, ribadire la reale esistenza del mondo demoniaco e affidare a un sacerdote esorcista di riprovata esperienza, il compito di istruire i sacerdoti della diocesi sui criteri utili per un primo discernimento, al fine di comprendere se le vicende, i segni, i sintomi, i fenomeni che i fedeli descrivono o manifestano siano da attribuire a una reale azione straordinaria del demonio, per cui sia necessario l’intervento della Chiesa mediante il rito dell’“esorcismo maggiore”.

Il previo filtro dei confessori e dei sacerdoti in cura d’anime favorirebbe anche un alleggerimento del peso dei sacerdoti esorcisti; non è più pensabile infatti che gli esorcisti siano gli unici incaricati al primo discernimento che può e deve essere fatto da ogni sacerdote, in modo che, attraverso la loro accurata analisi, all’esorcista siano indirizzate solo quelle persone in situazioni tali da aver bisogno realmente del suo specifico ministero.

Ringraziamo papa Francesco anche di aver dichiarato che i sacerdoti esorcisti però «devono essere scelti con molta cura e molta prudenza». L’Associazione Internazionale Esorcisti (AIE), il cui Statuto è stato approvato dalla Santa Sede il 13 giugno 2014, informando costantemente di ogni sua iniziativa la Congregazione per il Clero, organizza incontri di formazione con i Vescovi e il clero delle varie diocesi del mondo, su loro richiesta. L’Associazione Internazionale Esorcisti inoltre offre a tutti gli esorcisti del mondo una formazione permanente. Il dilagare del grave fenomeno “occultismo”, che sta danneggiando le nuove generazioni sul piano psicologico, morale e spirituale, esige che l’esorcista  -per quanto agisca già in virtù del mandato ricevuto, in comunione con il proprio Vescovo- non sia isolato rispetto agli altri confratelli impegnati in questo campo: gli stessi esorcisti avvertono il bisogno di una sempre più stretta unione fra di loro e la necessità di incontrarsi periodicamente per approfondire la formazione personale, per condividere le proprie esperienze, per stringere una più stretta fraternità sacerdotale e per vivere momenti di preghiera in comune. Il fine è certamente quello di aiutarsi e di sostenersi reciprocamente nel ministero, sostenendo in maniera sempre più efficace i fratelli e le sorelle tribolati dal maligno.

A tale scopo, l’Associazione Internazionale Esorcisti periodicamente organizza Corsi e Convegni per una prima formazione di base e per la successiva formazione permanente degli esorcisti e dei loro ausiliari.

Inoltre, al fine di favorire i contatti e l’unità tra gli esorcisti e garantirne la formazione permanente, oltre i momenti “ufficiali” d’incontro,  cura una «Lettera Circolare», che viene inoltrata ai soci in versione digitale, alcune volte durante l’anno, nelle diverse lingue, con informazioni e avvisi vari, riguardanti la vita dell’Associazione;  una rivista periodica dal titolo: «Quaderni AIE», a cura della Redazione stessa dell’AIE, con articoli su temi relativi al ministero degli esorcismi, con approfondimenti, aggiornamenti e interventi di alcuni confratelli sacerdoti. Ai  membri dell’Associazione inoltre sono  inviati, in versione digitale, anche gli Atti dei Convegni annuali.

Ringraziamo infine Papa Francesco anche per l’accenno a una sana collaborazione con le scienze umane, in riferimento al discernimento dei disturbi di origine incerta. Tale collaborazione, segnalata anche tra gli obiettivi dell’AIE nello Statuto (art. 3.6), è già in atto da tempo.

L’AIE infatti promuove la collaborazione con esperti in medicina e in psichiatria, di vita cristiana esemplare e competenti nelle realtà spirituali cristiane, che ovviamente non possono sostituirsi al ministero di esorcista, ma possono essere in alcune circostanze di aiuto ad esso. Il ricorso alla collaborazione delle persone esperte in medicina e psichiatria non è obbligatorio, non è sempre ed in ogni caso, ma solo quando il caso non è chiaro e si presta a diverse interpretazioni.

Il giudizio ultimo, se procedere o meno all’esorcismo, spetta comunque al sacerdote esorcista, in quanto, analogamente alla fase di istruttoria processuale, come il giudice può richiedere, qualora opportuno, il parere di esperti, pur detenendo la prerogativa della sentenza, così l’esorcista, come afferma il rituale che la Chiesa gli consegna al n. 16 dei Prænotanda, deciderà di proferire l’esorcismo maggiore, quando sarà moralmente certo di una reale possessione diabolica[1].

La collaborazione tra esorcisti, psicologi e psichiatri è necessaria anche perché si possono verificare casi in cui gli esperti in medicina o in psichiatria diagnosticano una patologia in concomitanza con una eventuale attività straordinaria del maligno; talvolta infatti una patologia non solo psichica, ma anche fisica, repellente ad ogni terapia che normalmente è in grado di guarirla, può essere causata da un’azione spirituale malefica, come si evince anche dal Vangelo (cf. Lc 13,10-16). In ultima analisi è l’esorcista che, avvalendosi dei criteri di sua competenza, acquisirà la certezza morale circa la presenza o meno di una eventuale attività straordinaria del maligno.

Il testo integrale dell’Udienza Pontificia ai partecipanti può essere letto sul sito:

http://www.penitenzieria.va

alla voce:

Udienza Pontificia Venerdì 17 marzo 2017

Indirizzo di saluto Card. Mauro Piacenza Discorso di Papa Francesco

 

 

 

[1] Cf. «Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari, Prænotanda, n. 16».